Quanta ricchezza perdiamo a causa dei pregiudizi culturali e della discriminazione? Poco più di un mese fa, il think tank Tortuga in collaborazione con EDGE (Excellence and Diversity by LGBT Executives) ha pubblicato uno studio che cerca di rispondere a questa domanda.
Secondo il report di Tortuga esiste una forte correlazione tra inclusività di un territorio e il suo sviluppo economico. L’intensità del rapporto varia a seconda degli aspetti socioculturali presi in considerazione, ma è chiaro che, in ogni caso, ci sia una sorprendente relazionalità, seppure non fondata sul meccanismo causa-effetto.
Un indice per classificare l’inclusività dei Paesi
Sono circa vent’anni che in Italia sono stati introdotti studi scientifici che denotano l’interessante rapporto tra l’inclusività e il benessere. Irene Tinagli, attuale Presidente Commissione Affari Economici del Parlamento EU, e Richard Florida, professore alla Martin Prosperity Institute, furono i primi ad introdurre nel nostro paese il concetto di Gay Index, un indicatore che valutava l’integrazione nella comunità delle persone omosessuali. Da subito i due studiosi evidenziarono il rapporto tra il Gay Index ed alcuni indicatori economici.
L’attività scientifica trasferiva legittimità politica a questi temi. È così che negli anni si è sviluppato un dibattito internazionale sul rapporto inclusività-sviluppo; molti Stati hanno fatto tesoro di quelle informazioni e grazie alle loro scelte hanno raccolto ottimi risultati, sia in termini culturali che economici. L’Italia, come sempre, un po’ bigotta e un po’ miope, non ha saputo seguire la lungimiranza di certi paesi europei. Dopo anni, da quando fu elaborato per la prima volta un Gay Index, è venuto alla luce uno studio che indaga l’inclusivity divide del nostro paese, sia a livello interno sia esterno e dimostra che il conservatorismo fa male.
Tortuga ha disegnato una cartina dell’Italia tra inclusività e ricchezza
Dalla linea tracciata dagli studi precedentemente svolti e dal fatto che questi stessi siano stati parzialmente ignorati per anni dai policy makers del nostro Paese, è nata l’iniziativa di Tortuga per aggiornare la letteratura scientifica sull’argomento e corredarla di nuove evidenze.
In un primo momento i ricercatori di Tortuga hanno costruito un indice di inclusività della comunità LGBTI+ partendo dai dati Istat sulle unioni civili dell’anno 2016 e 2017. Il rapporto di variazione di “n” unioni civili su mille abitanti ha determinato il grado di accettazione di quel territorio, partendo dall’assunto che un numero maggiore di unioni civili indica una comunità più rispettosa delle minoranze sessuali, che disincentiva l’emarginazione.
Il risultato di questo indirizzo di ricerca è stato trasposto su una cartina dell’Italia, un paese che statisticamente, a parità di requisiti curriculari, offre ad una persona LGBTI+ il 30% di possibilità in meno di essere richiamato dopo un primo colloquio lavorativo. È emersa una situazione drasticamente differenziata in base a delle macroaree e all’interno delle stesse.
La maggior parte delle unioni civili sembra essere concentrata nel Nord-Ovest del nostro Paese e in alcune aree del Centro. È evidente, inoltre, una certa differenza tra le zone metropolitane e quelle rurali, con quest’ultime che tendenzialmente registrano numeri più bassi in termini di unioni civili. Nello studio di questa cartina va, però, considerata la variabile del turismo matrimoniale, quel fenomeno per cui i coniugi scelgono di sposarsi in un comune specifico. In Sicilia, ad esempio, Noto è il punto di riferimento per le unioni civili e si vede, infatti, dal colore con cui quella zona è rappresentata nella cartina.
Le aree più inclusive sono quelle più ricche. Ma è nato prima l’uovo o la gallina?
Messa a punto questa mappa e giustificate alcune eccezionalità al suo interno, è stato possibile scoprire quali caratteristiche presentassero quelle aree, laddove il livello di inclusività è maggiore. Tutta una serie di metriche PIL, indice di Gini, mobilità sociale, livello di istruzione, avvicinate all’indice di inclusività hanno prodotto le relative relazioni. Al termine di questa analisi è emersa una forte correlazione tra la ricchezza e l’inclusività. Non solo: minore è l’impatto negativo dell’indice di Gini, diseguaglianza reddituale, maggiore è il livello di inclusività.
Da questa “scoperta” scaturiscono immediatamente due ovvietà: la prima è che più le persone vivono nel benessere più sono inclusive, la seconda è che più sono inclusive più producono. Ora è impossibile determinare la direzionalità del rapporto di queste due variabili correlate, come lo è stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina.
Tralasciando la diatriba su quale sia la causa e quali sia l’effetto, ciò che colpisce è che sembrano emergere delle aree in cui il livello di integrazione, uguaglianza e giustizia sociale è maggiore. Laddove, quindi, c’è più inclusività, c’è più sviluppo, ma non solo. Si registra anche una forte capacità di questi stessi territori di esercitare una maggiore forza attrattiva rispetto agli altri. È stato possibile concludere, infatti, che l’inclusività è motore di attrattività per un territorio, in maniera anche più influente della prospettiva economica.
In Europa siamo tra i paesi meno inclusivi: dobbiamo preoccuparci
Dalla prima fase dello studio si apprende che l’Italia, a livello interno, deve lavorare molto sulla gestione del proprio inclusivity divide. Se il quadro interno disegnato da Tortuga mette in risalto una situazione preoccupante, è ancor più triste il raffronto tra l’Italia e il resto dell’Unione Europea.
Dalla seconda fase di questo studio è emerso nuovamente che maggiori livelli di inclusività si registrano dove l’economia è più prospera e le ricchezze sono più equamente diffuse. I paesi come Spagna, Inghilterra, Francia, Germania, Benelux e Svezia rappresentano i poli di maggior inclusività per la comunità LGBTI+. Al contrario, Italia, Portogallo, Europa dell’Est e Repubbliche Baltiche sono i paesi dove il questionario ESS ha rivelato un grado maggiore di intolleranza.
Dallo studio della situazione europea è emerso un altro aspetto della correlazione inclusività-sviluppo economico. Essa non è valida soltanto a livello sincronico, ma anche a livello diacronico. Si è scelto così di definire l’evoluzione storica della correlazione inclusività-sviluppo a livello di macroaree. Da questa prospettiva si è osservato che, per la quasi totalità dei Paesi vi è un trend positivo di aumento dell’accettazione e dell’inclusività, eccetto che per l’Italia e l’Ungheria.
È interessante notare che in diverse regioni la crescita economica si è tradotta in un aumento del livello di inclusività e viceversa che un calo economico ha determinato un regresso in termini di accettazione della diversità. Come già detto, ciò non implica che in un verso o nell’altro vi sia un meccanismo di causalità. In altre parole, non si può dedurre che nelle regioni dove vi è stato un aumento del gay index questo abbia portato ad un incremento del prodotto interno lordo, né viceversa che l’aumento del PIL abbia in qualche modo fatto aumentare il grado di accettazione: è una correlazione che va presa come un dato di fatto.
Se non sei inclusivo, capisci che non sei tra i migliori
Da quando è nata la società contemporanea, gli Stati che aderivano alla prospettiva dello Stato di Diritto o allo Stato Liberale tendevano sempre più ad un maggior grado di tolleranza. L’ostacolo al cammino verso una maggiore libertà sociale veniva, talvolta, imposto da crisi economiche che, spesso, hanno generato trasformazioni politiche involutive.
Banalizzando, si può dire che ogni forma di governo dittatoriale, limitante delle libertà individuali, è nata da una forte difficoltà economica. Ciò non garantisce un verso nella direzione del rapporto inclusività-ricchezza, ma conferma quanto queste due variabili siano correlate.
Per concludere, è bene dire che l’inclusività è una risorsa centrale nelle società che si fondano sulla libertà individuale. Un dato di fatto, appurato dallo studio di Tortuga, ci dice: si è tanto inclusivi quanto si vive in una società in cui il benessere è diffuso in maniera più equa. Quindi, se sei un paese inclusivo sii felice di vivere in un posto “giusto”. Se non sei in una regione inclusiva è il momento di porsi delle domande.
Autore
Matteo, classe 1997. Non avevo mai provato il disagio di creare una bio finché non ho dovuto scrivere la mia. Se ti dico qualcosa, credimi. Non sono un bugiardo e non voglio fare il giornalista.