«Il trend continua ad essere positivo, perché c’è una crescita strutturale del turismo. Già a Pasqua abbiamo superato del 6% le presenze dello scorso anno. Per questi ponti di primavera i dati indicano un 5% in più dello scorso anno. Siamo riusciti anche a destagionalizzare il turismo, portando gente anche a gennaio, a novembre, mesi solitamente di fisiologico calo per la città». Si rallegra così l’assessore ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda del Comune di Roma Alessandro Onorato, in un’intervista rilasciata a Roma Today il 18 aprile scorso. E le buone notizie non finiscono qui secondo l’assessore, perché, prosegue, «lo scorso anno abbiamo avuto 50 milioni di presenze che è il record assoluto per la storia di Roma: neanche nel 2000 si sono visti così tanti turisti».
50 milioni di presenze. È una stima che fa un certo effetto e dovrà essere confermata a fine anno in via ufficiale. Se lo fosse, rappresenterebbe un impressionante +44% rispetto al dato sulle presenze totali in città nel 2022, che si era fermato (per modo di dire) a 34,7 milioni. Le cifre fanno un certo effetto, e non serve un dottorato in geografia urbana per capire che, in una città che a fine 2022 contava 2,8 milioni di residenti, flussi turistici di questa grandezza finiscono per influenzare inevitabilmente, e in profondità, il tessuto sociale, lavorativo e abitativo della città.
In questo contesto, nel 2025 la città si appresta ad organizzare, tra centinaia di cantieri e viabilità stradali che vanno modificandosi, il 25esimo Giubileo ordinario nella storia della Chiesa Cattolica. Un evento importante che, al quadro delle presenze turistiche “ordinarie” descritte in precedenza, aggiungerà la presenza in città di un numero extra di pellegrini e turisti che le stime quantificano attorno ai 32-35 milioni. Se ognuno di loro si fermerà a Roma per circa tre giorni, come accaduto sulla base dell’esperienza del Giubileo del 2000, questo si tradurrà in oltre 105 milioni di presenze aggiuntive in città, 30 milioni in più del Giubileo di inizio millennio (*¹). Anche immaginando una qualche sovrapposizione tra chi avrebbe comunque visitato la città nel corso del 2025 e chi lo farà solo per via del Giubileo, i numeri ci mettono di fronte ad una situazione critica per la capacità di assorbimento della città.
E qui non mi riferisco solo alle problematiche che incontreranno il settore alberghiero, dell’ospitalità, della ristorazione ecc. nel far fronte ad una mole così ampia di presenze, ma soprattutto a come rischia di trasformarsi la condizione abitativa generale della città. Perché è qui che il Giubileo rischia di lasciare le ferite più profonde. Il rischio infatti (con tempi eventualmente molto ristretti per correzioni in corsa) è quello che l’evento agisca da acceleratore di una turistificazione sempre più pervasiva della città. Finendo in qualche modo per sublimarla.
Per quanto gli alberghi continuino ad attrarre una quota cospicua dei flussi in città (62% delle presenze totali nel 2022), parlare di turistificazione a Roma ovviamente, come per molte altre città, significa parlare infatti della crescita imponente degli affitti brevi (aka principalmente Airbnb) e delle altre categorie di strutture complementari, che insieme attraggono il 71% in più delle presenze turistiche in città rispetto al 2016. Lasciando da parte il mare magnum di altre forme organizzative con cui si può mettere in piedi una struttura ricettiva cd. complementare, e concentrandoci quindi solo su affitti brevi e Airbnb, la loro proliferazione esponenziale rappresenta forse in questo momento la minaccia più pressante al diritto all’abitare a Roma, così come in altre città.
Una fotografia accurata della situazione attuale la offre sicuramente il rapporto “Di Casa a Roma”, presentato il 12 aprile scorso dall’associazione Nonna Roma e redatto con la collaborazione di esperti ed esperte che da anni monitorano l’evolversi del tessuto urbano a Roma. All’interno del rapporto, nella sezione dedicata agli affitti brevi, si riportano i dati emersi da uno studio del 2019 di Barbara Brollo, Filippo Celata, Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi, i cui numeri per Airbnb a Roma, vista la velocità del ritorno al contesto pre-pandemico, sono oggi molto simili all’immediato pre-Covid. Molte evidenze emerse nell’articolo sono ancora quindi del tutto attuali (anche se temo che il prossimo futuro imporrà a breve una revisione dei numeri al rialzo).
Ad esempio, il numero totale di annunci Airbnb (stanze singole o interi appartamenti) si colloca a Roma (oggi come nel 2019) ben al di sopra delle 30.000 unità (il 71,6% degli annunci sono oggi costituiti da interi appartamenti e il 26,1% da stanze singole), anche se quasi 8.500 di questi negli ultimi 12 mesi non hanno ricevuto alcuna prenotazione. Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio ad oggi, il I municipio la fa ovviamente da padrone, ospitando il 52% degli annunci totali presenti in città, seguito a grande distanza dal VII (7,5%), dal II (7,2%), dal XIII (6%) e dal XII (5%) (*²). I dati più bassi si registrano invece nel VI municipio (0,8%), nel IX (1,3%) e nel XV (1,7%).
Lo studio di Brollo, Celata, Lelo, Monni e Tomassi ci offre poi elementi fondamentali per capire l’integrazione tra il sistema degli affitti brevi e il tessuto residenziale (anche qui, i dati sono del 2019 ma i dati ad oggi sono praticamente gli stessi). Lo studio infatti considera come indicatore di tale fenomeno il rapporto tra posti letto offerti su Airbnb e residenti: al Centro Storico è del 72% (e se si aggiungono anche gli alberghi il rapporto sale al 112%), a Trastevere, Celio, XX settembre, Esquilino e Prati è del 40-50%, nelle zone Università e San Lorenzo il dato è di un posto letto ogni 4-5 residenti, così come nella zona del XIII municipio che si trova più a ridosso del Vaticano.
Ovviamente, uno degli aspetti che desta maggiore preoccupazione è la disponibilità di affitti a lungo termine, e il relativo canone di affitto. Il rapporto tra gli interi appartamenti in affitto a breve su Airbnb (escluse quindi le singole stanze) e il numero di famiglie residenti in affitto o comodato è particolarmente elevato a Trastevere, Centro Storico e Celio (sopra il 60%), ma anche in zone immediatamente circostanti quali Prati (34%), San Lorenzo (23%), Testaccio (14%), Tuscolano Nord, Appio, Della Vittoria e Gianicolense (circa 10%). Nel complesso del I Municipio questo valore è pari al 39%.
È fondamentale sottolineare poi come la turistificazione e l’“airbnbficazione” delle città abbiano la caratteristica di diffondersi a macchia d’olio all’interno del tessuto urbano, anche al di fuori delle aree più centrali. Un aspetto cruciale, perché i termini del dibattito a volte sembrano suggerire che per risolvere il problema basti esclusivamente adottare provvedimenti a tutela dei centri storici (sul modello ad esempio di quanto fatto a Firenze), quasi si trattasse solo di un problema di tutela del patrimonio storico-culturale, se non addirittura di “decoro”, categoria ontologica tanto cara alla borghesia dei centri urbani. E invece a Roma la crescita maggiore di annunci su Airbnb tra il 2016 ed oggi ha riguardato aree della cosiddetta città consolidata e della periferia storica (oltre al caso particolare di Ostia).
Il che ci porta dritti al cuore del problema. Perché, nel caso non bastasse l’evidenza aneddotica che ognuno di noi può raccogliere sul moto centrifugo dei residenti verso le corone esterne della città, la letteratura accademica sul tema ha riscontrato ormai in una pluralità di casi che dove aumentano gli Airbnb crescono i valori immobiliari e i canoni di locazione. Su questo gli esempi a livello globale spaziano da New York (Sheppard e Udell, 2016; Wachsmuth 2018), Boston (Horn e Merante, 2017), Los Angeles (Lee, 2016), a varie altre città statunitensi (Barron, Kung and Proserpio, 2020), fino all’Europa in diverse città francesi (Ayouba et al., 2019), portoghesi (Franco e Santos, 2021) e spagnole (Yrigoy, 2019, Garcia-López et al., 2020). Come sempre nel caso di un’evidenza scientifica in via di consolidamento, gli studi pervengono ad ordini di grandezza diversi per quanto riguarda l’effetto di Airbnb su affitti e prezzi delle case (anche per la diversità di metodologie statistiche utilizzate). A titolo di esempio, lo studio di Garcia Lopez e coautori del 2020 documenta che in un generico quartiere non turistico di Barcellona, la penetrazione di Airbnb nel periodo dal 2012 al 2016 ha in media provocato un aumento degli affitti dell’1,9%, e del 3,7% del prezzo di vendita degli immobili. In un quartiere turistico della città invece l’effetto aumenta drasticamente, fino ad arrivare al 7% per gli affitti e al 14% per il prezzo di vendita. Lo studio di Barron e coautori del 2020, condotto su un campione di città statunitensi, suggerisce invece che un aumento dell’1% negli annunci Airbnb in una determinata zona provochi un aumento dello 0,018% nel livello degli affitti e dello 0,026% nel prezzo delle case.
A Roma invece come siamo messi dal punto di vista del caro-affitti? In generale la risposta non è positiva, anche se alcune zone ovviamente sono più in sofferenza di altre. I dati di Idealista ad aprile 2024 ci dicono che i canoni di affitto a Roma sono cresciuti in generale del 25% rispetto ad aprile 2019 (16,50 €/m2 vs 13,20 €/m2). Nello stesso arco di tempo alcune delle zone che hanno visto una maggiore penetrazione di Airbnb hanno subito aumenti consistenti (14,6% per il Centro, che su Idealista comprende anche le zone urbanistiche dell’Esquilino; 16,4% per Prati; 17% per i Parioli; 23% per l’area Nomentano-Tiburtino, che include principalmente l’area attorno alla Sapienza, oltre al quartiere di San Lorenzo; 24,1% per il quartiere Appio-Latino). Aumenti più “contenuti”, tra le zone a più alta penetrazione di annunci Airbnb, si sono verificati nella zona del Prenestino (5,5%) e di Montesacro (10,8%). Anche se la discrepanza tra la definizione geografica dei quartieri per Idealista e le zone urbanistiche ufficiali non consente di approfondire la correlazione statistica tra la penetrazione di Airbnb e l’aumento dei canoni di locazione, visti gli ordini di grandezza di cui parliamo in termini di annunci e presenze sul territorio, non sembra troppo azzardato ipotizzare che anche nel caso romano possa esserci un qualche nesso di causalità tra i due fenomeni.
È in questo contesto abitativo già sotto pressione che si va quindi ad inserire il Giubileo dell’anno prossimo, con un programma di opere da 1,3 mld di euro. A scorrere la lista degli interventi però, per quanto riguarda la città di Roma, i lavori si concentrano principalmente nel I municipio, con il rifacimento della pavimentazione di arterie stradali importanti del centro o la riprogettazione di grandi piazze (Piazza Pia, Piazzale dei Cinquecento, Piazza San Giovanni e altre). Per il resto sono pochi i progetti previsti per gli altri quartieri (tranne alcuni meritevoli per riqualificare alcune aree delle sponde del Tevere), ma in generale restano le briciole, e quel senso che a volte l’obiettivo prioritario dell’investimento pubblico sia trasformare parti della città in un salotto turistico. Nel quale le necessità e i bisogni dei residenti, che ne vivono i conflitti e le trasformazioni profonde, non sono oggetto di particolari attenzioni.
Ovviamente, ma non c’era forse nemmeno bisogno di specificarlo giunti a questo punto, non sono previsti progetti e fondi in grado di arginare l’attuale dinamica degli affitti brevi in città. E visto che oggi destinare un appartamento alle locazioni brevi turistiche rappresenta chiaramente un investimento molto più remunerativo per i proprietari di casa rispetto ad un affitto a lungo termine, ecco che le cronache cittadine iniziano a riempirsi di mancati rinnovi di contratti di locazione, di sfratti, di case popolari Ater trasformate in Airbnb e di tutto quello che la turistificazione si porta inevitabilmente dietro.
Ma la turistificazione non è un destino ineluttabile. Anzi. Nei corsi di politica economica all’università uno dei primi concetti che solitamente si affronta è quello di esternalità negativa, un concetto che si manifesta tutte quelle volte che il libero dispiegarsi delle dinamiche di mercato non è in grado di tenere adeguatamente in considerazione i costi sociali di una determinata attività economica. E a me, da un po’ di tempo, sembra che questa definizione si applichi perfettamente al settore turistico. Quando si è in presenza di un’esternalità negativa, le soluzioni possono essere diverse. Dalla tassazione, ai limiti di quantità, alla messa al bando di un certo numero licenze, come è stato fatto in molte città europee anche nel caso degli affitti brevi, con risultati positivi. E se è vero che in Italia la legislazione in materia è riservata principalmente allo Stato (che ha legiferato sull’argomento una sola volta, nel 2017), non è altrettanto vero, come invece suggerisce pilatescamente l’assessore Onorato, che i comuni non abbiano alcuna possibilità di arginare il fenomeno (anche le regioni hanno competenze in materia, dato che come sempre in Italia le attribuzioni su un dato argomento vengono spalmate su 4-5 livelli legislativi diversi..). Anzitutto i comuni potrebbero partire dal cercare di impedire un ulteriore aggravarsi del problema, ad esempio evitando modifiche ai piani regolatori che consentano ulteriori frazionamenti delle unità residenziali e riclassificazioni “accomodanti” per le destinazioni d’uso degli appartamenti (come proposto recentemente dalla Giunta Capitolina). Oppure, nel caso specifico del Comune di Roma, ci si potrebbe assicurare che i 45,5 mln di euro previsti alla voce “Turismo” delle spese del bilancio comunale nel triennio 2024-2026 siano destinati in larga parte ad una trasformazione del settore in una chiave più sostenibile e assimilabile dall’ecosistema della città.
Per concludere, la turistificazione è un fenomeno complesso, sintomo e causa allo stesso tempo della crisi d’identità della città contemporanea, nella sua vocazione di spazio pubblico di aggregazione di fenomeni socioeconomici (la foodification sarebbe un altro ottimo esempio delle stesse dinamiche disfunzionali). Ciò che è importante ribadire in questa sede è che, al contrario di quanto una certa narrazione ha affermato per anni, il turismo non può rappresentare un vero motore di sviluppo socio-economico, essendo al massimo da un lato un pannicello caldo di esiguo sostegno al reddito per le fasce meno abbienti, e avvantaggiando invece dall’altro chi è in grado di estrarre reddito dai propri asset all’interno dell’economia della rendita urbana (immobiliare e non solo). Roma, che da sempre è fortemente sbilanciata su un’economia di rendita, rischia di soffrire particolarmente questi trend, con il rischio di rimanere intrappolata in una spirale di crisi abitativa per i residenti, lavoro povero e dinamiche estrattive legate alla rendita. In una parola, in una spirale di sottosviluppo quasi coloniale.
Mentre è opportuno interrogarsi a fondo su quale possa essere una visione più incisiva e ampia per il futuro della città, occorre agire il prima possibile per evitare che il Giubileo rappresenti un’occasione di inasprimento di queste disfunzionalità. Anche perché, occorre ricordarlo, la gestione di ogni fenomeno sociale è sempre il frutto di scelte politiche, inerziali o deliberate che siano.
(*¹) Tra il Giubileo del 2000 e quello del 2025 c’è stata anche l’indizione del Giubileo straordinario dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016, i cui numeri però, a causa del clima di forte tensione per via dei numerosi attacchi terroristici in tutta Europa, non sono paragonabili e hanno tutt’altro ordine di grandezza.
(*²) Ovviamente, essendo i municipi di Roma particolarmente estesi (si pensi ad esempio ai casi del VII, del XIII e del XII), e avendo la maggior parte di essi una conformazione a “spicchio”, all’interno di alcuni il problema interesserà maggiormente alcune porzioni di territorio rispetto ad altre, concentrandosi nelle zone urbanistiche più prossime al centro (si pensi alle aree più vicine al Vaticano all’interno del XIII municipio).