Mai raramente a volte sempre

"Rarely sometimes always" è il titolo originale di uno dei film del cinema indipendente di Eliza Hittman ma non è solo un film sull'aborto

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Mai, raramente, a volte, sempre: quattro opzioni avverbiali per un climax di angoscia ascensionale per cui lo spettatore resta immobile davanti al volto della giovanissima Autumn, impotente e disarmato dal suo silenzio. Solamente un questionario dalle quattro risposte possibili le restituisce una voce, o più acutamente un pianto di sofferenza e di liberazione emotiva che scongiura senza pietà la rimozione psicologica di un trauma, che non è solo individuale e adolescenziale, ma gener-azionale.

La protagonista fugge in compagnia della cugina Skyler nella speranza di abortire a New York, con dei soldi rubati e senza un posto dove mangiare o dormire, in balia di un’avventura che non ha davvero niente di più insidioso di quanto non ci sia già tra le quattro mura della sua casa in Pennsylvania.

Non solo un film sull’aborto

Nonostante la pellicola degli anni ’90-2000, il film ci trasporta in una dimensione atemporale dove l’irreggimentazione del tempo è superflua in confronto all’elemento di contemporaneità degli eventi.

Autumn ha una famiglia, va a scuola, suona, lavora in un supermercato. Un giorno scopre di essere incinta ma da dove viene l’aborto non le è concesso. L’interruzione volontaria di gravidanza non è una scelta. La donna non è padrona del suo corpo, lo è invece lo Stato, la Chiesa, i dottori che la visitano. Autumn sembra essere una ragazza riservata, cupa e silenziosa, eppure siamo tutte un po’ Autumn.

– Non desideri mai di essere un uomo?

– Sempre

La narrazione non è solo il racconto di un viaggio verso l’aborto ma dei livelli in cui la violenza di genere prende forma, assume un volto e si fa piaga sociale. Le vicende interpersonali con la figura maschile la dicono lunga su una prassi quotidiana consolidata e ancora oggi tutt’altro che episodica. Sui mezzi pubblici la giovane adolescente incontra un uomo che le si avvicina in modo molesto e che sembra non voler accettare un no, nel negozio di alimentari, in cui condivide il turno con la cugina, il datore di lavoro dà baci non richiesti e non graditi alle due ragazzine, il padre di Autumn fa battute, allusioni e provocazioni verbali a sfera sessuale apertamente rivolte alla figlia, e si capirà, alla fine del film, che il bambino (fortunatamente mai  nato) è proprio il suo. Si tratta di un sopruso le cui conseguenze sono legate al ricatto privato di una costrizione istituzionalizzata.

La città in cui le due giovani donne approdano, a differenza della provincia, invece, accoglie meglio la protesta pubblica e ospita cliniche abortiste che sono l’unica speranza possibile per un mondo senza redenzione laica ma pieno di moralismo apossibilista.

Eppure, anche a New York i compromessi a cui bisogna cedere per sopravvivere non sono finiti: un ragazzo si approfitta della loro difficoltà economica per strappare un’attenzione in più a una delle due, e Skyler vi si presta non senza la solidarietà preziosa dell’amica.

Solidarietà e intimità connesse

Le due cugine e amiche sono legate da un’intesa che le rende al contempo complici e coraggiose. Il loro coraggio, tuttavia, non è solo dovuto alla loro unione ma alla loro individualità: affermano ciascuna la loro esistenza, facendo della rabbia inconscia o inespressa e della sofferenza diffusa una reazione attiva.

La pellicola è un manifesto, tutt’altro che dichiaratorio ma dato di realtà, silenzioso ma esplicito. Anzi, è proprio sul silenzio che ogni dettaglio si trasforma per lo spettatore in una denuncia attenta e ampia sulla condizione femminile: dettagli epidermici, contatti di mani e volti, sguardi, sfocature, silenzi, distanze, assenze e complicità.

Questa tematizzazione tanto intimistica, forse ancora più acuta se pensiamo agli altri film della regista, dà da pensare su più fronti: su quello della normalizzazione storica di comportamenti oggi sempre più inaccettabili, sulla rottura di una barriera di silenzio e l’adesione, piena, parziale, goffa, polemica, perbenista, censoria che non si limita solo a limitare una libertà e a negare un diritto.

Autore

Laureata in Lettere, studio Filologia Moderna a Padova. Con la passione del viaggio e dei pellegrinaggi, mi addentro tra lingua, storia, cultura e paesaggio. Saggistica, cinema e arti visive. "Il femminismo è stato la mia festa".

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