Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.
Il Piacere, 1889
Gabriele D’Annunzio è stato un uomo di immenso carisma, un autore che rese l’arte la ragione per cui esistere e da cui trarre godimento. La sua scrittura ha origine sotto il segno dell’estetismo, corrente letteraria che appartiene all’epoca del decadentismo e che vede emergere in D’Annunzio stesso e nei protagonisti dei suoi romanzi la figura del dandy.
No, non il personaggio della serie Romanzo criminale, ma un uomo che pratica il culto della bellezza e dell’arte, che sa assorbire le sfumature più alte della realtà per elevarsi da questa, distinguendosi dalla volgarità della società borghese. Una produzione letteraria che si intreccia fortemente con il vissuto autobiografico, rendendo labile il confine tra vita vissuta e vita raccontata.
Schiavo di un paradosso che lo tormenterà per tutta la vita, D’Annunzio oscilla fra lo sdegno per un sistema in cui non si riconosce e piuttosto disprezza e la profonda necessità di approvazione e affermazione, vendendosi alle esigenze di mercato. Come può dunque l’uomo trovare la propria ragion d’essere? Cogliendo il Bello. Lottare per realizzare la più grande forma d’arte che un individuo possa ottenere: la propria esistenza. Vivere con gloria, sentimento, nessun rimpianto o convinzione, distinguersi per formarsi nel modo più autentico e vicino alla propria essenza: «Vivere ardendo, senza bruciarsi mai».
Una vita da vate
Fra la personalità letteraria e quella biografica, lo scarto è minimo. Non siamo nel mondo delle maschere di Pirandello, non siamo nell’ambito della finzione e del patto letterario con i lettori, ma in una catena di convinzioni salde che dal mondo si fanno parola, e dalla parola creano il mondo.
Eroe della bellezza, del piacere e del culto della parola, ha fortemente sostenuto come uomo ogni suo sentimento di rivalsa, e l’impresa di Fiume ne è esempio. Il 12 settembre 1919, nel primo dopoguerra, marciò insieme ai suoi legionari per l’occupazione di Fiume, considerata città italiana dal suo forte nazionalismo e negata dai trattati di pace a seguito della “vittoria mutilata” italiana. Prese l’appellativo di Vate, che letteralmente indicava nel mondo latino la figura del profeta. E poiché gli indovini spesso si esprimevano in versi, ecco che con una parola sola si uniscono due realtà essenziali per la figura dannunziana: il poeta e il profeta. Chi sa parlare per strofe e chi sa proiettarsi in avanti, forte dei propri ideali. Ed ecco che a Fiume, nel periodo di occupazione, venne promulgata la costituzione del Carnaro che rappresentò un documento di grande innovazione: garantita l’istruzione primaria, la libertà di pensiero, di parola, di associazione e di stampa, diritto al divorzio e il diritto, citando testualmente, «al viver bene».
Tre sono le credenze collocate sopra tutte le altre:
(Carta del Carnaro, 1920)
la vita è bella, che magnificamente la viva l’uomo nella libertà;
l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù
il lavoro, anche il più umile, tende alla bellezza e orna il mondo.
Ma non si è mai arrestato nel suo comportamento fiero e ostinato: voli sopra le città, un atterraggio di fortuna che gli costò un occhio ma non pose fine alla sua passione di scrittore, anni in trincea raccontati sul Corriere Della Sera, il planare su Vienna che portò alla caduta di volantini di propaganda sull’intera città, e ancora case, libri, auto, fogli di giornale e il tempo per scrivere poesie, romanzi, lettere e crederci ancora.
L’altra faccia della medaglia: il Bello che non balla
Il dandy per eccellenza, nonché trasposizione della personalità dell’autore, è il personaggio di Andrea Sperelli, protagonista del suo primo grande romanzo Il Piacere, pubblicato nel 1889. Immergiamoci nella Roma decadente, un mondo sublimato, curato, impreziosito e vissuto all’insegna della bellezza e dell’eccesso. Andrea è dedito ad una vita che guarda all’Arte, e arte cerca di rendere ogni esperienza che vive: intensa, profonda, sconvolgente e viva.
Tra strade, palazzi e fontane, passeggiando fra il lusso di una città ricca e corrotta che incornicia perfettamente gli intrighi amorosi del gentiluomo, conosciamo dunque l’Amore diviso fra due figure, Maria ed Elena, che potremmo descrivere con un quadro: l’Amor sacro e l’Amor profano.
Andrea incarna perfettamente le caratteristiche del dandy, il Dorian Gray di Wilde, suscitando in noi ammirazione e disprezzo. È il nobile che riempie la sua vita con giochi d’azzardo, duelli, frivolezze e vizi, sintomi di un vuoto interiore che in un solo modo si cerca di colmare: il possesso dell’altro, il fardello di ricavare sempre Piacere.
Ma è proprio qui che D’Annunzio svela le contraddizioni dell’animo umano e di una società superficiale, portandoci davanti all’ambiguità del voler sempre di più e ricavare sempre meno. Sperelli resta un uomo svuotato, incapace di assaporare realmente l’autenticità delle relazioni; in altri termini un inetto. Il culto del Piacere assume dunque due sfaccettature: il gusto per il Bello, l’eccesso e il lusso sfrenato, contrapposti all’immoralità di una condotta di vita egoista, destinata al fallimento.
Vivere in modo stra-ordinario: oltre ogni limite
E dalla sua vita e dalla sua produzione poetica, emerge dunque la tendenza allo straordinario nel senso più letterale del termine: oltre l’ordinario. Costante aspirazione verso il sublime, l’unione col mondo, il sentirsi parte di esso e sopra di esso allo stesso tempo. Esempio di maestria poetica è la sua Pioggia nel pineto (1902), lirica che racconta una semplice passeggiata estiva in compagnia della sua musa, del suo passionale amore: Eleonora Duse. E fino a qui sembrerebbe una poesia ordinaria, se solo non stessimo parlando di D’Annunzio, che l’ordine non sa concepirlo. E infatti da un momento all’altro Piove. E questo temporale estivo che coinvolge i due amanti li rende un tutt’uno con la natura che li circonda, arrivando al culmine della metamorfosi. Ecco il panismo dannunziano: osmosi con il mondo, ricerca del Bello in ogni elemento, saper cogliere ogni sensazione più intima e primitiva. Sentire, non solo il suono delle gocce di pioggia, ma ogni essere nella sua profondità.
Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta.
Grazie D’Annunzio, è stato un Piacere!
A quasi 160 dalla sua nascita, è dunque essenziale comprendere la lezione di una figura complessa e profonda come quella di D’Annunzio: perseguire la bellezza in ogni ambito, saper vivere per la cultura, l’arte, il nostro microcosmo di ambizioni e i nostri istinti; saper cogliere in un pineto bagnato dalla Pioggia o in una rovina di un’epoca passata quel senso di fascino e malinconia, accogliendolo e custodendolo gelosamente. Perché ogni cosa che viviamo cela in fondo la meraviglia di cui non ci accorgiamo nell’immediato e il vero intellettuale è colui che, nella sventura o nella decadenza, sa inventare il proprio Piacere.
Autore
Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.