Avvertimento: questo articolo non si ripromette di essere un’irritante collezione di spoiler cinematografici, anche se, mio malgrado, temo accadrà qualcosa di simile.
Sono passati almeno dieci anni da quando l’omosessualità ha smesso di essere argomento tabù nelle trame cinematografiche, almeno dieci anni da quando registə, moltə, hanno voluto rendere manifesto al mondo intero, per ridefinire i limiti della libertà forse per il progresso o per moda, che gli omosessuali esistono e che fanno sesso. Che sia cominciato come una causa nobile o una trovata pubblicitaria non è davvero importante. Nel 2013 quando ho assistito la prima volta, in un piccolo cinema della provincia di Caserta, a La vita di Adele, ho pensato che qualcosa stava cambiando. Quando è finito non mi ricordo di aver fatto un’analisi critica del film, mi sembrava così strano che qualcuno avesse elaborato una sceneggiatura sull’amore di due donne che non ho potuto fare altro che farmela piacere.
Nel corso degli anni il fenomeno ha preso piede, lə registə si sono divertitə ad intrecciare trame sofisticate e ricche di sviluppi narrativi, di uomini e donne che si innamorano di altri uomini e donne e altre donne di altre donne e altri uomini di altri uomini. Ho trascorso all’incirca dieci anni, dunque, a vedere film di storie omosessuali che parlavano di storie omosessuali, aspettandomi ogni volta qualcosa di più di una storia omosessuale e assistendo, puntualmente, a nient’altro che una storia omosessuale.
A quanto pare l’omosessualità è già caratteristica sufficiente e necessaria per costruire un film, e qui ci sarebbe da discutere a lungo, perché un paio di annate di film omosessuali senza trama si reggono pure, ma una decina comincia ad essere tanto. Ciò malgrado, qui parliamo dei finali, i maledetti finali di film omosessuali che dal 2005, con Imagine me and You, fino a Il ritratto della giovane in fiamme del 2019, non riescono a dare speranza a una coppia. Ergo, finiscono tutti male. I segreti di Brokeback Mountain, La vita di Adele, Carol, Call me by your name, Disobedience, per non parlare di Ammonite, Elisa y Marcela. A tutti questi film manca quello che gli omosessuali tentano di ottenere da sempre: la speranza di vivere una vita amorosa meno precaria.
Sentimentalismi a parte, c’è da chiedersi perché lə registə scrivono storie di amori gay esasperando la mancanza di integrazione, dandogli un volto e un momento storico, dei sentimenti e poi lasciano a marcire in tragici finali melodrammatici i loro personaggi. Le risposte sono naturalmente tante e quasi tutte non promettono bene. L’omosessualità è il ritratto della disobbedienza, o della distrazione, o ancora della confusione? L’omosessualità è la macchia ombrosa della giovinezza, o dell’instabilità mentale? Gli amori omosessuali sono di passaggio, fugaci o perversi, sono precari.
Se è vero che il cinema è specchio della società, l’omosessualità è davvero così ancorata a finali precari? Rappresenta davvero i lussuriosi del secondo cerchio? Occupa secondi schermi, o primi schermi al prezzo di finali tragici? Questo è un appello ad ogni registə italianə e internazionalə: Il cinema è sì uno specchio, ma archimedico!