Le pagelle delle Elezioni 2022: il Centrodestra

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E anche queste elezioni 2022 sono finite. Una campagna elettorale brutta, con il minimo storico dell’affluenza (ma ormai non fa più notizia), che ci regala il governo più a Destra della storia repubblicana.

Temi giovanili? Praticamente scomparsi. Ambiente? Non sia mai, la gente non riesce ad arrivare alla fine del mese e voi pensate a queste facezie? Per i diritti civili, anche qui, dibattito non pervenuto

Ecco le nostre pagelle della campagna elettorale (qui quelle dell’opposizione). Ovviamente possiamo solo coprire i partiti più grandi (nessun rancore, Sudtiroler Volkspartei), ma cercheremo di essere i più obiettivi possibili. Nel mentre, per chi vuole scappare, i voli sono tornati a dei prezzi decenti. Dai, se siete fortunati, è capace che ci sia Sergio Mattarella, sul sedile vicino al vostro.

Chi vince ha sempre ragione, nelle campagne elettorali. Il paradosso del Centrodestra è che a vincere è stato solo uno dei contendenti. Così, il Centrodestra è come le liste in discoteca: Giorgia+2

Fratelli d’Italia

Giorgia Meloni Fratelli d'ITalia TIKTOK
I meloni li teneva in frigo per l’occasione da inizio estate?

Riuscire a vincere le elezioni da outsider con un passato da farti perdonare è ammirevole. Riuscirci con dei relitti come Ignazio La Russa e Daniela Santanché è semplicemente un miracolo. A maggior ragione considerando che la gente (il prossimo che usa il termine “popolo” lo butto giù dalla finestra) ti considera il partito nuovo.

Una Meloni che si sdoppia: nelle piazze è Giorgiña, la madre cristiana che ama la croce e vuole vedere un governo Macarena; in TV (che poi, è lì che l’elettorato si fa un opinione) un incrocio fra Winston Churchill e il Dalai Lama, con i suoi momenti zen da «Non cado nelle provocazioni». Su una cosa ha ragione: gli attacchi personali a Giorgia diciannovenne lasciano il tempo che trovano e sono ingenerosi (grazie al cielo che non ci sono prove televisive dei miei diciannove anni).

Sfrutta a piene mani il fatto di essere donna, il fatto che in Europa nessuno (a parte Polonia e Ungheria) la ama e riesce a sdoganare un partito erede di una tradizione fascista. Riesce persino a ricevere l’endorsement di Sanna Marin (peggior delusione della mia campagna elettorale) e uno tiepido di Hilary Clinton («Una donna premier è una rottura con il passato»).

Ci piace pensare che dopo quel comizio la Meloni abbia parlato in spagnolo con Ignazio (pardon, Iñacio la Roja) per una settimana

Inoltre, riesce (vediamo quanto durerà) a presentarsi come garante del posizionamento atlantico dell’Italia. Se non ha guadagnato consensi a livello internazionale, sta avendo almeno il beneficio del dubbio da parte del mondo occidentale. La scalmanata che temono per la guerra in Ucraina non è Giorgia, ma i suoi alleati Berlusconi e Salvini. L’endorsement di Pino Insegno-Aragorn, per una cresciuta a suon di campi Hobbit e in periodo di serie Amazon sul Signore degli Anelli è la ciliegina sulla torta.

Unico appunto: il peso comunicativo dell’intera campagna elettorale è nelle sue mani. Giorgia fa le interviste; Giorgia fa video su TikTok con due Meloni in mano il giorno del silenzio elettorale; Giorgia fa nuovi remix. Fra lei e la premiership c’è veramente un nulla. I MELONI, SIGNORAAAA. Voto: 8

Forza Italia

Silvio Berlusconi è come Don Abbondio: un vaso di coccio fra vasi di ferro. Però, tocca ricordarsi come, alla fine dei Promessi Sposi, l’eroe senza macchia e senza paura Fra Cristoforo muore. Don Abbondio, chiuso nella sua canonica con la fedele Marta Fa… Perpetua, no. È un po’ quello che succede a Berlusconi.

Campagna elettorale iniziata perdendosi per strada Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, ultimi bastioni di una politica moderata rimasti nel partito. Restano: Antonio Tajani, il Carlo III di FI (forse Berlusconi gli darà la leadership come regalo per il suo ottantesimo compleanno); Anna Maria Bernini; e infine Maurizio Gasparri: un applauso alla sua coerenza nel non andare in FdI. La Russa era già pronto a riformare il dynamic duo.

In una campagna elettorale in cui FI viene sostanzialmente ignorata dal Centrosinistra, perché considerata inoffensiva e pronta a spegnersi (politicamente), FI fa un calco di quella del ’94. Il derby personale con Carlo Calenda, che gli ha tolto le due donne più riconoscibili del suo partito, è acre e alla fine vede FI avanti, sebbene non senza patemi.

Berlusconi ci mette tutte le energie (poche) che ha. Una campagna elettorale imbarazzante nei contenuti, ma che fa il suo: FI dimezza i consensi, ma resta comunque intorno all’8%. Per chi si chiedesse come fa a fare un risultato del genere uno che promette pensioni minime a 1000€, dentiere gratis e che attacca frontalmente l’Ucraina a 48h dal voto, allego documentazione di seguito. FORZA MEME. Voto: 6 e mezzo

Lega

Matteo Salvini bacioni
Bacioni, olio su tela

Immaginiamo Matteo Salvini, Luca Zaia, Massimo Fedriga e Lorenzo Fontana chiusi in una stanza. E non vorremmo essere Matteo Salvini.C’era un tempo in cui ogni cosa che il capitano toccava diventava oro. Oggi, ogni volta che Salvini cerca di contattare Zaia e Fedriga, ottiene lo stesso risultato degli operatori di telemarketing «No, ha sbagliato numero», oppure «Oh Matteo, sto giusto passando per una galleria. Ti richiamo io appena posso, grande!».

Matteo Salvini in Campagna elettorale del 2019
Convinto te, Matteo

Se Berlusconi può contare sull’effetto nostalgia per il ’94, Salvini che fa la campagna fotocopia del 2018 non funziona. Ed è facile capire il perché: il ’94 era un periodo da favola, con salari alti e un vibe ancora da Prima Repubblica; il 2018 era il decimo anniversario della crisi economica, il Paese era incattivito e arrabbiato. Metteteci il fatto che c’è stato di mezzo il Covid, l’Ucraina (e quindi gli immigrati li hanno dimenticati tutti) e la storia d’amore tormentata di Salvini per Vladimir Putin. Il mezzo punto sopra Berlusconi è perfettamente normale.

Nutella, rosari e comunicazione da papà boomer. Adesso serve un cambio di passo, senza se e senza ma. PORTA IN ALTO LA MANO, VATTENE VIA CAPITANO. Voto: 3

Noi Moderati

In ogni concerto ci sta la band di supporto, prima dell’apertura. Poveri Cristi che nessuno conosce, oppure vecchie glorie in declino. In ogni caso, nessuno si ricorda di loro dopo il concerto. Questo è quello che rischia di fare Noi Moderati, sigla che unisce le formazioni politiche di Maurizio Lupi, Giovanni Toti e Luigi Brugnaro. Che ha cambiato alleanze e soprattutto nome 2-3 volte negli ultimi anni.

Inoltre gli spot elettorali sembrano usciti fuori da un gioco di Animal Crossing a livello grafico; da un video dei Finley a livello musicale. DATE UN GRAFICO A QUESTI UOMINI. Voto: 5

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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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