Teens’ Voice: l’osservatorio sulla Gen Z che ascolta i giovani

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Molto spesso i media e il mondo degli adulti dipingono le nuove generazioni come svogliate, disincantate e pigre, immerse costantemente in un presente edonistico, incapaci di incidere realmente nel quotidiano. Questo quadro grigio dei giovani spesso emerge nei talk show o nelle conversazioni piene di luoghi comuni in cui sedicenti esperti parlano con scarsa cognizione di causa e, soprattutto, senza un approccio scientifico. 

Quello di Teens’ Voice, invece, è un osservatorio che parte dai giovani per parlare a e di loro. Si tratta di una iniziativa, nata nel 2014 dalla collaborazione tra il Dipartimento di Psicologia dei Processi di sviluppo e socializzazione dell’Università La Sapienza di Roma e il Salone dello Studente Campus Orienta, che si propone di elaborare informazioni e dati sulle nuove generazioni per migliorare la comprensione reciproca transgenerazionale e i metodi pedagogici degli adulti applicati nel rapporto con i giovani. 

Il 23 settembre si è tenuto un incontro in cui venivano presentati i risultati ottenuti dalle indagini svolte da Teens’ Voice durante l’ultimo Salone dello Studente, basandosi su un campione di circa 2.000 soggetti. Il programma della conferenza si è focalizzato su due temi molto caldi e attuali: il rapporto degli studenti con la DAD e la partecipazione giovanile alla vita politica. 

Per l’occasione sono intervenuti Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso La Sapienza, Pietro Lucisano, professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso La Sapienza, Emiliane Rubat du Mérac, ricercatrice e docente di Metodologia della ricerca pedagogica presso La Sapienza, Domenico Ioppolo, amministratore delegato di Campus e Ottaviano Nenti, giornalista di Milano Finanza.

Giovani e DAD: quando l’allievo supera il maestro

Argomento centrale dell’incontro è stato, appunto, il rapporto tra gli studenti e la didattica a distanza. Da quasi due anni, ormai, buona parte del programma scolastico si è svolto online, e uno dei problemi principali riscontrati è stata ed è la difficoltà di mantenere un adeguato livello di insegnamento, al pari di quello in classe. Ciò che infatti avviene è che, spesso, all’interno di un gruppo classe ci siano alcuni studenti che non dispongono delle giuste risorse digitali per seguire le lezioni oppure che non vivono in un’atmosfera tale da potergli permettere di studiare serenamente. 

Quella dei dispositivi tecnologici adatti a seguire le lezioni a distanza è una questione molto rilevante: la ricezione di un insegnamento in presenza è sicuramente più immediata rispetto all’online, per tale ragione è necessario che vengano costruite delle situazioni, tramite adeguate infrastrutture tecnologiche, che riproducano il più fedelmente possibile l’ambiente scolastico reale. 

Un dato preoccupante da questo punto di vista è che il 36,6% degli alunni ammette di seguire le lezioni da smartphone. Questo non va assolutamente bene per diverse ragioni pedagogiche; il rischio più grande è che si vengano a creare dei contesti formativi in cui la classe è “assente”, non partecipa e il docente non riesce a coinvolgerla. 

Fondamentale in questo senso è il concetto di didattica attiva, di un approccio pedagogico che stimoli continuamente gli studenti. La didattica attiva rende la DAD una soluzione più dinamica: ad oggi, il 60% degli studenti ritiene di aver ricevuto poco o per niente stimoli per la propria motivazione, il 54% afferma che quasi mai ha la possibilità di lavorare in gruppo da remoto, e il 37% ha scarsissime interazioni con il docente. 

Da questo quadro si evince che la didattica attiva è un buon mezzo, soltanto che attualmente viene poco impiegato. Alla scarsa capacità di coinvolgimento che spesso si trova negli insegnanti, si aggiunge la presenza di profonde lacune digitali. Queste due variabili, ovviamente, non fanno altro che diminuire il grado di soddisfazione per la DAD e, in qualche modo, scoraggiare gli studenti nell’impegnarsi a studiare. 

Le basse competenze digitali riscontrate negli insegnanti, in molti casi portano gli alunni a sentirsi più preparati di loro nell’utilizzo degli strumenti digitali. Questa sensazione non è positiva perché uno studente non dovrebbe sentirsi mai superiore al proprio insegnante, specie nella padronanza di quegli strumenti attraverso cui avviene la comunicazione e l’insegnamento scolastico; strumenti che rappresentano il futuro e che ad oggi il 40% degli insegnanti sembrerebbe non saper utilizzare.

Partecipazione politica: i giovani vanno d’accordo con l’attivismo, ma non con la politica tradizionale

Alla base della formazione dei giovani c’è ovviamente la scuola, che è determinante non solo nella formazione di un cittadino valido ma anche per la crescita di un soggetto sereno e ben integrato nella società. Dalle ricerche, infatti, emerge che il 30% dei ragazzi non diplomati sono meno soddisfatti della propria vita rispetto ai coetanei diplomati.

Guardando, però, ai ragazzi che terminano la scuola, seguendo l’altro filone di ricerca portato avanti dall’osservatorio, è emerso che i giovani non sono come vengono generalmente descritti, anzi si dimostrano molto attivi sia a livello sociale che civile, sebbene la partecipazione alla vita pubblica non venga praticamente canalizzata nei processi politici. 

Mentre il 50% dei giovani prende parte ad iniziative per la tutela del pianeta o dei diritti umani, soltanto il 19% partecipa alle discussioni politiche e il 6% è iscritto ad un partito.

Questa tendenza dei giovani che «vogliono votare, contribuire a migliorare le cose, ma non fare politica tradizionale» è evidente osservando alcuni dei dati pubblicati da Teens’ Voice. Tendenzialmente il 90% vota alle elezioni, l’87% dichiara di sostenere l’ambiente con pratiche sostenibili, il 76% sarebbe disposto a fare del volontariato per sostenere la comunità locale, ma solo il 20% si iscriverebbe ad un partito politico e il 28% aiuterebbe un candidato politico per la sua campagna elettorale. 

La sfiducia dei giovani nella politica si traduce in una diffidenza della Generazione Z verso le istituzioni; solo il 21,4% degli intervistati, infatti, pensa che la società dia ascolto alle problematiche giovanili. È emerso in maniera evidente che i giovani chiedono più attenzione e più spazio per farsi sentire e farsi valere: difatti, solo il 28% crede che la società offra ai giovani le possibilità concrete per dimostrare le loro competenze. 

Un’analisi sociologica di un mondo che è cambiato

Per concludere può essere utile riassumere sinteticamente le parole del Professor Domenico De Masi, il quale parla di un mondo che è cambiato e, insieme ad esso, sono cambiati anche i suoi abitanti. I giovani di oggi, afferma De Masi, sono fatti per il volontariato non per la partecipazione politica, hanno un’altra cultura del lavoro e del “successo” in termini sociali. 

Da un lato la politica ha sempre meno una dimensione “locale” e “il crollo delle idee” ha determinato la fine dei partiti di massa novecenteschi, dall’altro si ha a disposizione sempre più tempo libero, perché si lavora meno. Nel 1901, trenta milioni di persone lavoravano 70 miliardi di ore; nel 2019 sessanta milioni ne lavoravano 40. 

In questo senso sono cambiati gli schemi, la rivoluzione tecnologica ha accelerato la trasformazione sociale e, di conseguenza, la Generazione Z è molto più diversa dalla precedente. Tuttavia, non si può dire che questi giovani siano disinteressati né che siano svogliati: si può dire che partecipano poco alla politica “vera”, o meglio, lo fanno tramite nuovi mezzi, in primis quelli digitali, come dimostrano le numerose raccolte firme per indire dei referendum organizzate online da associazioni giovanili.

Autore

Matteo Fantozzi

Matteo Fantozzi

Direttore Responsabile

Matteo, classe 1997. Non avevo mai provato il disagio di creare una bio finché non ho dovuto scrivere la mia. Se ti dico qualcosa, credimi. Non sono un bugiardo e non voglio fare il giornalista.

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