Non si definisce pubblicitario, né reporter, tantomeno un fotografo di moda. Oliviero Toscani preferisce definirsi “testimone del suo tempo”: nasce e cresce guardando la realtà attraverso un obiettivo. Suo padre, Fedele Toscani, è stato uno tra i primi fotoreporter del nostro Paese, o come lo ricorda lo stesso Oliviero, “fotografo di informazione”.
Studia all’Università delle Arti di Zurigo, dove gode degli insegnamenti di alcuni dei protagonisti della Bauhaus.
Già dai suoi primi lavori si nota una tendenza alla provocazione, della quale fa un proprio marchio di fabbrica, arrivando ad essere considerata un valore del brand Toscani. Esordisce con dei reportage che analizzano e raccontano le caratteristiche proprie della sua generazione, ponendo l’accento sui costumi, le mode, i comportamenti e le abitudini. Immortala personaggi del calibro di Lou Reed e Andy Warhol, rendendoci una testimonianza di quelle che furono le tendenze giovanili durante quegli anni di pieno fervore artistico.
Nel 1973 questa vena provocatoria trova il suo coronamento, cristallizzandosi nella campagna pubblicitaria del nuovo brand Jesus Jeans. Un close-up sul fondoschiena della modella Donna Jordan con un paio di shorts, il tutto accompagnato dallo slogan biblico «Chi mi ama mi segua». Inutile dire che la risonanza mediatica fu sconcertante: ci fu addirittura una contro campagna di condanna e boicottaggio dello stesso brand, il quale, nel frattempo, era diventato la concretizzazione dello spirito ribelle giovanile, delle lotte studentesche appena trascorse e della rivoluzione sessuale nel pieno della sua manifestazione.
Contemporaneamente si andavano alimentando le polemiche, arrivando a scomodare addirittura la penna di Pier Paolo Pasolini, che attacca duramente l’intera campagna in un articolo pubblicato nel maggio 1973, intitolato Il folle slogan dei jeans Jesus, riproposto poi nella raccolta Scritti Corsari.
È dietro questo segno distintivo che si nasconde la poetica di Oliviero Toscani, corteggiato subito dalle più grandi riviste di moda come Vogue, GQ e Esquire per le quali firma rivoluzionari e sovversivi servizi fotografici che destano immediatamente forte interesse da parte del pubblico.
Lo shockvertising come cifra stilistica
Nel 1982 inizia a lavorare con l’azienda tessile italiana dei Benetton, collaborazione che permetterà a Toscani di affrontare alcune tematiche sociali, realizzando delle campagne di forte impatto mediatico.
Il suo modo di fare pubblicità è stato ribattezzato shockvertising, e molti dei suoi scatti finalizzati al marketing vennero addirittura censurati e interi lavori messi al bando, come nel caso del “finto” reportage sui condannati a morte nel Missour. Nel 2000, Oliviero Toscani si introduce in una prigione per fotografare i detenuti destinati a scontare il massimo della pena per la sua nuova campagna firmata Benetton Sentenced to death. Il fotografo non dichiarò il vero scopo dei suoi scatti ai condannati – ritratti con l’inganno – tantomeno ai responsabili della prigione: lo Stato del Missouri lo accusò di falso fraudolento.
Potremmo definirlo un modus operandi non etico, ma il fotografo sostiene che l’etica stessa dell’arte è quella di non avere un’etica, in modo tale che possa essere spinta ad indagare le parti più oscure della condizione generale della società, sostenendo che «sia molto interessante per la fotografia entrare in questo pozzo nero dell’essere umano».
Oliviero Toscani non vuole classificarsi come reporter, in quanto quelle che fa sono semplici campagne pubblicitarie, ma è grazie a questa sua scelta di divulgazione che riesce ad ottenere una eco maggiore, riuscendo ad uscire su più supporti possibili con una singola foto. Sfrutta così la pubblicità per catturare le «espressioni della società».
Il suo obiettivo principale è quello di porre l’attenzione e sensibilizzare il pubblico su questioni delicate troppo spesso messe in secondo piano, come quella dell’AIDS.
L’atto più sovversivo che fece per portare all’attenzione di tutti un tema così scottante fu nel ’93, quando dopo aver radunato giornalisti e fotografi dinanzi all’obelisco di Place de la Concorde a Parigi, scortato dalla Polizia francese, srotolò sul monolite un gigantesco preservativo: per una settimana non si parlò d’altro, tra elogi e critiche.
Nonostante questa performance artistica fosse comunque una mossa pubblicitaria per Benetton, il marchio non era a conoscenza delle reali intenzioni del suo collaboratore.
L’ennesimo gesto provocatorio messo a segno da Toscani fu la campagna per il brand Nolita. Durante la settimana della moda di Milano del 2007, fece affiggere su molti cartelloni che presidiavano le principali arterie cittadine una foto che vedeva protagonista Isabelle Caro, una modella anoressica.
Lo scopo di questa semplice trovata pubblicitaria era quello di far discutere, e di farlo su un argomento che camminava sulle passerelle di una delle manifestazioni più attese nel mondo della moda, mettendola in crisi. Voleva esternare e rendere pubblica in maniera cruda una realtà che veniva vestita di abiti firmati e non degnata della giusta considerazione, dimostrando così che anche la pubblicità ha bisogno di qualcuno che abbia il «coraggio di far gelare il sangue nelle vene».
Provocazione è la parola d’ordine, fondamento dell’arte, considerata inutile qualora non provochi niente allo spettatore:
Senza provocazione non ci sarebbe società civile, non ci sarebbe cultura, non ci sarebbe sviluppo. “
Autore
Nato lo stesso giorno di Stanley Kubrick, è del Leone e non lo nasconde. Da grande vuole fare il regista e farsi crescere i capelli; è più vicino alla seconda. C'è un giro illecito di scommesse che divide in due la sua cerchia di amici: riuscirà mai a laurearsi?