Alla fine, in Francia, non sono bastati “otto giorni per non cadere” al centrista François Bayrou e al suo esecutivo: dopo la storica sfiducia decretata ieri sera dal voto dell’Assembleé Nationale (un evento mai verificatosi prima nella storia della Quinta Repubblica francese), infatti, l’oramai ex-Primo Ministro ha lasciato pochi minuti fa l’Eliseo dove si era recato nel primo pomeriggio per rassegnare le proprie dimissioni al Presidente Emmanuel Macron, proprio come avvenuto poco più di nove mesi prima al suo precedessore Michel Barnier.
Con le dimissioni del governo Bayrou (che rimane in carica solo per gli affari correnti in attesa del nome del successore che dovrebbe – salvo sorprese – essere individuato da Macron nei prossimi giorni),la Francia piomba nuovamente nella crisi che l’Eliseo sperava di aver in qualche modo arginato con la scelta del macroniano di Bordères, certificando l’estrema instabilità socio-politica nella quale la nazione transalpina si ritrova oramai da oltre un anno e mezzo.
Stiamo parlando infatti del sesto governo caduto da otto anni a questa parte, durante ovvero i due mandati presidenziali di Macron e – entrando più nello specifico rispetto a quanto indicato in precedenza – del primo governo della Quinta Repubblica a essere caduto in seguito a una mozione di fiducia (e non di censura) presentata dal governo uscente.
La scommessa di Bayrou affossata dalle opposizioni (e dai franchi tiratori)
Il responso del voto serale dell’Assembleé Nationale, giunto al termine di un lungo pomeriggio iniziato attorno alle 15:00 con le dichiarazioni del Primo Ministro uscente, è stato chiaro: 194 voti a favore, 15 astenuti e 364 voti contrari al governo di Bayrou e alla sua richiesta di fiducia, necessaria a poter portare avanti il suo piano di riduzione del deficit da 44 miliardi di euro oggetto di feroci critiche sia da parte del mondo politico che della stessa cittadinanza francese.
A votare in modo compatto contro l’esecutivo sono state tutte le forze d’opposizione, dalle varie componenti del Nouveau Front Populaire (NFP, 192 voti) alla destra del Rassemblement National (RN, 123 voti) di Marine Le Pen e Jordan Bardella a cui si aggiungono i quindici voti della Union des Droites pour la République (UDR), il partito nato dalla scissione portata avanti da Eric Ciotti all’interno delle fila de Les Républicains.
Ma ai 315 voti delle opposizioni si sono aggiunti anche i voti contrari provenienti dalle stesse fila della maggioranza guidata da Bayrou.
Nello specifico, i “franchi tiratori” sono arrivati principalmente proprio dalle fila del partito neogollista di destra, che era parte dell’accordo di governo di François Bayrou: il capogruppo nell’emiciclo per i Repubblicani, Laurent Wauquiez, aveva dato “libertà di voto” ai suoi colleghi e i risultati hanno mostrato un partito diviso sull’operato del governo Bayrou (27 voti a favore, 13 contrari e 9 astensioni). Ai voti dei neogollisti si sono infine aggiunti i quindici voti contrari (assieme a quattro astensioni) provenienti dal partito Libertés, Indépendants, Outre-Mer & Territoires (LIOT), espressione dei territori regionali e d’Oltremare, e i sei voti del gruppo dei Non Iscritti.
Emmanuel Macron e le possibili prossime mosse
Questa nuova fase nella crisi politica francese porta il Presidente Macron a dover valutare con cura le prossime mosse da compiere, dopo aver di fatto “sprecato” altri nove mesi di tempo con un esecutivo che fin dal suo avvio ha goduto di un fragilissimo sostegno da parte delle forze poltiche.
Accantonata nuovamente – e sembra un revival di quanto accaduto con la caduta di Michel Barnier – l’idea di lasciare l’Eliseo a poco più di due anni dalle elezioni presidenziali (per le quali la poltiica francese guarda con profonda attenzione anche al processo che vede coinvolta Marine Le Pen per appropriazione indebita di fondi pubblici), la scelta più probabile sembra essere quella della settima nomina di un Primo Ministro che possa essere capace di formare un nuovo esecutivo con il quale approvare la fondamentale legge di bilancio.
In questo caso, sono i tempi a rappresentare un elemento chiave nell’immediato per la politica transalpina, laddove sono in tanti a richiamare a gran voce il bisogno per il Paese di “un Primo Ministro in tempi rapidi” per scongiurare “il rischio di disordini”, proprio come ha dichiarato questa mattina il Ministro dell’Interno uscente Bruno Retailleau.
Un rischio di cui già a partire da domani si avrà un primo esempio (o “banco di prova”) a Parigi e nel resto della Francia con la serrata nazionale indetta dal movimento “Bloquons Tout” (in basso, NdA) in risposta al (naufragato) piano di Bayrou e contro lo stesso presidente francese, la cui popolarità è sempre più vicina allo zero.
Oltre alle evidenti tensioni di natura interna, poi, il Presidente Macron conta di poter raggiungere un risultato stabile nel minor tempo possibile anche in previsione dell’importante impegno internazionale che lo vedrà coinvolto tra poche settimane a New York quando, in occasione dell’ottantesima sessione dell’Assemblea Generale ONU, raggiungerà il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite per annunciare il riconoscimento ufficiale della Francia dello Stato di Palestina.

Fonte immagine: www.indignonsnous.fr (opera di dominio pubblico)
Fonte immagine di copertina: Laurent Grassin/Flickr (licenza d’uso CC BY 2.0)