Cry Macho è un film da vedere

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Che sia il canto del cigno o un altro tassello di una carriera senza fine, Cry Macho è un film che va visto.

Strana cosa, la vita di Clint Eastwood: a 91 anni è appena uscito Cry Macho, l’ennesimo film in cui sei regista e attore protagonista, e nel tuo paese sei nel vortice delle polemiche. La ragione? L’attore protagonista di Gran Torino, 13 anni dopo il film, sostiene che il tuo lavoro «fomenti il razzismo». Chi, invece, ti sostiene invita gli altri fan a vedere il film perché «potrebbe essere l’ultimo». Lo fa da quasi 10 anni, tante volte senza nemmeno prestare attenzione alla trama o alla qualità del film, ma semplicemente per prepararsi all’addio.

Ed è proprio questa la difficoltà: concentrarsi su pregi e difetti del film, quando a recitare è un mostro sacro come Eastwood. Che a ogni giro sembra volersi prendere gioco della vecchiaia.

Polli e pupi

Sembra di essere tornati indietro di 40 anni. Cry, Macho si apre con Eastwood, con un cappello da cowboy che ricorda i suoi primi western, catapultato in Texas.

Invece il West ci interessa poco: siamo nel 1979, e il suo personaggio Mike Milo è appena stato licenziato, dopo anni di onorato servizio come cowboy da rodeo. Ha problemi con l’alcool, il fisico non è più lo stesso dopo un brutto incidente.

Caduto in un vortice di depressione e circondato dalle pagine di giornale che ricordano la sua carriera al rodeo, Mike viene reclutato dal suo ex capo per un’ultima missione: andare a recuperare suo figlio, Rafo, avuto tredici anni prima dopo aver passato la notte con una donna messicana.

Rafo è sbandato, odia la madre dispotica e il padre di cui non sa praticamente nulla. Vive di espedienti per strada, con un gallo di nome Macho.

Un film che viene da lontano

Iniziamo col dire una cosa: questo film ha una storia molto problematica. Era nei progetti di Eastwood sin dal 1988, quando l’autore del romanzo Cry Macho, Richard Nash, aveva bloccato tutto perché era «troppo giovane» e perché aveva in cantiere i film dell’ispettore Callaghan.

Nei successivi 30 anni, il ruolo è stato offerto ad altri attori che hanno smesso per le ragioni più disparate: nel 1991 la produzione ci aveva provato con Roy Scheider, ma il progetto era naufragato in qualche mese. Sono seguiti abboccamenti con Pierce Brosnan e Burt Lancaster, anche questi conclusi con un nulla di fatto. Nel mentre, Richard Nash era morto nel 2000.

Poco dopo la morte, però, sembrava che fosse il momento di Arnold Schwarzenegger: l’attore era interessatissimo nel 2003, ma la sua elezione a governatore della California gli fece mettere tutto in standby. Con una promessa: appena finito il mandato, avrebbe dato la priorità a Cry Macho.

Nel 2011, quando si pensava che tutto potesse andare a nozze, nuovo colpo di scena: Schwarzenegger divorzia dalla moglie Maria Shreier. Dopo anni in cui la stampa aveva cercato di provare tradimenti di ogni genere, Terminator decide di confessarsi con il LA Times: ha da 10 anni un figlio suo e della governante, tenuto nascosto non solo ai giornalisti, ma anche alla famiglia.

Va bene metodo Stanislavski, però è troppo anche per la produzione, che decide che non è il caso di insistere con lui. Rischiava di entrare nella nostra top 10 dei ghost movies, i film mai prodotti. Invece, 10 anni dopo è il turno di Eastwood.

Era il momento giusto?

La domanda che ci si pone, nel vedere il film è proprio questa. Eastwood è un campione, un titano, ma la produzione voleva scritturarlo nel 1988, quando ancora c’erano l’URSS, Ronald Reagan e il festival di Sanremo lo vinceva Perdere l’amore di Massimo Ranieri. Clint ha vinto la scommessa? Sì e no. Vediamo rapidamente perché.

Perché no:

Diciamoci la verità: in certi passaggi subentra un po’ l’effetto Abe Simpson. Eastwood è bravissimo a recitare, a dare spessore al suo personaggio. In compenso, si vede che il ruolo è stato scritto per qualcuno di più giovane: in una scena, uno dei personaggi prova a sedurlo. Va detto che non è proprio tanto credibile da questo punto di vista.

Stesso discorso vale per alcune scene d’azione: la postura per fare a cazzotti l’ha mantenuta, Clint. Ma certo sarebbe stato più credibile a 60 anni circa.

Ci sono anche alcuni “buchi di trama”. Probabilmente sono rimasti sia per il carattere “lampo” della produzione (46 giorni per un film di quasi 2 ore è un qualcosa da stakanovisti) sia per il fatto che forse Eastwood non aveva il fisico per girare certe scene.

Ad esempio, a un certo punto lui e Rafo girano per il deserto. Sono senza acqua, senza auto, senza cibo. Non abbiamo letto il romanzo di Nash, quindi non sappiamo cosa succede nel mezzo. Lascia però un po’ interdetti lo stacco direttamente su di loro in un villaggio. Come ci sono arrivati?

Perché sì:

30 anni non passano invano, a maggior ragione se ti chiami Clint Eastwood. Nel 1988, aveva rifiutato la parte perché stava lavorando a Scommessa con la morte, l’ultimo film dell’Ispettore Callaghan. Riproponiamo qui alcune citazioni della pellicola:

I pareri sono come i coglioni: ognuno ha i suoi.

H. Callaghan

Ho qui il tuo oroscopo. C’è scritto che oggi hai chiuso!

H. Callaghan

I film dell’Ispettore Callaghan sono un cult. Cry Macho, però, con quello spirito avrebbe rischiato di trasformarsi in una marchetta alla Smith&Wesson e alla lobby delle armi (di cui Eastwood fa parte).

Oppure ci saremmo trovati con i messicani a fare i personaggi di contorno, come gli indiani dei western: privi di una loro razionalità e sensibilità paragonabile a quella del protagonista.

Invece, sono passati 30 anni estremamente fecondi per Eastwood: nel 1992 vince l’Oscar con Gli Spietati. Poi, inizia anche a rimodellare il suo personaggio: è il momento in cui esce I ponti di Madison County (1995, il famoso film con Meryl Streep che serve a Salvini per diventare da Oscar?), Million Dollar Baby (2005) e soprattutto Gran Torino(2008).

Senza contare l’inizio della sua attività da regista, che ci restituisce un Eastwood molto meno “gretto” di quello che sembrava sullo schermo.

In particolare, Cry Macho deve moltissimo a Gran Torino: sebbene in un contesto più movimentato, ripercorre l’idea dell’anziano anche “disilluso” rispetto a quello che l’America sta diventando; del giovane ragazzo sbandato alla ricerca di una guida.

Per chi non ha mai visto il film del 2008, possiamo dire che Clint Eastwood un po’ di paternalista lo è in Gran Torino. Ma non è un paternalismo chiuso o unidirezionale: l’anziano e il giovane imparano a vicenda in questo tipo di pellicola, fino a sviluppare un rapporto paritario.

Questo succede anche in Cry Macho: i due personaggi hanno bisogno l’uno dell’altro, per crescere e ritrovarsi. Siamo sicuri che il film sarebbe stato altrettanto “delicato” nel 1988?

U-S-A?

Non è la prima volta che Eastwood si reca in Messico e nemmeno la prima in cui recita la parte del “vecchietto terribile”. Nel 2018 era stato il momento di The Mule: Earl Stone, ex botanico in rotta con la famiglia, si metteva al servizio di un cartello della droga per fare il corriere senza avere troppe grane. I messicani erano personaggi di contorno, appartenenti a un cartello. L’azione, quella vera, era rappresentata dagli americani.

In Cry Macho, invece, gli americani non esistono praticamente. C’è Mike e il suo ex capo, Howard. Per il resto, tutti i personaggi sono messicani, e stavolta hanno anche un certo spessore: ci sono i cattivi e i personaggi dissoluti, ma anche personaggi buoni, donne forti e indipendenti, persone gentili.

Eastwood viene spesso tacciato di conservatorismo, talvolta di eccessivo incasellamento in determinati stereotipi e di essere accecato dal patriottismo. Ecco, questo film è l’ennesima prova che chi lo attacca ha torto: Howard, l’unico personaggio americano (oltre a Mike, chiaro) è un concentrato di tutto ciò che di maligno e decadente si possa trovare.

La fiducia nell’umanità la troviamo in Rafo o nella locandiera Marta, rimasta vedova in un piccolo villaggio, in grado di salvare in più occasioni Mike e di farlo uscire dal torpore esistenziale in cui si è trovato. E, attenzione, i personaggi sono tutto fuorché “buoni selvaggi”, sempliciotti che non conoscono il male.

Clint Eastwood è forse uno dei pochi attori apertamente repubblicani a Hollywood: ha fatto campagna per Romney e ha fatto endorsement persino per Trump nel 2016. Questa nuova sensibilità potrebbe venire anche dal disgusto per un mondo repubblicano che vede andare sempre più a Destra, che è sempre più becero? Nel 2020 aveva tolto il suo appoggio a “The Donald”

La politica non è insultare le persone via Twitter. Io sostengo la candidatura di M. Bloomberg con il partito democratico, penso sia la persona giusta.

È il mondo che è andato a Destra o Eastwood che è diventato più liberal? Non lo sappiamo, ma in fondo questo conta davvero?

No more guns?

Inoltre, questo è forse il primo film di e con Clint Eastwood in cui non vedo praticamente spari. Ce ne saranno due o tre in tutto il film, e nessuno di questi viene da Mike. È la vecchiaia di Eastwood? Sicuramente. Ma anche segno di un attore e regista in grado di emanciparsi dall’immaginario leoniano e post-leoniano di giustiziere.

Rafo: Te sei stato un Macho?

Mike: Sono stato tantissime cose, ma ti dirò una cosa: questa roba del Macho è sopravvalutata. È solo qualcuno che vuole fare il macho per dimostrare che ha fegato, ma rimane con un pugno di mosche.

Ed è forse in questo la grandezza di Eastwood: il riuscire a reinventarsi di volta in volta, ma senza perdere la sua identità. A differenza di altri registi, che cercano di capire dove va il vento e seguono un filone, lui resta sempre nella stessa posizione, è sempre lui. Ma non è mai statico, l’io artistico di Eastwood è in lentissima ma continua evoluzione.

È come per tutto nella vita: pensi di sapere tutto, di avere le risposte. Poi invecchi, e scopri che non sai un bel niente.

Mike milo, Cry macho, 2021

Alcuni dialoghi, Eastwood pare li indirizzi a sé stesso: cosa resta delle nostre granitiche certezze? Cosa è rimasto in Clint dei vari personaggi (quelli sì, davvero Machos) che ha interpretato nel corso degli anni?

Proprio questa atmosfera riflessiva sul senso della vita e sullo scorrere del tempo, unita alla scelta dell’happy ending, ha portato diversi critici a pensare che questo sia l’ultimo film di Eastwood, la sua maniera per dirci addio con un sorriso. Chissà. Di sicuro, godiamoci ognuno di questi film come se fosse l’ultimo: perché è un privilegio e una gioia ogni volta vedere l’espressione «alla Clint Eastwood» su uno schermo.

Trailer del film

Autore

Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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