I 64 anni della Legge Merlin: ripensare alla pluralità nel sex work per combattere lo sfruttamento

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È il 20 febbraio del 1958 e, dopo un iter lungo 10 anni, viene approvata la legge 20 febbraio 1958 n.75 definita come Legge Merlin. Con 385 voti favorevoli e 115 contrari la prostituzione di stato non esiste più. La legge, composta da 15 articoli, entrerà in vigore il 20 settembre di quello stesso anno. 

A proporre la disposizione è la senatrice Angelina (detta Lina) Merlin, antifascista e partigiana. È una delle fondatrici dell’Unione donne italiane (UDI) e nel 1946 entrerà a far parte delle cosiddette “Madri della Repubblica” che nei primi anni della repubblica italiana rappresenteranno la prima ondata di partecipazione ai diritti civili.

È il 6 agosto del 1948, Lina Merlin presenta la prima proposta di legge: un progetto che consta inizialmente di 23 articoli e che sarà poi oggetto di modifiche in Commissione al Senato. Come reca il titolo del primordiale progetto Abolizione della regolamentazione della prostituzione, lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui e protezione della salute pubblica, veniva considerata e disciplinata anche la parte sanitaria che verrà successivamente rielaborata e scorporata, per essere poi demandata alla XI Commissione Sanità e diventare legge nel 1956 rubricata come Riforma della legislazione vigente per la profilassi delle materie veneree.

In che contesto culturale e sociale si colloca la legge Merlin?

Siamo negli anni ’40 e in Italia le cosiddette case chiuse sono più di 500, vengono gestite dallo stato italiano e si basano su un sistematico sfruttamento delle sex worker. Le ragazze, per lo più provenienti da famiglie povere o addirittura orfane, si ritrovano a vivere in condizioni oppressive e al limite della reclusione. Lo stesso termine che viene utilizzato – case chiuse – deriva dal fatto che le finestre dei bordelli dovevano necessariamente rimanere sempre sbarrate per preservare il “rispetto della morale”; quello che rimaneva sulla donna sex worker era un marchio di gogna indelebile agli occhi dell’opinione pubblica.

Nel 1860 Camillo Benso emana il Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione (rimasto in vigore fino alla Legge Merlin). Si tratta del primo atto che legifera sulle condizioni alle quali l’esercizio della prostituzione era consentito e le forme in cui si doveva manifestare il controllo della polizia, nonché il controllo sanitario su chi esercitasse sex work. Tale Regolamento segna la nascita delle case di tolleranza, così chiamate proprio perchè tollerate e disciplinate dallo Stato.

Il sistema che si viene a creare è definito come prostituzione di stato, e sarà proprio questa la ratio che porterà l’onorevole Merlin a redigere il testo della legge. Considerato come un fatto inaccettabile, lo stato non poteva – e non doveva – assumere un ruolo all’interno del problema; accettando il sistema corrotto e le ingiustizie perpetuate sulle sex worker, lo stato ne risultava altrettanto colpevole agli occhi di Lina Merlin.

I punti chiave della legge n.75 

La legge Merlin entra in vigore il 20 settembre dello stesso anno. Composta da 15 articoli, viene suddivisa in tre capi:

  1. Chiusura delle case di prostituzione
  2. Dei patronati ed istituti di rieducazione
  3. Disposizioni finali e transitorie

Vengono così chiuse tutte le case di prostituzione presenti sul territorio italiano. La legge introduce, inoltre, i reati di favoreggiamento, sfruttamento, induzione, reclutamento e adescamento (quest’ultimo depenalizzato in un secondo momento con la l.689/1981).

Da quel momento la prostituzione di stato non esiste più. Da un modello regolamentista in cui lo Stato interviene direttamente nella gestione e nel controllo della prostituzione, l’Italia passa ad un modello abolizionista. 

La prostituzione non viene configurata come reato: esiste ed è legale. «Io voglio vivere in un paese di gente libera: libera anche di prostituirsi, purtroppo. Ma libera» ha detto Lina Merlin, all’indomani della pubblicazione della legge.

Gli scenari globali dopo 64 anni

fonte: wikipedia

Ad oggi, a livello globale, il lavoro sessuale viene regolamentato non in modo univoco. Diversi sono i modelli utilizzati e diversa è la disciplina adottata:

  • Modello proibizionista: il sex work e ogni attività connessa viene criminalizzata. I sex worker vengono identificati esclusivamente come persone immorali e di conseguenza pericolose per la società. Paesi come l’Albania, Slovenia, Pakistan e Stati Uniti adottano questo tipo di modello.
  • Modello svedese: definito da molti come neo abolizionismo, le sex worker sono vittime del patriarcato nonché vittime di violenza. Il focus della regolamentazione si sposta dalla prostituta al cliente. La vendita di sex working è legale ma risulta illegale la domanda, andando a prevedere quindi la criminalizzazione dei clienti. Svezia, Norvegia e Islanda sono solo tre dei paesi che adottano questo modello.
  • Modello della regolamentazione: l’idea di fondo si basa sul fatto che il sex work sia un male necessario e dunque debba essere controllato necessariamente dallo stato. Il lavoro sessuale è considerato legale e regolamentato tramite un controllo statale invadente ed oppressivo. 
  • Modello abolizionista: si parte dal presupposto che chi fa sex work sia sempre e comunque una vittima da salvare. In Italia, ad esempio, lo stato non interviene più nella regolamentazione del fenomeno, ma lascia ampio spazio di manovra agli enti locali quali i comuni.
  • Modello della decriminalizzazione o pro diritti: si parte dal presupposto che il sex work è un lavoro e in quanto tale coloro che lo praticano hanno diritto ad una vera e propria tutela. La Nuova Zelanda è stato il primo paese ad introdurlo nel 2003, dopo una battaglia cominciata quindici anni prima. 

In Italia, quindi, vige un modello abolizionista introdotto proprio dalla legge Merlin.

Certamente la lotta portata avanti dalla senatrice Lina Merlin aveva l’obiettivo di frenare la schiavitù sessuale, punendo di fatto il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, ma nel farlo ottenne un risultato completamente diverso. La legge non metteva le donne nelle condizioni di abbandonare lo sfruttamento a cui erano relegate, e non ammetteva la decisione volontaria di prostituirsi. Abbracciava, quindi, una posizione paternalista che rinforzava di conseguenza il concetto di stigma morale e sociale.

Sono passati 64 anni, il mondo del sex work è cambiato e proprio per questo la legge Merlin deve essere ripensata. Ora più che mai ci si dovrebbe concentrare sulla protezione dallo sfruttamento e dalla violenza invece che discriminare e penalizzare le persone che svolgono questo lavoro in maniera volontaria. Sfruttamento della prostituzione e libertà individuale sono due concetti separati e distinti. L’assenza di diritti è il fulcro alla base dello sfruttamento che esiste ancora oggi. La mancanza di riconoscimento e tutele alimenta uno stigma sociale presente e inamovibile; garantire pieni diritti permetterebbe alla prostituzione forzata di uscire dalla marginalità e a quella volontaria di riconoscersi in quanto tale. 

Autore

Nata lo stesso giorno di Ringo Starr, ma 58 anni dopo, in costante movimento tra Rimini, Bologna e Roma. Studio Giurisprudenza ma non voglio fare l’avvocato (tipica frase di chi studia legge). Amo la musica elettronica, la politica ma soprattutto fare polemica.

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