Tanto imprevedibile quanto energico nel suo quotidiano, il secondo mandato presidenziale di Donald Trump rappresenta sempre più una variabile indecifrabile nel suo continuo mutamento.
“Riscoperte” alcune velleità legate a secoli passati della storia statunitense (nel richiamo al pragmatismo politico di Theodore Roosevelt), le mire espansionistiche portate avanti in questi mesi dal tycoon newyorkese si sono riversate sul Canale di Panama, sul Canada e sulla Groenlandia.
Tre fronti differenti sui quali l’America trumpiana è scesa in campo per cercare di imporre la propria volontà, quel “destino manifesto” da sempre legato agli Stati Uniti (almeno dal loro punto di vista).
I risultati al momento sono lontani da quanto previsto: pochi giorni fa una serie di articoli pubblicati dal South China Morning Post hanno annunciato che la Repubblica Popolare Cinese sia intervenuta per bloccare l’accordo multimiliardario di vendita dei porti a gestione cinese lungo il canale, proprio quando tutto sembrava prossimo alla firma tra la CK Kutchinson Holdings (multinazionale con sede a Hong Kong) e il fondo speculativo Blackrock.
In secondo luogo, dopo il ritiro dalla vita politica di Justin Trudeau (su cui Trump ha giocato un ruolo decisivo), nelle scorse settimane è arrivato il nuovo Primo Ministro canadese nominato dal Partito Liberale: Mark Carney, economista con un passato da governatore della Bank Of England il quale ha prontamente rivendicato l’indipendenza del proprio paese a fronte delle “promesse” trumpiane di renderlo “il cinquantunesimo stato americano” e delle minacce di seppellirlo in una guerra commerciale senza esclusione di colpi tra i due Paesi.
Da ultimo, lo sguardo di Trump è tornato a puntare la grande isola in mezzo al Mare Artico.
Una panoramica generale sulla Groenlandia
Perché la Groenlandia è diventata d’interesse strategico per Donald Trump? A riguardo è utile tracciare anzitutto una breve panoramica sul territorio artico, dal momento che nelle dinamiche tra Stati Uniti e Groenlandia c’è un terzo attore chiave: la Danimarca, di cui l’isola è parte integrante dal 1953 pur essendo dotata di propria autonomia decisionale in seguito al c.d. “Home Rule Act” del 1979.
Il territorio, che conta una popolazione complessiva di quasi 57.000 abitanti concentrata in prevalenza nella sua capitale Nuuk (che con i suoi quasi 20.000 abitanti rappresenta il 35% della popolazione groenlandese) e nei pochi altri insediamenti lungo le coste, ha recentemente tenuto le proprie elezioni politiche (11 marzo) nelle quali ha prevalso il gruppo dei Demokraatit con il 30,26% delle preferenze, in un clima decisamente appesantito dall’intervento statunitense: la visita “a sorpresa” del Vice Presidente JD Vance, accompagnato dalla moglie e dall’inviato speciale di Trump Michael Waltz, ha creato infatti profondo disappunto tra gli abitanti.
Il partito dei Democratici, rispetto alle altre forze politiche in campo, ha un approccio più graduale sul percorso d’indipendenza della Groenlandia, al contrario degli indipendentisti di Naleraq (secondi con quasi il 25% dei voti) che rimangono fautori di un referendum immediato e che vedono con interesse alle dichiarazioni di Trump.

Il Vice Presidente degli Stati Uniti d’America JD Vance in visita alla Pituffik Space Base in Groenlandia.
Fonte immagine: @VP on X (fotografia dell’Office of Vice President of the United States, opera di pubblico dominio)
A Trump “serve la Groenlandia”…ma per cosa?
Non è la prima volta che Donald Trump punta con forza sulla Groenlandia, ma di certo da allora sono cambiati nettamente i toni.
Il primo tentativo era avvenuto durante il suo primo mandato presidenziale, quando nell’estate del 2019 si mostrò propenso a presentare un’offerta alla Danimarca per l’acquisto dell’isola.
Un’offerta rapidamente rispedita al mittente dal Primo Ministro socialdemocratico danese Mette Frederiksen che in un’intervista a un quotidiano locale ribadì come la Groenlandia non fosse in vendita.
La veemente risposta della Frederiksen portò allora il tycoon a sospendere i preparativi per il suo viaggio presidenziale a Copenaghen [1], che di lì a poco sarebbe stato annullato del tutto.

L’incontro del 4 dicembre 2019 tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Primo Ministro Mette Frederiksen in occasione del 70° anniversario della NATO a Watford, nel Regno Unito (fotografia di Shealah Craighead)
Fonte immagine: Trump White House Archived / Flickr (opera di dominio pubblico)
A distanza di sei anni, il secondo insediamento di Trump alla Casa Bianca ha portato a un nuovo e insistente assalto alla Groenlandia, una mossa messa in pratica già da prima del passaggio di consegne con il presidente uscente Joe Biden: lo scorso Gennaio infatti, era stato suo figlio Donald Trump Jr. a recarsi in Groenlandia per raccogliere il sentimento della popolazione locale (o perlomeno dei sostenitori della possibile annessione statunitense).
Più passa il tempo e più ci si accorge di come non si tratti più di una boutade e di come sia stato superato il semplice déjà-vu: il presidente statunitense appare infatti più determinato che mai a raggiungere l’obiettivo, al punto di alimentare una vera e propria crisi diplomatica con la Danimarca.
Le motivazioni addotte da Donald Trump? Per il presidente statunitense si tratta di una questione di “sicurezza nazionale e internazionale”.
Esiste tuttavia una spiegazione alquanto diversa da quella ripetuta incessantemente dalla Casa Bianca: il graduale scioglimento della calotta polare artica in seguito ai cambiamenti climatici sta infatti aprendo delle possibili nuove rotte di navigazione nell’area e sta facendo emergere le vere motivazioni dietro all’interesse statunitense.
Si sta parlando delle risorse naturali della Groenlandia, un tesoro di enorme valore custodito dall’isola contesa e composto – stando a vari rapporti pubblicati negli ultimi anni – da grandi depositi di terre rare (che la collocano all’ottavo posto nel mondo) e giacimenti di minerali come oro, zinco, cobalto, piombo e nichel, la presenza di uranio e – da ultimo – petrolio e gas naturale.
Per gli Stati Uniti è dunque una questione di approvvigionamento delle risorse, nel contesto della più ampia contrapposizione globale in atto tra Washington D.C. e Pechino, una minaccia molto concreta agli occhi di Trump.
Mentre la Groenlandia si riunisce in un governo di larghe intese anti-trumpiano (con la sola eccezione del partito Naleraq), il presidente statunitense continua a ribadire come sia sua intenzione quella di ottenere la Groenlandia a qualunque costo, al punto da non escludere più neanche l’uso della forza.

Fonte immagine: PIRO4D/Pixabay
Note e ulteriori riferimenti
[1] @realDonaldTrump/Twitter (21/08/2019, ultima consultazione il 31/03/2025)
Fonte immagine in copertina: Chickenonline / Pixabay