Il Mediterraneo è il più grande cimitero terracqueo del pianeta: intervista a Mattia Ferrari

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Secondo un rapporto di Save the Children pubblicato a giugno, quest’anno oltre 920 persone sono morte o sono disperse nel Mediterraneo. Si tratta di una media di 5 persone al giorno, per un totale di 29.800 negli ultimi dieci anni.

Abbiamo intervistato Mattia Ferrari, cappellano di bordo della nave Mediterranea Saving Humans che per le sue azioni dal 2017 ha subito attacchi da parte delle milizie libiche. In questi giorni è tornato in mare per dare una mano all’equipaggio della ong.

Com’è riprendere il servizio in mare con Mediterranea Saving Humans?

«Il servizio di cappellano lo faccio tutti i giorni, ed ho ripreso a partecipare in presenza con un’esperienza molto forte. Durante l’anno aiuto dalla terra ferma, ma in questi giorni sono ritornano in mare per dare una mano e continuare con il mio servizio.

In mare avvengono giornalmente respingimenti nei confronti dei migranti, le persone naufragano e noi cerchiamo tutti di cambiare le cose: facendo pressioni sulla politica e le autorità locali, mobilitando la società civile e comunicando ciò che sta avvenendo nel Mediterraneo.

La presenza in mare è forte perché vedi in prima persona la tragedia, qualcosa di indelebile».

In mare vedi, come hai scritto sia nel tuo libro che su “La Stampa”, anche quella umanità in movimento. Un concetto a te caro sia nell’aiutare gli altri ma anche nella quotidiana di esprimere solidarietà verso l’altro

«Esatto. In mare tocchi con le tue mani l’apice delle ingiustizie, perché vedi le persone che rischiano di morire per tentare la fuga, con le barriere che si trovano dinanzi. Barriere costruite da noi, l’occidente che tiene in mano l’attuale sistema economico e che chiudendo le porte aumenta solamente le ingiuste e la necessità di scappare da parte di quelli che sono esseri umani.

Vedi persone catturate e deportate in Libia da quella che viene definita come “la guardia costiera libica”, ma vedi anche altro.

Intravedi e vivi la loro speranza, e vedi quella rivoluzione. Rivoluzione che si attua negli abbracci, negli sguardi in cui chi chiede aiuto lo riceve, dell’umanità che si comprende e in mare vedi come la fraternità è un valore politico. Politico con la P maiuscola».

Hai scritto di come il 2017 è stato l’annus horribilis per la nostra umanità, rispetto soprattutto alle rotte migratorie. Passano i governi nazionali ed europei, ma la situazione non cambia, sembra quasi peggiorare per chi attraversa il Mediterraneo

«Ci sono delle differenze ovviamente tra i vari governi che si sono succeduti, ma su questo tema no. C’è una eccessiva continuità. Nel senso che gli accordi con la Libia, datati 2017 fino ad oggi, sono rimasti in vigore e nessun governo ha provato a superare quel memorandum. 

Accordi che segnano una pagina di vergogna nella storia del nostro paese. E noi chiediamo a tutte le forze politiche ed istituzioni di superare quegli accordi, che portano a finanziamenti nei confronti della guardia costiera libica e alla costruzione di veri e propri lager in Libia dove la reclusione e le violenze avvengono in maniera sistematica».

Verso la fine di giugno di quest’anno, appunto, la Sea Watch ha condiviso la brutalità, attraverso video, che la “guardia costiera libica” usa nei confronti dei migranti. Oggi domandare alla politica di abrogare il memorandum tra Italia e Libia è possibile o no?

«Il memorandum può essere superato nel momento in cui c’è la stessa volontà con cui è stato creato. La responsabilità, e la colpa di ciò, non la diamo solo alla politica ma anche alla popolazione civile che non si è mobilitata abbastanza e tuttora non lo fa.

La politica certe cose le fa solamente se c’è una società civile attenta su certe questioni e se esistesse, appunto, questa società civile, la politica in maniera celere cancellerebbe quel memorandum.

Ma la verità è che la società civile italiana è piena di associazioni, gruppi e singoli che fanno e agiscono in funzione e con azioni volte ad un senso di umanità e fratellanza tra le persone. Dobbiamo migliorare nella nostra capacità di fare rete ed essere uniti e forti nelle nostre differenze nel fare pressioni alla politica per cambiare rotta su questi temi». 

Pochi giornalisti e pochi giornali continuano a dare spazio all’ecatombe che ormai è il Mediterraneo. È dovuto alla nostra mancanza di umanità o è una pura scelta politica?

«I motivi esatti non li saprei dire, ma è vero che non se ne parla a sufficienza. I giornali devono fare la propria parte e nessuno dalla classe dirigente alla classe politica, passando per noi, deve mancare di coraggio. Anche nell’affrontare questi temi.

Non possiamo pensare che solamente un pezzo possa essere motore di coraggio e gli altri no, altrimenti rimaniamo soli e ciò porta ad ulteriore silenzio su sfide e tematiche così complesse».

Riprendendo una dichiarazione coraggiosa che ha fatto molto discutere: Papa Francesco continua a ricordare come l’accoglienza sia un principio cardine della nostra umanità. Perché delle tante parole che si sfruttano del santo Padre, non si fanno proprie esattamente queste?

«Strumentalizzare le frasi e i concetti lo fanno gran parte dei giornali e degli schieramenti politici, è una tendenza che c’è spesso. 

Indubbiamente il Papa non si è tirato indietro rispetto a questo tema e ha chiesto a tutti di fare la propria parte per cambiare le cose. Ma del discorso che ha fatto il Papa, come di altre figure, si prende una frase, la si mette sul titolo e la si strumentalizza. Non si va a cogliere l’interezza di un discorso, su un tema ostico, nella sua complessità.

Superare questo modo di fare è necessario per trovare un paradigma diverso».

Nel libro che hai scritto con la collaborazione di Nello Scavo “Pescatori di Uomini” racconti delle minacce subite sia dalle milizie libiche che da una parte di politica e stampa. Perché tanto odio nei confronti di chi, con i propri mezzi e strumenti, salva vite?

«Lì è il tema della criminalizzazione della solidarietà. Ha varie ragioni, nello specifico quello di togliere le navi delle ong che salvano e sono da testimoni in mare, rispetto a ciò che accade e alle violenze che vengono perpetuate.

Ma secondo me c’è un altro tema. La solidarietà, come valore, è profondamente scomodo per questo tipo di società che porta sempre più l’autoritarismo e l’individualismo. Di conseguenza la solidarietà viene annullata perché non rappresenta un ordine sociale dominante che, entrando in concorrenza con quello attuale, porta i dominanti attuali a negarla. Così le persone non si possono accorgere di come un sistema fondato sulla solidarietà sia migliore, perché più umano di quello attuale». 

Prima di lasciarti al tuo servizio in mare, che sta facendo da sottofondo alla nostra chiacchierata, ti volevo chiedere quali sarebbero le prime cose che faresti, se tu avessi il potere, per cambiare la situazione rispetto a ciò che accade in mare?

«La prima cosa da fare è ascoltare e coinvolgere tutti. Tematiche epocali e complesse come la migrazione si risolvono ascoltando più voci possibili, e l’Italia e l’Europa è piena di voci che annegano alla solidarietà e ad un’accoglienza diversa rispetto a quella oggi praticata.

Ascoltandole tutte e provando a coinvolgere è il primo step. A ciò va unito un cambio di visione, ponendo il migrante al centro. Spesso la narrazione pone solo un soggetto, ovvero noi come individuo che accoglie ed un oggetto che viene accolto, ovvero il migrante.

La fraternità così non potrà mai avvenire, perché la fratellanza avviene tra soggetti. Se verrà riconosciuta la soggettività sociale, politica e culturale, lì sarà possibile un sistema di accoglienza diverso».

Autore

17 gennaio 2004 come data fatidica, e da quel momento sono immerso nei libri, nei paesaggi di Sezze e nelle canzoni di Kendrick Lamar. Napoletano di fede e di sangue, ricomincio pure io da tre cose: ascoltare, guardare e parlare, o su questa pagina, scrivere.

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