Cinque anni dopo, il trasporto pubblico è ancora «la madre di tutte le battaglie»

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Fra i dossier che riguarderanno il nuovo futuro sindaco di Roma, una delle battaglie più urgenti sarà legata al comparto trasporti. La capitale è tristemente nota per il suo traffico, la sua municipalizzata azienda dei trasporti e la scarsa propensione dei suoi abitanti a scegliere forme di mobilità alternativa alla macchina. Il problema dei trasporti, però, è difficilmente rinviabile per un ulteriore mandato.

La situazione dei mezzi pubblici è nota per essere particolarmente intricata. Quest’anno, l’Osservatorio della Corte dei Conti ha pubblicato un rapporto su ATAC: le corse perse sono 1,6 mln nel 2015-19, contro le 580.000 del quadriennio precedente. Vuol dire circa 1095 al giorno, 45 ogni ora (fingendo che ATAC lavori 24h/24). Un capitolo a parte sono i bus andati in fiamme: nel solo 2020 ne sono stati persi 28 così. Colpa, in entrambi i casi, di un parco vetture inadeguato e vecchio: 10,7 anni per i mezzi di superficie, contro gli 8,1 di Parigi e gli 8 dell’Inghilterra (che nella sola Londra scendono a 5,9). 

Lasciando per un momento da parte la questione dell’inquinamento (che pure ha la sua importanza) è chiaro che così la manutenzione diventa sempre più difficile. E pensare che la giunta Raggi era partita con grande entusiasmo: ci ricordiamo i blitz della sindaca, nella rimessa di Tor Pagnotta, per «liberare» 47 filobus non utilizzati dalla Giunta Marino. Poi, però, le figuracce (a dir la verità non tutte imputabili alla Giunta) sono aumentate col passare degli anni: la poltrona di assessore alla mobilità ha cambiato titolare sempre più in fretta. I romani si ricordano anche il lotto di bus israeliani, comprati “di seconda mano” da Tel Aviv, salvo poi scoprire che non potevano circolare, in quanto Euro 3. Così, 5 anni dopo l’insediamento della Raggi ci ritroviamo con la Lega che fa blitz a Tor Pagnotta per «combattere gli sprechi legati ai bus elettrici». 

Altro problema è il debito: solo fra il 2017 e il 2019 è aumentato di 220 mln circa, una cifra che il prossimo sindaco dovrà trovare alla svelta. Ciliegina sulla torta, anche Roma Metropolitane rischia il fallimento: il 5 giugno, l’amministrazione si è impegnata nel salvataggio dell’azienda (che è il principale interlocutore per progettazione e realizzazione delle linee) e dei suoi 132 lavoratori in cassa integrazione. Un bel problema, considerando che la metro è la “punta di diamante” di ATAC. Infine, il biglietto dovrebbe aumentare fino a 2€ nel 2023.

Vero è che ATAC è in perdita da decenni e risulta anche difficile proporre soluzioni. Nel 2018, per dare una scossa, c’è stato un referendum dei radicali, per la privatizzazione del servizio. Osteggiato dalla maggioranza dei lavoratori, anche la sindaca si è schierata in modo netto contro. Secondo il segretario Riccardo Magi, la Giunta capitolina è stata colpevole di non avergli dato adeguata visibilità. A rendere il tutto un po’ più assurdo, fra gli scrutatori c’erano tantissimi autisti ATAC. La privatizzazione non è per forza la panacea di tutti i mali, però ci si aspetta un cambio di passo dal prossimo sindaco.

La giunta Raggi ha anche fatto un grosso investimento nelle ciclabili. In compenso, l’auspicato boom di ciclisti ancora tarda ad arrivare: molte delle piste sono spesso tristemente vuote, da via Palmiro Togliatti a via Tuscolana, fino alla Nomentana. A Roma, tramite una rete “transitoria” (cioè fatta dipingendo i margini delle strade), l’amministrazione uscente ha promesso l’anno scorso di aumentare di 150 km l’estensione della rete ciclabile nella Capitale. Un progetto faraonico, ma che, secondo Legambiente, a fine 2020 ha coperto meno di 20 km. Oltre al poco traffico su due ruote, il piano si scontra con una certa ritrosia dei residenti, che vivono in una città (almeno per il momento) fatta per automobilisti e che non sembra voler rinunciare a parcheggi o trovarsi a guidare su carreggiate ridotte: da qui le proteste a via Gregorio VII e al Tuscolano. A peggiorare la situazione sono poi la scarsa manutenzione delle piste “storiche” e il fatto che molte (come quella di Colli Aniene) siano isolate dal resto del circuito. Anche nelle classifiche di sicurezza, Roma non brilla: è una delle città più pericolose per andare in bici, secondo l’indagine Safe City Streets. Fra 48 città analizzate, l’Urbe finisce seconda per numero di vittime fra i ciclisti nel 2014-18, con 520 morti per milione. 

A Roma manca anche un servizio di bike sharing competitivo. Una sfida che qui parte da lontano: già nel 2008 si era fatto un primo tentativo, fallito, da parte del Comune. Il seguente è già in epoca Raggi, con O-Bike. Arrivata a Roma nel dicembre 2017, la multinazionale singaporiana toglie le tende nell’ottobre 2018. Troppo vandalismo perché si possa continuare a operare. Una situazione imbarazzante, ma non siamo gli unici ad avere questo problema: in Francia, a Parigi, Reims e Lille, l’azienda Gobee è dovuta partire per lo stesso problema. Spesso, in riva alla Senna capita di vedere “carcasse” di O-Bikes

Due anni dopo, il turno di Jump: un bike sharing elettrico lanciato da Uber e rilevato meno di un anno dopo da Lime, la startup dei monopattini elettrici. Al momento resiste, ha un motore elettrico, ma ha un problema: il costo per l’utenza non è abbastanza accessibile (13€ per l’ora) per renderlo un’alternativa credibile alle automobili. Per ora agisce in regime di quasi monopolio, al contrario dei monopattini, dove Lime deve fare i conti con una concorrenza molto aggressiva. 

Due cose contraddistinguono questi servizi: il pacchetto a consumo e l’assenza di stazioni ben piantate nel terreno, per evitare furti e vandalismo. Nel momento in cui il bike sharing non è conveniente per gli utenti e per le aziende, difficilmente si potrà arrivare a una svolta. A Parigi, il bike sharing comunale Velib ha un costo di 3,10€ al mese per le biciclette meccaniche e di 8,10€ per le elettriche. Ovviamente serve una forte volontà politica e un sistema del genere non si improvvisa: il comune di Parigi ha iniziato nel 2009 e i costi sono alti. 

I disservizi di ATAC e l’insuccesso delle ciclabili non permettono di trovare una soluzione al problema endemico del traffico. Roma è una delle città col maggior numero di auto al mondo: ce ne sono 623 ogni 1000 abitanti. Così, a Roma si perdono 164 ore ogni anno nel traffico, secondo Nomismata. La capitale è seconda in Europa al solo Lussemburgo. Inrix, invece, pone la Capitale al secondo posto nel mondo: 242 ore, contro le 272 di Bogotà. Nel mentre, il numero di utenti del trasporto pubblico è calato drasticamente (-40% nel 2011-18). Eppure, quando gli si offre un’alternativa, i cittadini (soprattutto i più giovani) rispondono presente: l’esempio è l’exploit incredibile dei monopattini elettrici. A febbraio 2021, a soli 7 mesi dal loro lancio, 176.000 persone avevano effettuato 2,2 mln di corse. 

Ma come pensano di combattere l’emergenza trasporti i vari candidati per la poltrona di sindaco? Iniziamo dal favorito Michetti. Il “tribuno del popolo”, dall’alto del suo 30%, parla dei trasporti come una delle priorità della sua amministrazione. Come affrontare il dossier, però, non è ancora chiaro: Michetti parla di stabilizzazione dei precari dell’ATAC, di un aumento dell’uso dei taxi e di investimenti mirati. Anche per la gestione della Roma-Lido, lamenta lo stato di degrado della linea, ma senza indicare ancora soluzioni. 

Gualtieri parla invece di un investimento sul “ferro”: quattro nuove linee tramviarie, da realizzare sotto la supervisione di un commissario per il Giubileo 2025. La metro C va portata fino a Clodio e oltre, oppure va iniziata una linea D. Altro punto di forza sarebbe l’utilizzo delle complanari della Colombo, la strada che collega Ostia con Roma, per gli autobus elettrici. Questo dovrebbe liberare degli spazi per le ciclabili. In compenso, il manto stradale è molto rovinato e l’illuminazione non adeguata a una zona ciclabile. «Il trasporto è la madre di tutte le battaglie», dice Gualtieri. Al momento, però, ci sono ancora buchi nella sua strategia. Alcune delle sue proposte, fra l’altro, sono già nei piani del M5S per la città. 

Tralasciando Virginia Raggi, la cui politica della sindaca è abbastanza chiara agli elettori), Calenda, il leader di Azione dice di essere pronto a «sbloccare un miliardo e mezzo destinato alla città, ma non speso per incapacità gestionale». L’investimento dovrebbe portare a manutenzione e sostituzione di binari e treni del trasporto su rotaia (in metro come in superficie), a sette nuove linee di tram e un aumento della frequenza delle ferrovie Roma-Lido e Roma Nord. Infine, per Calenda è tempo di bike sharing e d’incentivare la mobilità elettrica. Sul medio termine, con altri 12 miliardi, propone prolungamento della metro A, B, B1, C e l’inizio del progetto della Linea D. Per l’organizzazione, il suo programma parla di semplificazione della governance e di messa al bando di parte del servizio, così da mantenere il prezzo del biglietto invariato. Un piano ambizioso, ma che non considera i tanti imprevisti di una città che avrebbe dovuto finire la metro C nel 2018, secondo l’allora sindaco Alemanno: siamo a poco più di metà e i costi già nel 2016 erano lievitati di 1,5 mld rispetto al budget iniziale. Dietro l’angolo ci sono ulteriori slittamenti. Cosa che rende difficile la vita anche a chi ha pianificato tutto, fino all’ultimo dettaglio. 

La campagna politica di Calenda su un bus di Roma

Il Next Generation EU potrebbe essere la chiave di volta per risanare Atac e dare una scossa a un sistema abbastanza “intorpidito”. Probabilmente più del piano da 300 mln per i battelli proposto l’anno scorso dalla Giunta Raggi. Buona idea per i turisti, ma che non incide sulla quotidianità dei cittadini e ha costi non indifferenti. Quello che serve ora è concretezza e tempestività: rimandare ancora problemi di questa portata rischia di essere fatale alla viabilità di Roma. 

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Amo il data journalism, la politica internazionale e quella romana, la storia. Odio scrivere bio(s) e aspettare l'autobus. Collaboro saltuariamente con i giornali, ma mooolto saltuariamente

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