Crazy for Football- Matti per il calcio, presentato fuori concorso alla 16esima edizione della Festa del cinema di Roma, verrà trasmesso stasera in prima serata su RAI 1.
Il film, diretto da Volfango De Biasi, parla dell’impresa eroica del presidente dell’associazione italiana di psichiatria sociale, Santo Rullo. Quest’ultimo ha formato la prima squadra nazionale italiana per «l’unico mondiale dove se non sei dopato non puoi giocare», il mondiale di calcio a cinque per pazienti psichiatrici tenutosi ad Osaka, in Giappone.
Il regista aveva diretto, nel 2004, un piccolo documentario autoprodotto dal nome Matti per il calcio e poi nel 2016 Crazy for Football, vincendo il David di Donatello per il miglior documentario.
Nel 2021, in un anno in cui l’Italia ha avuto molti riconoscimenti calcistici, decide di regalarci un film sulle stesse tematiche, prodotto da Mad Entertainment e Rai Fiction. L’intento è quello di raccontare la sofferenza per la TV generalista, ma senza edulcorarla troppo e senza cadere nel buonismo.
A giudicare dalla reazione del pubblico in sala durante la prima del film, è più che evidente che lo scopo sia stato raggiunto con successo. Durante la conferenza stampa, il regista ha dichiarato che il proposito era quello di creare una «favola nazional popolare che entrasse nelle case delle persone per farle avvicinare al sociale tramite la leggerezza», e di leggerezza nel film ce n’è da vendere.
Gran parte del merito della riuscita del progetto va sicuramente al cast d’eccellenza, che gode della presenza del simpaticissimo Max Tortora, nei panni dello stravagante allenatore. Quest’ultimo attraverso le sue continue battute sul disagio dei giocatori, porta lo spettatore a commuoversi e nel contempo riderci su.
I calciatori, tutti affetti da malattie mentali come schizofrenia, depressione, disturbo bipolare, sono interpretati da ragazzi emergenti, scelti tra più di settecento provinati. Il regista ha raccontato che i giovani attori, prima delle riprese, si sono sottoposti ad una preparazione molto intensa, fatta di allenamenti e consulenze con psichiatri e pazienti. Sul set è stato chiesto loro di non uscire mai dal loro personaggio tanto che, in una delle prime prove, Tortora e Castellitto erano convinti di trovarsi di fronte a pazienti veri.
Proprio all’eccezionale Sergio Castellitto è affidato il ruolo dello psichiatra attento, premuroso e determinato che antepone il bene dei pazienti alle sue vicende private.
«Avevo visto il documentario e sono stato travolto dall’entusiasmo di Santo Lulli. Ho letto una buonissima sceneggiatura. Al di là della disabilità, penso che la materia della psiche sia intrinseca al lavoro dell’attore. È un argomento che ho frequentato ne Il grande cocomero e nella serie In Treatment. Quello che mi ha appassionato è stata la possibilità di lavorare sulle solitudini. Il calcio è un gioco di squadra, ma qui diventa qualcosa di più, perché è il fulcro dell’aggregazione di tante solitudini. Il disagio mentale è solitudine. Noi stessi, i cosiddetti normali, dovremmo riflettere su questa parola. L’attore, poi, è il disabile psichico per eccellenza, una persona sempre divisa. Saverio non è un uomo perfetto, è un padre inadeguato, un ex marito fuggitivo. Anche questo è un aspetto che mi è piaciuto molto, perché sono le nostre fragilità che ci rendono speciali, non certo le nostre perfezioni».
Secondo il grande attore romano, il vero disagio di oggi è la solitudine e la nostra più grande nemica è la paura. Durante tutto il film il suo personaggio cerca di combattere queste piaghe, lotta con tutte le sue forze contro tutto e tutti, rischiando richiami e punizioni per donare ai suoi pazienti il diritto ad essere inseriti nella società, a non essere emarginati, sedati o peggio legati.Guardando questo film lo spettatore diventa complice di una battaglia, diventa tifoso e non solo di calcio.
Autore
Aurora, classe 1997, laureata in Letteratura musica e spettacolo, attualmente studio Scritture e produzioni dello spettacolo e dei media. Sono un'appassionata di cinema e odio le presentazioni formali.