Crisi missilistica di Cuba: quella volta in cui USA e URSS sfiorarono la guerra nucleare

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Il 14 ottobre del 1962 un aereo spia americano U2 fotografò le prove che l’Unione Sovietica stava costruendo a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti. Quel giorno cominciò la più grave crisi dall’inizio della guerra fredda: per tredici lunghi giorni Unione Sovietica e Usa si fronteggiarono, arrivando più volte vicini alla guerra nucleare; quando la Crisi dei missili di Cuba raggiunse l’apice, il 27 ottobre 1962, l’allora ministro della Difesa statunitense, Robert Mc Namara, commentò così ciò che stava avvenendo: «Credevo fosse l’ultimo sabato che avrei mai visto».

L’antefatto: l’invasione della Baia dei Porci

Tutto cominciò alcuni mesi prima, quando all’inizio della sua presidenza, John Fitzgerald Kennedy (eletto presidente degli USA nel novembre 1960) tentò di soffocare il regime di Fidel Castro a Cuba, sia boicottandolo economicamente, sia appoggiando i gruppi di esuli anticastristi armati e organizzati dalla CIA che tentarono, nell’aprile 1961, una spedizione armata nell’isola.

Lo sbarco, che ebbe luogo in una località chiamata Baia dei Porci, sulla costa meridionale di Cuba, e che, nei progetti americani, avrebbe dovuto suscitare un’insurrezione contro Castro, non andò come previsto. Anzi. L’esercito cubano bloccò gli esuli sulla spiaggia, nessuno insorse per appoggiarli, Kennedy si rifiutò d’impegnare le forze armate americane e l’operazione fallì miseramente. I combattenti anticastristi contarono circa 104 morti, mentre l’esercito cubano ne contò 157 – ma sotto i bombardamenti morirono molti civili. 26 combattenti, invece, riuscirono a ritirarsi e furono tratti in salvo da un sommergibile americano in condizioni pietose, essendo rimasti 5 giorni senza cibo e senza acqua.

Circa 1.113 esuli anticastristi si arresero, furono arrestati, imprigionati e processati; furono trattati umanamente e venti mesi dopo, il 21 dicembre 1962, furono rilasciati in cambio di 53 milioni di dollari in alimenti per bambini e farmaci. L’ invasione della Baia dei Porci si risolse perciò in un gravissimo scacco per l’amministrazione Kennedy.

Un vecchio detto dice che la vittoria ha cento padri ma la sconfitta è orfana.

J.F. Kennedy, nell’annuncio televisivo della sconfitta
Fidel Castro pattuglia le spiagge a Playa Giròn

La risposta dell’URSS: entra in scena Chruscev

Nella tensione così creatasi si inserì l’Unione Sovietica: l’attenzione di Chruscev, leader dell’URSS dal 1957, si appuntò su Cuba; per i dirigenti sovietici la resistenza di Castro e del popolo cubano era l’emblema di una tendenza storica all’affermazione del socialismo e del comunismo nel Terzo Mondo. L’URSS iniziò così a fornire una massiccia assistenza economica, tecnica e militare al regime di Castro.

Ma nella difesa e protezione di Cuba, Chruscev colse anche l’opportunità di avvicinarsi al riequilibrio strategico sui missili e forzare gli americani a una coesistenza negoziata.

Dovevamo stabilire un deterrente efficace e tangibile alle interferenze americane nei Caraibi. Ma quale poteva essere? La risposta logica era: i missili.

Chruscev, in un’intervista anni dopo

Gli Stati Uniti infatti pochi anni prima avevano schierato in Italia e in Turchia i missili Jupiter a medio raggio (IRBM) capaci di colpire i paesi dell’Est e dell’URSS.

Chruscev si sentì moralmente e legalmente giustificato a schierare armi analoghe, dotate di testate nucleari, sul territorio cubano. I missili avrebbero aumentato la capacità sovietica di colpire gli Stati Uniti e inoltre avrebbero protetto Cuba dalla minaccia di nuove iniziative americane contro il regime di Fidel Castro.

Fidel Castro e Nikita Chruscev nel 1960

I giorni più freddi della guerra fredda: la crisi

Quando il 14 ottobre 1962 le basi furono scoperte attraverso le fotografie, Kennedy non attese e convocò alla Casa Bianca un comitato di crisi (ExComm). Ordinò da subito un blocco navale attorno a Cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l’isola.

Il 22 ottobre Kennedy si rivolse alla nazione con un discorso televisivo, rivelando la presenza dei missili sovietici a Cuba e dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero contrastato quel «mutamento provocatorio e ingiustificato dello Status Quo» che profilava «un’esplicita minaccia alla pace e alla sicurezza di tutte le Americhe».

Il mondo era di fronte alla crisi più tesa e pericolosa dell’ intera guerra fredda.

Veduta aerea del sito missilistico a Cuba

Il 24 ottobre le forze strategiche americane andavano al massimo stato d’allerta, pronte a colpire, ed entrava in vigore il blocco navale, attuato da 170 vascelli della marina degli Stati Uniti. Il 26 ottobre, quando i preparativi americani sembravano completati e un attacco all’isola quindi possibile in ogni momento, Chruscev propose di ritirare i missili in cambio dell’assicurazione che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato Cuba. Kennedy allora, dopo aver frenato le molte pressioni nell’ Ex Comm che volevano un attacco immediato a Cuba, decise di accogliere la proposta di Chruscev.

In via riservata, il fratello del Presidente, Robert Kennedy, garantì all’ambasciatore sovietico che gli Stati Uniti avrebbero anche acconsentito a smantellare tutti i missili Jupiter, di loro fabbricazione, schierati in Turchia, dopo il ritiro dei missili sovietici a Cuba. Questo doveva però rimanere un accordo segreto, a cui gli USA non si ritenevano impegnati se Mosca l’avesse reso pubblico.

J.F. Kennedy

Le conseguenze

Il compromesso sulla questione di Cuba aprì la strada a una fase di distensione nell’ambito della Guerra Fredda tra USA e URSS. Nel 1963 Stati Uniti e Unione Sovietica firmarono un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Continuarono invece quelli sotterranei, meno pericolosi per l’equilibrio ambientale. Nello stesso periodo USA e URSS si accordarono per l’installazione di una linea diretta di telescriventi (la linea rossa) fra la Casa Bianca e il Cremlino, che serviva a scongiurare il pericolo di una guerra per “errore”.

Per quanto riguarda invece i destini dei leader dei due paesi, vi furono conseguenze negative e, nel caso del presidente americano, tragiche.

Il 22 novembre 1963, Kennedy fu ucciso a Dallas, in un attentato di cui non si giunse mai a scoprire i mandanti e soprattutto le motivazioni, per quanto a proposito siano state avanzate molte ipotesi giudiziarie più che convincenti (JFK, film del 1991 diretto da Oliver Stone, apre gli occhi sotto questo aspetto).

L’altro protagonista della maggiore crisi della Guerra Fredda, Chruscev, continuò a lanciare la sfida all’Occidente, promettendo all’ Unione Sovietica di raggiungere entro vent’anni un livello di vita superiore a quello dei paesi capitalistici più sviluppati. E questo eccesso di ottimismo, destinato di lì a poco a essere smentito dall’andamento tutt’altro che brillante dell’economia sovietica, non fu estraneo all’improvvisa caduta di Chruscev che, nell’ottobre 1964, fu estromesso da tutte le sue cariche.

Una considerazione: USA e Cuba oggi

La crisi missilistica di Cuba, uno dei momenti cruciali della Guerra Fredda, è anche un evento chiave per comprendere al meglio l’embargo contro Cuba da parte degli Stati Uniti, imposto all’isola proprio durante gli anni della Presidenza Kennedy: al termine del mandato di Barack Obama, che aveva annunciato di voler porre fine all’embargo nel 2014, le cose però non sono cambiate.

L’ONU si è espressa svariate volte contro l’embargo, con una maggioranza sempre più ampia: dai 59 voti contro l’embargo del 1992, si è passati a 179 nel 2004, 182 nel 2005, 184 nel 2007 e 185 nel 2008. Nel 2017 è avvenuto il 24° voto contrario, con 191 voti favorevoli e 2 contrari (Stati Uniti e Israele).

Donald Trump, nonostante le pressioni da parte dell’ONU, ha però più volte rinnovato l’embargo contro l’isola, inasprendo attraverso provvedimenti e sanzioni una situazione che è già di per sé storicamente complicata. La parola fine alla vicenda che vede coinvolti USA e Cuba è quindi ancora ben lontana dall’essere scritta.

Il presidente Donald Trump mostra un ordine esecutivo contro Cuba appena firmato, il 16 giugno 2017

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Odio le cose non finite. Le cose o si fanno bene o non si fanno proprio. Io non le faccio proprio. E infatti sono una contraddizione vivente: da grande vorrei diventare attore, non ho mai fatto un provino in vita mia. Adoro il cinema, la tv, lo spettacolo, ma sono laureato in lettere moderne. Sono nato e vivo a Roma, ma tifo Inter da una vita. La cosa che mi ha colpito di più di Generazione: il loro differenziale su Instagram.

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