Parliamo di From Ground Zero

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Quest’estate si è svolta la 70esima edizione del Taormina Film Festival, la rassegna cinematografica che ogni anno ospita attori, attrici, registi, influencer e content creator, anche di fama internazionale al fine di presentare in anteprima i vari film che verranno proiettati nelle sale nei mesi seguenti. Tra le grandi novità di quest’anno ce n’è una che, purtroppo, sembra essere stata bypassata dalle testate più importanti. Si tratta della proiezione in anteprima assoluta di From Ground Zero, film del regista palestinese Rashid Masharawi in cui viene raccontato, senza girarci troppo intorno, tutto l’orrore che il suo popolo sta subendo da quasi un anno.

Non è la prima volta che Masharawi usa il cinema per denunciare i soprusi che Israele perpetua – grazie anche alla complicità degli stati occidentali che lo appoggiano – sul popolo palestinese.  

Da pioniere della seconda generazione del cinema palestinese cresciuto nel campo profughi di Al-Shati, dirige già da tempo film di stampo sociopolitico come Haifa (1996), dove mostrava a tutti come gli degli accordi di Oslo furono percepiti dai residenti della Striscia di Gaza. Due anni prima, invece, con la realizzazione di Curefew denunciava sia l’impossibilità di vivere sotto coprifuoco sia l’assurdo sistema politico che li costringeva a vivere da rifugiati e a sentirsi estranei in casa loro. Ma è proprio con From Ground Zero che dà vita ad un’opera impossibile: insieme ad un collettivo di colleghi e colleghe connazionali produce ben ventidue cortometraggi, girati interamente a Gaza dopo i fatti del 7 ottobre 2023. 

In questi otto mesi nonostante le bombe, i rastrellamenti, l’assenza di un posto sicuro dove passare la notte, la perdita dei propri cari e il rischio di morire – a causa della fame, delle malattie o per mano di un soldato – ha comunque trovato la forza di mettere insieme quei pochi mezzi che aveva per creare qualcosa che documentasse il genocidio in atto. 

From Ground Zero: il film di Masharawi

From Ground Zero è formato da ventidue filmati di pochi minuti ciascuno, distinti tra loro per argomenti e tecniche narrative (fiction, documentari, stop-motion), ma accomunati da una potenza emotiva devastante che porta a fatica lo spettatore verso la fine. La scelta stilistica è dettata più dalla necessità che dall’estetica: ostacoli come la mancanza quasi totale di internet, i bombardamenti costanti e i continui spostamenti, hanno reso quella del cortometraggio l’unica via ammissibile. Inoltre, questo escamotage ha permesso di valorizzare il punto di vista di ciascuno (non a caso ogni filmato è dotato di una trama e di un titolo propri) e di raccontare tutte quelle prospettive che i media occidentali tendono a censurare. 

Il progetto di Masharawi, oltre alla necessità di «avere tracce di quanto vissuto affinché la memoria venga preservata e la storia dell’occupazione della Palestina possa essere riscritta [tenendo] conto di quella dei palestinesi e in particolare di quelli di Gaza» come si legge sulla pagina web della produzione Coorigines Production, si prefigge l’obiettivo di valorizzare la creatività dei palestinesi, che continua a vivere nonostante la morte circostante. Una creatività finora mandata avanti da pochi, se si considera che Masharawi è stato a lungo l’unico regista in attività in tutta Gaza. E questo non per carenza di artisti o doti creative, ma per mancanza di pace e sicurezza, per essere stati privati del proprio territorio da oltre settant’anni dallo Stato di Israele, che colonizza spazi non suoi, grazie alle armi occidentali (e italiane). 

From Ground Zero è stato presentato alla terza serata del Taormina Film Festival, alla quale era presente lo stesso Masharawi che, insieme alla produttrice Laura Novikov, ha descritto tutte le difficoltà incontrate nella sua realizzazione, mentre nel frattempo i collaboratori e le collaboratrici seguivano la diretta dalle tendopoli della Striscia, o almeno chi tra loro è riuscito a sopravvivere. Avrebbe dovuto avere uno spazio anche al Festival di Cannes eppure, stando a quanto riporta la rivista israeliana (ma filopalestienese e con collaboratori palestinesi) +972 Magazine, il film di Masharawi è stato volutamente ignorato, annullando la proiezione all’ultimo minuto. Il motivo di tale scelta risiede nella volontà di avere “un festival senza polemiche” spiega Thierry Frémaux, il delegato generale del Festival. Dal canto suo il regista palestinese ha reagito a quella che, a tutti gli effetti è stata una censura, organizzando una proiezione di protesta montando – fuori dagli spazi della rassegna francese – una tenda e indossando una cravatta che richiamasse la kefiah palestinese.

A Taormina, invece, sembra non aver ricevuto lo stesso trattamento d’esclusione – il che è strano considerando la presenza di Elvira Amata, assessora al Turismo, allo Sport e allo Spettacolo siciliano di Fratelli d’Italia e del regista israeliano Amos Gitai, che però nel presentare il film Shikun critica il governo di Netanyahu definendolo “autoritario”. Tuttavia, risulta ancora poco chiaro il destino riservato alla distribuzione del film né tantomeno si sa se verrà mai trasmesso nelle sale italiane.

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