È dello scorso mese la notizia che la polemica tra Gemitaiz, rapper romano classe ’88, e Salvini è di nuovo esplosa. Lo scambio di polemiche tra i due, però, ci offre lo spunto per analizzare un problema più grande: il rap, ad oggi, si occupa ancora di politica? È ancora un fenomeno così politicizzato come lo era negli anni ’90? Da quegli anni ad oggi, ovviamente, il registro comunicativo e i contenuti dei brani rap sono molto mutati. E soprattutto è cambiato il pubblico: il rap, oggi, è il genere musicale più popolare tra i ragazzi, spesso giovanissimi. Se lo sentono tutti, mentre, tra la fine del secolo scorso e l’inizio del 2000, era un genere di nicchia.
Va anche ricordato che il rap e la trap, come più in generale ogni altro genere musicale, non devono avere una funzione pedagogica; eppure una diffusione così ampia finisce inevitabilmente per influenzare determinati comportamenti soprattutto tra i più piccoli che, per forza di cose, hanno meno strumenti per interpretare criticamente ciò che recepiscono. Quali sono, allora, i messaggi che i ragazzi assimilano dal rap contemporaneo riguardo le questioni politiche del proprio Paese?
Il fatto
Lo scontro Gemitaiz – Salvini, ha però una radice più profonda: le prime schermaglie risalgono infatti a due anni fa, quando Gemitaiz, tramite una storia Instagram, augurò la morte all’allora Ministro dell’Interno che, in quei giorni, non voleva far attraccare la nave Aquarius per respingere i 600 migranti.
La polemica si è riaccesa recentemente, quando il rapper, intervistato da Fanpage in occasione dell’uscita del suo ultimo Mixtape QVC9, è tornato a parlare di Salvini in questo modo: «se ho fan razzisti, significa che non stanno bene, che non hanno capito niente della mia musica. Non puoi essere fan mio e di Salvini, non puoi essere della Roma e della Lazio». «Razzisti che ascoltano hip-hop? Qualcosa non torna», direbbe Salmo.
Salvini ha immediatamente replicato, postando una foto sul suo profilo dove ha commentato quella frase scrivendo: «non la pensi come lui? Sei razzista!»
Lo scontro è andato avanti. Gemitaiz in una serie di storie ha continuato ad attaccarlo («politico fallito, preso in giro da tutta Europa e da tutto il mondo»), riportando anche tutti i suoi procedimenti giudiziari e le celeberrime – ahinoi – foto del Papeete.
Ma queste parti del video, Salvini, prima di ripubblicarlo sul suo profilo Facebook per rispondergli ancora una volta, le ha sapientemente tagliate, lasciando solo quelle in cui parlava Gemitaiz, che hanno aizzato una folla schiumante, scandalizzata dall’aver visto il proprio totem intaccato da un sacrilego rapper tatuato.
Ma il messaggio di Gemitaiz è completamente diverso da quello di Salvini
Certo, un’obiezione che si può muovere a Gemitaiz è sicuramente il tono esagerato nella storia di due anni fa. Il web poi, si sa, non dimentica, e quel post in cui gli augurava la morte è stato immediatamente ritirato fuori e usato contro di lui. Ma facciamo un passo indietro.
Il rap, l’arte in generale, è scandalo e provocazione. Il modo che ha Gemitaiz di comunicare, il suo modo di vestirsi e di esibirsi, è quello di un performer, di un animale da palcoscenico, dello one-man-show. Pertanto, le sue parole non possono essere messe sullo stesso piatto della bilancia di quelle di Salvini, che è un politico e un comunicatore istituzionale, e che pertanto deve avere (sempre!) una sintassi più misurata; dettaglio che, invece, non di rado gli sfugge.
Pubblicare una foto di Gemitaiz sul profilo di Salvini ha un unico obiettivo: esporre alla gogna pubblica il rapper. Precisazione: si può essere quasi sicuri che tutte le persone che hanno commentato offensivamente il post non sapessero minimamente chi fosse il personaggio nella foto, mentre, contemporaneamente, i loro figli lo stessero ascoltando in cuffia.
Il tono di Gemitaiz, dunque, non ha alcuna influenza politica. Si espone a critiche, è ovvio. Infatti, ne ha ricevute tante e ad altrettante ha risposto. Ma attenzione a non confondere mai la provocazione di un artista col linguaggio di un politico.
È possibile un dialogo pacifico tra chi fa rap e chi fa politica?
Il rap contemporaneo ha un rapporto ambivalente con la politica. Si pensi ad esempio a Marracash: proponendo una versione moderna della storica hit di Frankie hi-nrg, ha mandato un forte messaggio politico, dove canta, per restare in tema Salvini, che «il sonno della ragione vota Lega». Eppure lo stesso Marracash ha detto, in una recente intervista per Le Iene, che, pur simpatizzando per la sinistra, di fatto non ha mai votato in vita sua.
Dello stesso avviso è Noyz Narcos, altro rapper che ha dichiarato di non aver mai votato e non ne ha mai fatto mistero nei suoi testi, che comunque sono tutt’altro che disimpegnati e spensierati (si pensi a Zoo de Roma: «io che in vita mia allo Stato il voto mio non gliel’ho dato mai» o a Non dormire: «i nostri voti nelle urne non l’hanno mai visti»); tra i più giovani, invece, ad avere un atteggiamento estremamente nichilista verso la politica è Massimo Pericolo. Il video di 7 Miliardi, la hit che lo ha reso definitivamente famoso, inizia con lui che dà fuoco alla sua tessera elettorale, e nel finale rincara la dose: «Fotte un cazzo di niente/ Non so neanche chi è il Presidente/ Non voto, che tanto non serve».
Tra i rapper che hanno mostrato un atteggiamento apparentemente più conciliante verso la politica troviamo invece Fabri Fibra, che ha affidato l’introduzione suo libro Dietrologia a Marco Travaglio. Questo fatto al tempo fu visto come un flirt tra Fibra e il Movimento 5 Stelle. Ma i testi di Fibra sono tutt’altro che concilianti: non vi stupirà, dunque, scoprire che nemmeno Fibra ha mai votato e, anzi, non ha proprio la tessera elettorale.
Che effetto ha sui più giovani questo atteggiamento?
È chiaro che ad oggi il rap sia il genere musicale più ascoltato dai ragazzi. La politica questo lo sa, e infatti recentemente Conte si è affidato a Chiara Ferragni e a Fedez – che comunque viene dal genere musicale preso in esame in questo articolo – per esortare i ragazzi a rispettare le misure anti Covid.
Il messaggio che arriva dai vari artisti nelle orecchie dei ragazzi, però, non deve avere nulla a che fare con la loro educazione: vedere Massimo Pericolo che brucia la sua tessera elettorale non deve essere fonte d’ispirazione, ma non perché Massimo Pericolo sia il male assoluto, ma perché non è quello l’obiettivo della sua musica!
Ci si interroghi sul perché un ragazzo di provincia abbia sviluppato questo malessere nei confronti delle istituzioni che lo ha portato, nel video che lo ha consacrato, a fare quel gesto così emblematico. Questo, forse, potrebbe essere un inizio per interpretare i messaggi che ci arrivano ogni giorno da questo mondo, diventato oggi così influente. E, automaticamente, diventerebbe anche un modo per non smettere mai di interessarsi alla politica e ai problemi sociali che, indipendentemente dal contesto, circondano tutti noi.
Autore
Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.