Stromae e il suo nuovo album Multitude sono una gran bella novità per il nuovo anno. Un 2022 in cui risulta ancora una vergogna ammettere di avere pensieri legati al suicidio. Fortuna che la musica è una donna rivoluzionaria e Stromae, tra i primi a interrompere il silenzio, parla tanto dell’invadenza, quanto della normalità di quei pensieri stessi.
L’arrivo di Multitude dopo nove anni
Stromae, l’artista belga che destò preoccupazione per la sua uscita dagli schermi senza traccia alcuna, il 4 marzo ha rilasciato, dopo nove anni, il nuovo album Multitude.
In Multitude, come nell’ultimo disco del 2013 Racine Carrèe, i temi trattati sono fortemente umani. Questa volta, però, si presentano arricchiti da una maggiore consapevolezza di sé e da una moltitudine di ruoli e suoni provenienti da tutto il mondo. L’artista stesso, infatti, come ha dichiarato il 6 marzo nella trasmissione Che tempo che fa, non immaginava potesse creare un prodotto ancora più negativo di Racine Carrèe. Quest’ultimo, infatti, parla di cancro, di uomini distrutti perché dipendenti dai social media, di un padre non degno di esserlo e di gente emarginata.
Raccontare le storie degli emarginati
La capacità peculiare di Stromae si conferma, così, non solo nel saper raccontare le storie altrui. La sua maestria sta anche e sopratutto nel calarsi totalmente nei panni di gente diversa da lui per storia, origine e classe. Ricordiamo, infatti, la perfomance di Formidable, brano in cui la figura di un uomo ubriaco e disperato in strada richiama il tema dell’emarginazione sociale e della solitudine. Durante l’esibizione, Stromae simula perfettamente le movenze e l’attitudine di un uomo sotto effetto di alcol che disturba i passanti con la propria disperazione. Una disperazione che non sarebbe tale, se questo non fosse un mondo che trascura la salute mentale e la gente considerata reietta.
Multitude riprende la disperazione umana e la ricopre, questa volta, di suoni provenienti da tutto il mondo in cui le diverse tradizioni vengono mescolate tutte e in maniera diversa in ogni brano.
La moltitudine, dunque, si riferisce alla compresenza di suoni e usanze internazionali, così come a tutti i ruoli umani che Stromae ricopre. Lo fa calandosi sia nei suoi stessi panni, spogliandosi da quelli della vergogna circa l’ammissione del dolore, che in quelli della gente comune e dimenticata.
I disturbi mentali nella musica di Stromae in Multitude
In Santé – «alla salute» in italiano – celebra i lavoratori costretti a denigrazione e umiliazione dai più forti. Invaincu, invece, è l’avvio dell’abbraccio umanitario che Stromae dona a sé stesso come fossero in molti a farlo per lui. Ecco perché il coro femminile iniziale che invita alla forza con le grida, e poi la frase finale «finché sono in vita, sono imbattuto». L’artista accenna e ammette timidamente («faccio fatica a scriverlo») la malattia mentale che lo ha abbattuto, chiamandola «piccola puttana». Stromae, infatti, in seguito alla somministrazione del vaccino contro la malaria, ha sofferto di depressione, attacchi di panico, ansia e insonnia. Ecco, infatti, spiegata la sua momentanea uscita dagli schermi. La forza del concetto di essere imbattuti finché si è in vita, risulta accogliente per chi soffre di disturbi mentali lievi e non, come quelli sopra citati, e fatica a vedere la luce. Questa, però, non è la sola fatica per chi si è ritrovato almeno una volta nella vita faccia a faccia con ansia o attacchi di panico. Anzi, una tra le più grosse imprese che l’uomo moderno possa fare, è quella di ammettere il dolore e normalizzarlo. Di esternarlo e parlarne come una qualsiasi altra malattia fisica.
L’atto di volontà nell’ammissione del dolore
Roberto Assagioli, psichiatra e teosofo, nel suo libro del 1978 Atto di volontà, parla di uomo moderno che appare come un semidio perché capace di controllare le grandi energie elettriche e lo spostamento di milioni di persone, ma non in grado di gestire le sue emozioni e impulsi. Parla, infatti, di un abisso tra i poteri esterni e quelli interni come una delle più importanti cause dei mali individuali dell’uomo. La soluzione sta, secondo Assagioli, nel ridurre l’enorme distanza tra i poteri interni e quelli esterni, semplificando la vita esteriore e sviluppando i poteri interiori. Tra quest’ultimi, v’è il potere tanto essenziale quanto difficile dell’ammissione del dolore, dell’arrendersi di fronte la corsa perenne di una società frettolosa che non ha tempo. Si parla del più grande atto d’amore e di volontà si possa fare verso sé stessi: l’abbraccio della propria sofferenza, il perdono delle debolezze e la loro messa a nudo.
Il dolore dell’uomo si acutizza nel silenzio e, a volte, può prendere la forma di uno spettro insidioso come il pensiero suicidale.
Il suicidio raccontato in L’enfer
Perfino gli psicologi lo normalizzano: dicono che pensare al suicidio non sia una cosa così poco comune, anzi, è tanto umana quanto pensare alla vita, alla nascita. Eppure, come ne ha parlato Stromae, non lo aveva fatto ancora nessuno.
A volte, molti arrivano a togliersi la vita perché si arrendono di fronte la vergogna stessa di pensare al suicidio. Quello che l’artista ha fatto, è ammettere nel brano L’enfer – «l’inferno» in italiano -, di aver pensato al suicidio al punto da rendersi impossibile la vita.«Siamo in molti a pensarlo» – canta l’artista – eppure questo non lo fa sentire meglio. Ad un certo punto del brano, parla a tu per tu con il pensiero del suicidio: «sai che ci ho pensato attentamente / e davvero non so cosa fare con te / esatto, pensa / è il problema con te». Durante il TV news di TF1, canale francese, Stromae si è esibito con il brano L’enfer durante l’intervista. Senza microfono, restando seduto e con lo sguardo prima rivolto alla giornalista e poi fisso alla telecamera. La performance, a tratti desueta per modalità e circostanza, assume i connotati di un appello al mondo e di una dichiarazione senza veli, come dovrebbe essere.
Stromae, però, è un performer internazionale e di successo. Questo indubbiamente rende la sua ammissione suicidale più convincente, più vera. Se lo avesse fatto uno qualunque, e se questo avesse parlato apertamente di fronte i media di suicidio, sarebbe stata vista come “la solita lamentela”.
Stromae, Multitude e de André
Paul Van Haver, così è il suo vero nome, conduce infatti una campagna verso la messa in arte del proprio dolore e quello di noi altri. Lo fa anche in Fils de joie, interpretando il figlio di una prostituta e affrontando il tema degli invisibili, come “gli ultimi” di de André. I suoni, etnicamente ricercati, sono allegri, movimentati, e invitano alla danza. Quest’apparenza festosa sposa perfettamente temi intensi che, in questo caso, richiamano alla moltitudine che si smuove in ognuno di noi e che ci rende vivi. La moltitudine di Stromae dichiara apertamente che anche un uomo depresso, infelice, emarginato e solo possiede un mondo di risorse dentro di sé. Come disse de André parlando di Anime Salve: «queste persone (gli emarginati e i soli) difendendo il loro diritto ad assomigliare a sé stessi, difendono soprattutto la loro libertà».
Autore
Ho iniziato a scrivere per pensare ai fatti miei, ora scrivo solo di quelli degli altri. Di solito mi faccio descrivere dalla musica che più mi piace, per esempio: il mio album preferito ha una banana sullo sfondo.