Caso Cucchi: dopo 13 anni giustizia è (quasi) fatta

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<<Non mi uccise la morte ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte>>. Così cantava De Andrè in Un Blasfemo, in un verso spesso accostato alla tragica vicenda di Stefano Cucchi.
Una vicenda su cui i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza del 4 aprile 2022, hanno parzialmente (e finalmente) messo la parola fine.
12 anni di carcere è la pena che dovranno scontare in via definitiva i due carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo per omicidio preterintenzionale, mentre bisognerà aspettare giovedì 7 aprile per il verdetto su altri dieci militari dell’Arma, accusati di depistaggio e su cui pesano varie imputazioni (calunnia, omessa denuncia, favoreggiamento e falso). Tra questi figurano anche Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, condannati rispettivamente a quattro e due anni e sei mesi di reclusione, per i quali la Corte ha deciso un nuovo processo di appello. 

I fatti
Era il 15 ottobre del 2009 quando Stefano Cucchi, geometra romano di 31 anni, venne trovato in possesso di hashish e cocaina e portato alla caserma Casilina, dove passò la notte nelle celle di sicurezza.
Il 16 ottobre, in attesa dell’udienza, il giudice ne decise la custodia cautelare presso Regina Coeli, all’interno un processo per direttissima in cui già Cucchi mostrava condizioni fisiche precarie, con due ematomi evidenti sugli occhi e fatica a parlare e camminare. Condizioni peggiorate poi nei giorni seguenti, quando trasferito dal carcere all’ospedale Fatebenefratelli gli vennero riscontrate lesioni ed ecchimosi al volto, al torace, alle gambe e all’addome, la frattura di due vertebre e di una mandibola.
Negato il consenso al ricovero, Cucchi venne riportato in caserma, da cui sarebbe uscito per l’ultima volta per essere trasportato al Sandro Pertini, visto l’aggravarsi ulteriore delle condizioni. Qui, a una settimana dall’arresto, sarebbe morto pesando 37 chili, in evidente stato di denutrizione.

Un’attesa durata di 13 anni
Da quel tragico 22 ottobre del 2009 ad oggi la famiglia Cucchi e gli avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni hanno dovuto affrontare una vera e propria odissea, non solo per il tortuoso iter giudiziario ma per i numerosi attacchi ricevuti, dalle minacce agli insulti. 

Varie, negli anni, anche le accuse a Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, di “lucrare” sulla morte di quest’ultimo, come se desiderare giustizia per un fratello morto nelle mani dello Stato possa considerarsi una colpa.

Di fronte a questo, alle iniziali assoluzioni “per mancanza di prove”, ai casi caduti in prescrizione, come quello riguardante quattro medici dell’ospedale Pertini per cui la Cassazione aveva ritenuto non convincenti le motivazioni dell’assoluzione in appello, di fronte all ‘’epilessia’’ di cui soffriva Stefano ritenuta causa della morte dai periti tecnico-scientifici , di fronte a tutto ciò né la famiglia né i legali si sono arresi, lottando nelle aule di tribunale quanto nella società civile perché giustizia fosse fatta.
Giustizia che finalmente, dopo tredici anni e ben 150 udienze, è arrivata.
Raffaele D’Alessandro e Alessio di Bernardo sono i responsabili della morte di Stefano Cucchi, colpevoli di un pestaggio crudele e disumano definito dal Procuratore Generale della Cassazione Tomaso Epidendio come una <<punizione corporale di straordinaria gravità>>, e per cui la sentenza della Suprema Corte ha confermato l’aggravante dei futili motivi. 

Autore

Nato nel 1999 tra Marche e Romagna, nonchè tra mare e collina, amo viaggiare, scoprire nuove culture, leggere di tutto ma soprattutto di storia e politica. Ho vissuto in Inghilterra e Spagna e studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche. Amo la musica, lo sport e le piccole cose.

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