
Ilan Pappé, “La fine di Israele” (Fazi Editore, 2025)
Una giornata fuori dall’ordinario e un’occasione di confronto con domande “scomode” in grado di far riflettere.
Sarebbero tanti i modi con cui poter descrivere quanto avvenuto ieri in occasione della presentazione a Roma de “La fine di Israele”, l’ultimo libro dello storico israeliano Ilan Pappé pubblicato da Fazi Editore e da oggi disponibile nelle librerie italiane, il cui titolo offre già di suo la prima – nonché vigorosa – provocazione.
Una sfida lanciata da chi è nella posizione e nella condizione di poterlo fare: stiamo parlando infatti di uno degli autori ed esponenti più rilevanti della c.d. “Nuova Storiografia Israeliana”.
I numerosi partecipanti giunti alla Liberia Feltrinelli Appia hanno assistito a un dialogo di oltre un’ora e mezza tra lo storico israeliano e il giornalista de “La Repubblica” Daniele Mastrogiacomo, a lungo inviato e corrispondente nei teatri di guerra internazionali.
Un momento di riflessione condivisa attorno alle grandi domande che ruotano attorno a Israele e alla Palestina – tra il passato, il presente e il futuro – in particolar modo alla luce degli ultimi due anni in cui la cronaca quotidiana dell’escalation militare israeliana contro il popolo palestinese ha assunto i contorni di una nuova, terrificante e brutale Nakba condotta contro la Palestina, la sua terra e il suo popolo.
La differenza? Dall’ottobre 2023 sussistono prove documentate e documentabili in merito al piano di pulizia etnica e di cancellazione dell’identità palestinese, una testimonianza costante di chi lotta ogni giorno per non morire che è riuscita a fare breccia nell’opinione pubblica internazionale, aprendo uno squarcio nell’aura di immunità che fino a poco tempo fa aveva ammantato la politica di Gerusalemme.
Una panoramica su Ilan Pappé, figura d’impatto della “Nuova Storiografia Israeliana”

Lo storico israeliano Ilan Pappé in una fotografia del 29 novembre 2023.
Fonte immagine: Shark1989z/Wikimedia Commons (opera propria, licenza d’uso CC BY 4.0)
Provando a definire sinteticamente la figura di Ilan Pappé, si potrebbe affermare che lo storico israeliano sia un’emblema del connubio tra ricerca accademica e impegno politico (ha militato tra le fila del Parito Comunista Israeliano e in due occasioni è stato candidato alla Knesset nella lista di coalizione Hadash).
Un impegno portato avanti senza compromessi e pagato a caro prezzo, quando nel 2007 lasciò i luoghi dove era nato (la città di Haifa) per trasferirsi nel Regno Unito, dove attualmente vive e insegna presso l’Università di Exeter.
Una sorta di “esilio volontario” giunto in seguito alle numerose minacce di morte sopraggiunte dopo l’aver sottoscritto l’appello del movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) nei confronti dello stato d’Israele e, più semplicemente, per il proprio ruolo di intellettuale apertamente anti-sionista.
Prossimo ai settantun anni, figlio di ebrei tedeschi sfuggiti dalla persecuzione nazista negli anni Trenta, in gioventù Ilan Pappé – dopo aver prestato servizio per l’esercito israeliano durante la Guerra del Kippur – si trasferisce per la prima volta nel Regno Unito per completare i propri studi storici presso l’Università di Oxford.
Nel 1988 pubblica “Britain and the Arab-Israeli Conflict”, la rielaborazione della propria tesi di dottorato conseguita a Oxford nel 1984 e il primo dei numerosi saggi da lui scritti e incentrati sulla politica mediorientale, di Israele e della Palestina.
Nello stesso anno lo storico e studioso israeliano Benny Morris lo inserisce tra i capostipiti dei c.d. “New Historians”, ovvero quella corrente di storici, politologi e studiosi israeliani che a partire da quegli anni, grazie alle nuove documentazioni emerse al tempo dagli Israeli State Archives, avevano portato all’attenzione del mondo accademico e dell’opinione pubblica una lettura sulle origini dello stato d’Israele che si poneva in netto contrasto con quanto ufficialmente riportato fino a quel periodo.
Una “revisione” di quanto indicato fino ad allora che in una prospettiva più ampia andava a porre nuovi elementi anche in merito alla guerra arabo-israeliana e a quella israelo-palestinese.
Tra i testi più significativi nell’insieme delle opere di Pappé sono da menzionare le collaborazioni con il linguista e politologo statunitense Noam Chomsky (con il quale scrisse due libri tra il 2010 e il 2015) ma soprattutto il libro best-seller “La pulizia etnica della Palestina” (2007).
Le idee di Ilan Pappé, tra la “fine di Israele” e il futuro della Palestina
L’intervista di Daniele Mastrogiacomo ha permesso al pubblico presente di seguire un dialogo che ha toccato vari argomenti non legati unicamente all’attualità degli ultimi due anni di guerra nei Territori Occupati tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, ma anche sulla stessa natura storico-politica dello stato ebraico, figlio del Sionismo.
A riguardo, infatti, l’autore israeliano ha da molti decenni un’opinione molto ferma nella sua critica antisionista (in alcuni casi con toni anche feroci), ulteriormente acuita nel nuovo millennio in cui, eccezion fatta per la parentesi laburista di Ehud Barak, la politica israeliana ha visto il dominio quasi incontrastato della destra del Likud e – negli ultimi quattordici anni – dell’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
Per Ilan Pappé, infatti, da tempo oramai “la società israeliana” è stata “inglobata nello Regno di Giudea”, un’entità “messianica, ultrasionista, colonialista e razzista che ha preso il controllo della politica, dei media, delle forze armate, dei servizi segreti e anche della magistratura” in contrapposizione alla c.d. “Vecchia Israele”, che manteneva un’ostilità rispetto della popolazione palestinese dietro a un approccio apparentemente più “liberal e socialista”.
La differenza? Se per l’Israele del passato la soluzione della questione palestinese era quella di “un controllo quasi totale del territorio della Palestina storica senza l’espulsione della popolazione indigena”, da rinchiudere dentro “due prigioni a cielo aperto” da poter poi rivendere all’opinione pubblica internazionale come “parti del processo di pace”, nella presente società israeliana l’ambizione è quella di “eliminare la popolazione palestinese con modalità più brutali e violente” fino ad arrivare ai crimini in atto negli ultimi anni (definiti dall’autore come “genocidi”) e ad una visione ancora più “ampia” emersa con l’avvento delle politiche messianiche nella società israeliana: la visione di una “Grande Israele” corrispondente ai confini biblici e – pertanto – l’impegno a ridisegnare l’area del Medio Oriente attraverso la guerra.
Risulta poi inutile per Ilan Pappé parlare di “pace” in Palestina e in visione più ampia in Medio Oriente, nel momento in cui l’autore osserva l’esistenza di “un’ortodossia della pace” e di un “business della pace” che non tiene conto del problema della colonizzazione stratificata e datata nel tempo nel territorio palestinese. A riguardo il commento di Ilan Pappé è stato diretto e senza mezzi termini:
“Come puoi credere a chi ti parla di Pace mentre ti tiene lo stivale piantato sulla faccia? Forse prima si deve rimuovere lo stivale!”
“Nel mio libro non parlo neanche di pace” – ha poi aggiunto lo storico israeliano – “non so cosa sia, ma parlo di decolonizzazione e questo non è un processo semplice” ma è parte di “processi lunghi, complicati e in parte anche violenti dopo oltre due secoli di occupazione” che sono però “l’unico modo per dare futuro alla Palestina”.

Da sinistra verso destra Daniele Mastrogiacomo (“La Repubblica”), il professor Ilan Pappé (University of Exeter) e il giornalista Thomas Fazi.