La xenofobia in “Animali selvatici”: tra cruda realtà e allegorie fiabesche

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Inizia come una fiaba Animali Selvatici, ultimo film del regista Christian Mungiu presentato in concorso a Cannes nel 2022 ed arrivato nelle sale italiane il 6 luglio 2023. C’è un bambino che cammina da solo in un bosco ricoperto di neve, vede qualcosa che lo traumatizza, un qualcosa che il cinema potrà mostrare solo più tardi quando il racconto allegorico della fiaba avrà lasciato spazio alla concretezza di quello del reale.

Questo è il punto di partenza di una narrazione che analizza da vicino una piccola comunità sulle montagne della Transilvania, mettendone in luce l’arretratezza, l’ottusità e la xenofobia, ovvero la paura dell’altro in quanto diverso.

Una Risonanza sociale: la comunità come specchio del singolo

R.M.N. questo il titolo originale del film, acronimo di Risonanza Magnetica Nucleare. E proprio di una risonanza magnetica si tratta.
Se da una parte è chiaro il legame del titolo alla struttura tematica narrativa del racconto (il padre di quello che potrebbe essere considerato il protagonista, Matthias deve infatti sottoporsi ad una risonanza per stabilire la causa all’origine della sua sempre più frequente narcolessia), dall’altra si potrebbe ampliare il riferimento ragionando in modo allegorico all’intero complesso umano che va a formare il piccolo paese di Recia tra le montagne della Transilvania.
Una risonanza magnetica che riveli da vicino e permetta di analizzare a fondo le sinapsi e i comportamenti cerebrali di una piccola comunità che diviene specchio di comportamenti umani archetipici e universali. Ma procediamo con ordine.

Lo straniero da combattere

A pochi giorni dal Natale Matthias protagonista dal carattere rissoso e profondamente insoddisfatto, abbandona il suo lavoro in un macello tedesco per far ritorno al suo paese d’origine. In terra tedesca è considerato uno straniero, e dopo aver colpito con una violenta testata un collega che lo aveva chiamato zingaro, abbandona il posto di lavoro prima che la polizia del luogo possa mettersi sulle sue tracce. Decide quindi di far ritorno nella sua terra d’origine, un villaggio sperduto nelle montagne innevate della Transilvania che si vanta di esser riuscito a scacciare nel corso degli anni gli zingari che lo abitavano.
Una spinta inarrestabile quella di ogni terra di individuare lo straniero da combattere, la categoria a cui opporsi e da cacciare con forza al fine di preservare la propria presunta identità culturale, esposta all’eventuale rischio di unione tra etnie e umanità differenti.

Reale e allegoria

Il film procede su due linee di racconto parallele che non necessariamente finiscono per convergere: concretezza del reale e allegoria morale. Una volta a casa Matthias scopre che suo figlio Rudi che vive con la madre (con cui Mathias non ha praticamente più rapporto) non parla più perchè è rimasto traumatizzato dalla visione di qualcosa nella foresta, che suo padre soffre di una strana forma di narcolessia, e che Csilla sua amante in passato e direttrice di un panificio industriale, ha diversi problemi da affrontare soprattutto in seguito all’assunzione di tre operai srilankesi. Non è un caso che Mungiu torni in Transilvania per strutturare questo racconto.
Nella piccola comunità protagonista della vicenda vivono fianco a fianco comunità di origine diversa: rumeni, magiari e tedeschi, senza contare la comunità rom, storicamente emarginati e vittime della diffidenza generale. Ecco  allora esplodere tensioni e rivalità solo in apparenza sopite all’arrivo dei tre lavoratori srilankesi.

Una scena coreografata in maniera talmente perfetta da restituire un senso di naturalezza disarmante. Mungiu apre il proprio sguardo su quella terra di mezzo che è crocevia di popolazioni e culture diverse che paradossalmente si unisce e va a trincerarsi contro il nuovo, ciò che è diverso, per un senso di spaesamento e indomabile paura. Una crisi identitaria che segna il fallimento dell’integrazione culturale non solo a livello nazionale ma europeo.

“Animali Selvatici” e dove trovarli

In un avviso sulla porta d’entrata dell’ufficio postale si legge di fare attenzione alla presenza di animali selvatici, e lo stesso Matthias nel suo personalissimo tentativo di rieducazione di suo figlio piccolo lo avverte di non avvicinarsi mai agli animali selvatici in questione se non con un’arma in mano. Ma chi sono questi animali di cui si parla? Sono veramente bestie feroci che popolano il bosco o sono invece individuabili negli abitanti della comunità? Non che la classe dirigente ne esca meglio a livello di spessore morale. Christian Mungiu si limita ad osservare, non prende parte e soprattutto non fa sconti a nessuno. Nel bellissimo piano sequenza della riunione prende vita uno scontro feroce tra la popolazione del villaggio ignorante e xenofoba e alcuni esponenti della classe abbiente. Gli stessi, questi ultimi, che non esitano a cercare manovalanza all’estero per poterla stipendiare con il minimo salariale e non dover adeguare lo stipendio alle richieste dei locali, tanto meno si salvano i progressisti europei che si comportano da turisti nel terzo mondo, troppo interessati all’aspetto folkloristico per scendere al di sotto della superficie e comprendere il profondo ribollire di una crisi di dissensi.

Ritorno al fiabesco psicologico

Il racconto fiabesco e allegorico riprende forza nel finale, in un meccanismo narrativo ad anello, grazie ad una immagine tanto potente quanto difficile da decifrare. Una risonanza magnetica che scava dentro l’organismo che regola la società mettendone in luce l’origine del malfunzionamento, che forse ci suggerisce il finale, ha origine proprio nella parte più intima dell’essere umano. E se l’animale selvatico tanto pericoloso e da tenere a bada non fosse esterno, ma dentro di noi? Animali selvatici racconta di un occidente che è arrivato in Romania, ma gli orsi esistono ancora, sono tra gli esseri umani e li minacciano.

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