Metti una mattina d’autunno, un liceo occupato e centinaia di studenti. Fuori le strutture scolastiche, il mondo fa i conti con la quarta ondata di Covid-19 e con l’ingresso della variante sudafricana. Dentro, nelle aule, nei corridoi e negli atri tanti gruppi di ragazzi protestano, uniti da un intento comune: far sentire la propria voce. Siamo abituati a pensare alle occupazioni come momenti di forte squilibrio, in cui il desiderio di non svolgere il programma di studi sovrasta gli ideali che si celano dietro il blocco della didattica. L’immagine che associamo di scatto alla parola occupazione è infatti quella di una scuola in cui birre, sigarette, panini, musica a palla e corsi di nail-art dominano la scena.
Eppure, dopo la pandemia qualcosa è cambiato anche tra i giovani. Lo testimoniano i ragazzi del liceo linguistico Capponi di Firenze, che decidono di protestare per denunciare il forte aumento post-pandemico di problematiche legate alla salute mentale. Affermano di essere trattati come l’ultima ruota del carro da parte di un sistema scolastico che li considera esclusivamente come numeri, che li riempie ogni giorno di nozioni, senza insegnare loro come si affrontano le difficoltà della vita. Lo stress, le crisi di ansia e gli attacchi di panico, infatti, hanno subito un aumento esponenziale che due soli psicologici, uno per la sede centrale e uno per la succursale, a fronte di 1500 alunni, non potranno mai sostenere. L’istituto offre la possibilità di avere un colloquio solo una volta ogni due mesi, inibendo le effettive necessità dei giovani. All’intervallo bisogna stare in classe, indossare sempre la mascherina e non avvinarsi troppo al compagno, tutto ciò mentre i programmi vengono svolti regolarmente, trascurando gli effetti disastrosi che il lokcdown e la didattica a distanza hanno avuto sulla socialità. Da un volantino appeso fuori il liceo si legge:
Occupiamo perché vogliamo studiare imparando davvero, studiare meglio e non meno, perché la scuola dovrebbe aiutarci ed invece ci ostacola, perché le infrastrutture scolastiche non garantiscono la nostra sicurezza, perché il nostro bisogno di interazione è sempre più sacrificato, perché siamo visti solo in funzione del nostro futuro universitario e lavorativo, perché la salute mentale e l’inclusività vengono ignorate. Non protestiamo solo contro i nostri docenti, ma per denunciare il fallimento dell’intero sistema nazionale.
Protagonisti delle mobilitazioni sono anche i ragazzi del liceo scientifico Morgagni di Roma, decisi a portare avanti l’occupazione fino a quando preside, ufficio scolastico regionale e prefettura non accoglieranno le loro richieste, tra cui la formazione di una commissione paritetica sui Pcto (l’ex Alternanza Scuola-Lavoro), una commissione sui fondi per le infrastrutture scolastiche e iniziative concrete sulla parità di genere. Consapevoli che la propria lotta, isolata, non basterà per ottenere risultati concreti, hanno lanciato a gran voce un appello a tutte le scuole d’Italia, chiedendo ai loro simili di mobilitarsi per opporsi a quelle politiche che hanno logorato il sistema scolastico.
Sulla stessa linea d’onda si sono collocati anche gli studenti di un altro liceo romano, il Newton, che dopo diversi giorni di occupazione si dicono fieri del proprio operato poiché hanno dimostrato come si possa far politica in modo alternativo. Fare politica discutendo sulla società, sulle sue contraddizioni, sul ruolo che la scuola deve avere nella vita di ciascuno di essi e sugli strumenti per migliorarla. Oltre a fornire un pacchetto di competenze, ritengono che la scuola debba fare acquisire loro consapevolezza su come stare al mondo.
Poi ci sono i giovani del liceo fiorentino Machiavelli, che hanno occupato per rivendicare la possibilità di fare ricreazione all’aperto, negata dal dirigente scolastico. La ricreazione nel cortile serve per ritrovarsi, per interagire e per tornare a guardarsi negli occhi e non più attraverso uno schermo, per imparare ad avvicinarsi di nuovo agli altri, annientando così gradualmente la paura dell’estraneo che la pandemia ha pericolosamente diffuso.
Uno dei casi più emblematici però si è verificato al liceo Dini di Pisa, dove gli studenti hanno occupato l’edificio per manifestare solidarietà ad un compagno, Geremia, a cui non è stata riconosciuta la carriera alias. La carriera alias consiste in un processo burocratico volto all’assegnazione di un’identità transitoria, consentendo a chi ha iniziato un percorso di transizione di utilizzare il nome di elezione anziché quello anagrafico. Le proteste sono indirizzate principalmente alla preside, la quale aveva rigettato l’istanza affermando che la scuola non fosse pronta ad un progetto del genere, poiché ciò avrebbe potuto urtare la sensibilità di alcuni docenti. Tale situazione si verifica in concomitanza con la scelta del liceo classico Cavour di Torino di schierarsi a favore del concetto di fluido, adottando l’asterisco al posto delle desinenze maschili e femminili, generando così un profondo dibattito sulla questione di genere.
Alla base di questa consapevole, dirompente e attiva partecipazione dei giovani alle problematiche sociali, vi è il bisogno di rivendicare il proprio ruolo in una comunità che dimentica sempre più le nuove generazioni, non interpellandole e non coinvolgendole nei processi decisori e rappresentativi. Eppure i giovani hanno molto da dare e da dire, lo testimonia il fatto che pochi giorni fa Sergio Mattarella ha nominato “Alfieri della Repubblica” alcuni ragazzi che si sono contraddistinti per l’uso virtuoso dei social network nel periodo pandemico, dando prova di talento, solidarietà e speranza nel futuro.
Autore
Tonia Benincasa
Autrice
Campana, amante della cultura classica e del caffè. Scrivo da quando ne ho memoria, per diletto e per dedizione verso la buona informazione. Studio il diritto in compagnia di 2 amici a quattro zampe, facendo dell'anticonformismo il mio stile di vita. Come Pasolini, credo nel progresso e nell'inclusività del mondo.