L’invasione militare della Russia ha spinto migliaia di persone a lasciare l’Ucraina. Si resta impietriti guardando le immagini dei rifugiati ucraini che in questi giorni stanno stipando le stazioni dei treni, i tunnel delle metropolitane e i teatri abbandonati, che ora fungono da dimore. È difficile descrivere a parole quello che si prova di fronte a questo sfollamento e restano solo tanti perché.
Perché proprio loro? Perché adesso? E, come si può essere costretti a lasciare improvvisamente la propria casa, i propri affetti, ritrovandosi con poco più di un sacco a pelo e la speranza di superare la giornata?
Secondo l’UNHCR, sarebbero 1 milione le persone che hanno lasciato l’Ucraina nell’ultima settimana. Numero che potrebbe salire velocemente fino a 4 milioni nel giro di pochi mesi. Si stima che oltre 16 milioni di ucraini avranno bisogno di protezione e assistenza. La maggior parte si sta spostando nei Paesi confinanti, come Polonia, Ungheria, Moldavia, Romania e Slovacchia, ma alcuni starebbero cercando di raggiungere altri stati europei. Nel frattempo, l’ONU ha lanciato un appello per stanziare 1.7 miliardi di dollari da investire in Ucraina e nei paesi che ospiteranno i rifugiati.
Ma è forse la prima volta che sentiamo parlare di profughi e che vediamo le immagini degli accampamenti di fortuna dove chi scappa è costretto a vivere? O semplicemente, questa volta, i profughi sono “diversi”?
In un’intervista alla BBC, David Sakvarelidze, vice procuratore dell’Ucraina, ha detto che questa situazione è particolarmente toccante per lui perché si tratta di europei con i capelli biondi e gli occhi azzurri ad essere uccisi (testuale: “It’s very emotional for me because I see European people with blue eyes and blonde hair being killed”).
La frase di Mr. Sakvarelidze, però, non è stata l’unica ad essere esplicitamente razzista. Qualche giorno fa, Charlie D’Agata, corrispondente estero di CBS News a Kyiv, ha sottolineato come l’Ucraina, differentemente dall’Iraq o dall’Afghanistan, è uno Stato “relativamente civilizzato e relativamente europeo”. Tralasciando la scorrettezza semantica e il tono colonialista, questa uscita è inopportuna per due ragioni. Per prima cosa, la frase è stata mandata in onda da un ente americano ed è inevitabile ricordare che sono stati proprio gli Americani ad invadere sia l’Iraq che l’Afghanistan. In secondo luogo, essa non solo esprime implicitamente una visione eurocentrica ma anche un velato suprematismo bianco. Infatti, il giornalista, che si è scusato il giorno dopo, lascia intendere quella che, purtroppo, è una realtà latente all’interno della nostra società. Ovvero, che una guerra in un Paese “relativamente europeo”, i cui profughi sono “relativamente europei”, ha una voce e un peso differente nel panorama internazionale rispetto ad una guerra “qualsiasi” in Medio Oriente. Quasi come se ci fossero guerre di serie A e guerre di serie B. Quasi come se ci fossero profughi di serie A e di serie B, assumendo tacitamente che alcune persone hanno più o meno diritto alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione di altre.
I mezzi di informazione occidentali sono stati accusati da più parti di considerare la guerra in Ucraina con “double standards” rispetto ad altri conflitti. Negli scorsi giorni, un video girato nel 2012, dove una ragazza palestinese, Ahed Tamimi, combatte eroicamente un soldato israeliano, è diventato virale in poco tempo su TikTok. Sull’onda delle fake news, il video è stato diffuso riportando erroneamente che a battersi era una giovane “ucraina” contro un soldato “russo” ed ha smesso di girare nel momento in cui è stato chiarito l’errore di attribuzione.
Ma non sono stati solo i Media a comportarsi con due pesi e due misure. Governi conservatori, che per anni hanno respinto profughi provenienti dalle guerre in Syria, Iraq e Afghanistan, ora stanno aprendo le porte ai profughi ucraini. Infatti, Paesi nazionalisti al confine con l’Ucraina, come Polonia e Ungheria, sono ora pronti ad ospitare i rifugiati ucraini. Anche il cancelliere Austriaco Karl Nehmmer ha riferito che l’Austria accoglierà gli ucraini senza remore, nonostante lo scorso autunno abbia bloccato degli afghani che fuggivano dal governo talebano. “È diverso aiutare l’Ucraina rispetto all’Afghanistan, perché qui si tratta di aiutare i nostri vicini”, ha riferito su una TV nazionale (source: New York Times).
Ma qual è la differenza tra chi è costretto a lasciare la propria patria per sopravvivere?
Secondo Nehmmer, apparentemente, la differenza è nei confini geografici. Chi è più vicino a noi va aiutato, anche se non è del tutto chiaro quali criteri usare per delimitarne le frontiere. Perché dunque, stando a questa “legge del buon vicino”, Biden continua a negare l’entrata negli Stati Uniti a migliaia di profughi provenienti da Haiti, in fuga dalla crisi economica e politica che ha colpito il Paese nel 2021?
Siamo tutti uguali, ma forse qualcuno è più uguale di altri. E, data questa nuova ondata di migrazioni, sorge spontanea una domanda. Dovremmo forse riconsiderare cosa significa essere “profugo”, ora che è chiamato così anche chi ha un colore della pelle più chiaro? O, invece, a cambiare, potrebbe essere la nostra percezione sull’accoglienza ai migranti, adesso che è chiaro che anche “noi” potremmo ritrovarci dall’altra parte?
L’unica differenza tra i profughi ucraini e quelli afghani, siriani o haitiani, è proprio la rappresentabilità di cui i primi sono investiti. Infatti, i profughi ucraini rappresentano – simbolicamente parlando – l’Occidente. Rappresentano gli uomini, le donne e i bambini occidentali, e la paura che, anche da questa parte del mondo, il diritto alla vita possa venire meno da un giorno all’altro.
È importante domandarsi come gestire questa crisi umanitaria e stanziare i fondi necessari per assistere chi una casa non ce l’ha più. Ora più che mai, visto che l’emergenza climatica sta continuando a spingere sempre più persone a spostarsi per aver accesso a risorse fondamentali, come acqua e terra, che sono sempre meno accessibili.
Simone Weil, filosofa del XX secolo, ci ricorda nella Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano che “è criminale tutto ciò che ha come effetto quello di sradicare un essere umano o di impedirgli di mettere radici”.
La speranza è che, sentendosi l’Occidente più vicino alla drammatica onda migratoria ucraina, si possa empatizzare anche con tutti coloro che, per ovvie ragioni, non possono essere “aiutati a casa loro”.
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Ho 26 anni. «L'ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio» diceva Chico Mendes.