Asian Lives Matter

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Quando il virus Sars-Covid19 ha iniziato a diffondersi, come è solito fare l’uomo nei momenti di difficoltà, si è cercato un capro espiatorio, un qualcuno da incolpare per la situazione che stava imperversando in tutto il mondo. Le persone asiatiche sono state prese di mira come se fossero i reali colpevoli della creazione e della diffusione del virus. L’ultimo episodio andando in ordine cronologico, risale allo scorso 16 marzo, dove ad Atlanta un uomo ha aperto il fuoco contro alcuni centri benessere gestiti da famiglie asiatico-americane uccidendo otto persone. Inizialmente la polizia ha escluso il movente razziale, ma con il passare dei giorni ha preso sempre più piede questa pista investigativa. 

Dall’inizio della pandemia, gli asiatici americani hanno affrontato la violenza razzista in maniera più pressante rispetto agli anni precedenti. Solo a New York City, gli episodi di questo tipo sono aumentati del 1900%; “Stop AAPI Hate”, un database di rapporti creato all’inizio della pandemia come risposta all’aumento della violenza razziale e come strumento di monitoraggio e denuncia, ha ricevuto 2.808 segnalazioni di discriminazione anti-asiatica tra il 19 marzo e il 31 dicembre 2020. Queste segnalazioni non hanno smesso di arrivare nemmeno nel 2021, anzi sono aumentate, tanto che il presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per denunciare la discriminazione anti-asiatica poco dopo l’insediamento in gennaio. Mentre la violenza nello scorso anno si è verificata a livello nazionale e in particolare nelle principali città, l’aumento degli attacchi nel 2021 è concentrato soprattutto nelle chinatown delle zone rurali. Dal marzo 2020 al febbraio 2021 negli USA sono stati registrati circa 4000 attacchi contro persone di origine asiatica. Pochi giorni prima dell’attacco di Atlanta lo stesso presidente Biden in un suo accorato discorso, aveva sottolineato come erano in crescita queste violenze totalmente immotivate e che era necessario un drastico cambiamento di rotta. Parole rese vane però da mesi e mesi d’odio in cui la comunicazione politica in America -ma anche nel nostro Paese- aveva usato parole dure e violente contro la comunità cinese. Donald Trump spesso nei suoi tweet o nei suoi discorsi, non parlava di Coronavirus, ma di “Chinese Virus”, in altre occasioni non mancavano gli attacchi all’OMS per aver, o meglio non aver, sanzionato la Cina come avrebbe dovuto per la creazione e la diffusione del virus.

Un discorso di Trump in cui si vede che la parola “Corona” è stata cancellata e sostituita con “Chinese”

Russell Jeung, co-fondatore di “Stop AAPI Hate” e professore alla San Francisco State University di studi sulla comunità asiatico-americana, in un’intervista rilasciata al Time riferisce che «c’è una chiara correlazione tra i commenti incendiari del presidente Trump, la sua insistenza nell’usare il termine “Chinese Virus” e il conseguente discorso d’odio diffuso sui social media e la violenza diretta verso di noi». E ancora: «dà alle persone la licenza per attaccarci. L’attuale ondata di attacchi ai nostri concittadini fa parte di come quella retorica ha avuto un impatto sulla popolazione più ampia».

L’Asian Australian Alliance ha ricevuto 377 segnalazioni di razzismo correlato al COVID-19 tra aprile e giugno dello scorso anno e registrato più di 500 episodi di razzismo nel solo mese di aprile 2020. Vi sono pressioni sul governo australiano da parte del commissario per la discriminazione razziale del Paese affinché adotti un nuovo quadro nazionale anti-razzismo per affrontare i pregiudizi contro la comunità asiatica. «Ciò che accade in America tende a replicarsi a modo suo in Australia», afferma il fondatore Erin Wen Ai Chew. «Assisteremo ad attacchi più razziali e forse piuttosto violenti contro gli australiani asiatici, e questa è sicuramente una delle principali preoccupazioni».

E alcuni pensano che la violenza di Atlanta possa essere la scintilla di vero e proprio incendio che potrebbe colpire la comunità asiatico-americana di tutto il mondo. Sebbene l’Australia e la Nuova Zelanda abbiano leggi rigide sulle armi, alcuni potrebbero ora sentirsi più incoraggiati a compiere attacchi fisicamente violenti e imitatori.

La polizia inglese ha registrato il vertiginoso aumento del 300% riguardo i crimini ispirati dall’odio nei confronti di cinesi, asiatici orientali e sudorientali. I periodi presi in esame sono quelli che vanno dal primo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo nel 2018 e nel 2019. Nell’ultimo anno nel Regno Unito, ad esempio, i gestori di ristoranti da asporto di cucina asiatica hanno riferito di essere spesso bersagli di attacchi e vessazioni; gli infermieri e i lavoratori per i Servizi sanitari hanno denunciato moltissimi episodi di violenze razziali da parte di pazienti. 

È importante focalizzare l’attenzione anche sulla tipologia di violenza che colpisce questa comunità. Non sono solo le sparatorie o le violenze fisiche, ma anche e soprattutto la violenza verbale e comportamentale. Insulti, minacce, atteggiamenti intimidatori o atti ad isolare le persone asiatiche. Quella cinese è una delle comunità più estesa al mondo e storicamente, dai campi di controllo negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, alle violenze del KKK durante la Guerra in Vietnam, una delle più colpite. 

A muovere tutto questo è fondamentalmente l’ignoranza, madre del razzismo. Per risolvere, o almeno tentare di farlo c’è bisogno di una rivoluzione culturale, che parta dai banchi di scuola, che educhi le nuove generazioni all’integrazione, per capire che non è il colore della pelle o il taglio degli occhi, a fare la persona. Bisogna che si venga educati a comprendere, non ad offendere.

Autore

Nato nel ‘96, classe di ferro, no? Laureato in relazioni internazionali. Tre grandi passioni: mondo, cucina e sport. Qui parlerò solo della prima, o forse no. Poche idee sul futuro e tutte confuse. Sembra poco, ma non lo è. Spero.

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