C’è un parco a Catania che resiste contro la speculazione edilizia e la mafia

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Quest’estate a Bologna si è discusso molto circa l’intenzione dell’amministrazione comunale di cedere alcuni ettari di un bosco spontaneo a dei progetti di edilizia privata. Anche Catania, come Bologna, ha rischiato in questi anni di perdere una delle aree verdi più grandi di tutta la città: il parco naturale di Cibali, una zona di interesse archeologico e naturalistico che si estende su una superficie di circa 159 mila metri quadrati, polmone di uno dei quartieri più storici e centrali del capoluogo etneo. 

La storia del parco è lunga e accidentata. Negli anni Sessanta del secolo scorso, Cibali fu coinvolto in una fase di edificazione massiccia e aggressiva che contribuì a renderlo uno dei quartieri più popolosi di Catania, e dalla quale venne risparmiata solo una distesa di circa 17 ettari. Nel 1969 il Comune decise di costruirvi un centro direzionale dove ospitare diversi uffici pubblici, ma le cose rimasero ferme fino al 1980, anno in cui il Consiglio Comunale iniziò ad occuparsi dell’iter di approvazione di un piano per avviare i lavori. 

Nel frattempo, come testimonia un articolo del 2017 de I Siciliani Giovani – succursale del giornale fondato da Giuseppe Fava, intellettuale siculo ucciso da Cosa Nostra nel 1984 – si intromise nella questione la Democrazia Cristiana che, ostacolando le misure di esproprio previste per iniziare i lavori, diede modo ad alcuni imprenditori di comprare i terreni in questione ad un prezzo di favore. Questi imprenditori – Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Mario Rendo, ribattezzati da Fava “i cavalieri dell’apocalisse mafiosa” fondarono un consorzio chiamato Centro Direzionale di Cibali con il quale presentarono al Comune un nuovo progetto per la costruzione di alcune palazzine. L’amministrazione democristiana di allora, con il sostegno del Presidente della Regione Nicolosi (anch’esso della DC), cercò di accelerare le procedure in favore dei cavalieri, che però finirono nel mirino di varie inchieste che fecero saltare ogni accordo ed evitarono l’approvazione del piano di lottizzazione. Questo causò il fallimento dei quattro soci e il passaggio della proprietà alla banca creditrice Sicilcassa, che fallì a sua volta nel 1997, decretando l’acquisizione definitiva dei terreni da parte di Banca d’Italia, a tutt’oggi proprietaria della zona. 

Recentemente si è tornati a parlare del caso perché Banca d’Italia ha ribassato del 90% il costo dell’area (passato da 47 milioni di euro a 4,9) per permettere al Comune di Catania di acquisirlo definitivamente. I cittadini della zona, guidati dal comitato Arci Catania, chiedono che l’area venga adibita a parco urbano in modo da poter fruire liberamente di uno spazio verde gratuito e accessibile a tutti e, nel contempo, proteggere il patrimonio archeologico delle antiche cave di zolfo. 

L’assessore all’urbanistica e vicesindaco Paolo La Greca si è opposto all’idea, sostenendo che la zona fosse troppo grande e non sicura, ribadendo la necessità di riempire quel vuoto urbano. Secondo invece Matteo Iannitti, presidente di Arci Catania e redattore presso I Siciliani Giovani, «la risposta di La Greca risulta essere abbastanza grottesca. Per quanto riguarda la sicurezza la scusa non regge: non esistono in quell’area particolari emergenze che possono indurre a pensare di dover gestire problemi di ordine pubblico maggiore. Il problema della sicurezza delle città del sud è generico perché c’è mancanza di personale adeguato per gestire tutte le zone. Esiste il problema ma non è una giustificazione a non fare. Noi abbiamo risposto a La Greca che se ci sono problemi di questo tipo dovrebbero risolverli ora, perché mai come adesso esiste un’assonanza tra governo nazionale, regionale e locale (tutti rappresentati da Fratelli d’Italia). Però che la questione della sicurezza venga usata come espediente per sabotare il progetto Cibali, senza essere citata per tutti gli altri progetti gestiti e finanziati dal Comune su cui esistono esattamente gli stessi problemi, diventa solo uno strumento di propaganda»

Il valore dell’area, d’altra parte, non è semplicemente paesaggistico o archeologico, ma anche, e soprattutto, ecologico. Secondo il rapporto Ecosistema Urbano realizzato l’anno scorso da Ambiente Italia e Il Sole 24 ore, Catania è al penultimo posto per performance ambientale. La classifica è stata stilata sulla base di cinque macro-indicatori: aria, acqua, rifiuti, mobilità e ambiente. Essi sottendono diversi fattori, come lo smog causato dal traffico e dalle attività industriali, l’inquinamento, la cattiva gestione dei rifiuti, misure di contrasto alla crisi climatica e il consumo di suolo. Quest’ultimo è uno dei parametri che più ha inciso sulla performance negativa della città etnea che, insieme a Siracusa e Palermo, rende la Sicilia la sesta regione con il consumo di suolo più alto su scala nazionale. Dello spropositato consumo del suolo catanese e del suo impatto nell’esasperare fenomeni come quello delle isole di calore urbane i membri di Arci Catania e le associazioni ambientaliste locali sono ben consapevoli.

Nel comunicato dello scorso febbraio pubblicato sulle loro pagine, affermavano a gran voce di non volere più cemento in quanto «La città si sta rimpicciolendo, esistono centinaia di migliaia di vani vuoti e centinaia di zone cementificate abbandonate». Un appello al quale hanno aderito diverse realtà locali, partiti e associazioni (Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle, Europa Verde, Sunia, Circolo Gabriele Centineo PRC, Cleanup Sicily, Asia USB, Catania più attiva, PCL, PCI, I Siciliani Giovani) e, finalmente, dopo anni di la lotta le cose iniziano a muoversi per il verso giusto. Lo scorso luglio, infine, la Commissione provinciale per la protezione delle bellezze naturali della Sovrintendenza dei beni culturali di Catania ha posto 10 di questi 17 ettari sotto vincolo di tutela, catalogandone la maggior parte con un vincolo di livello 3, che vieta qualsiasi costruzione.

Si tratta tuttavia di una vittoria parziale poiché il provvedimento non è ancora definitivo, e i rimanenti 7 ettari restano ancora zone bianche non protette. Persino la sezione Fridays For Future Catania si è espressa in merito precisando, sulla propria pagina Instagram, come la misura sia fondamentale ma non sufficiente ed invitando a continuare a parlare di Cibali perché ad oggi un parco ancora non c’è e bisogna lavorare molto per vederlo realizzato. Anche il Presidente di Arci ci tiene a sottolineare che il traguardo raggiunto è importantissimo ma bisogna rimanere con i piedi per terra dal momento che, fin quando questi territori apparterranno a privati, non saranno mai veramente in salvo. 

Autore

Classe ‘98. Sono meridionalista, femminista e antifascista. Mi piace disegnare, scrivere e girare per musei. Ah, e ho una fissa per i film con protagonisti in crisi da quarto di secolo.

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