Il 2 agosto 1980, a Bologna, si verifica il più grave attentato del secondo dopoguerra nel nostro paese: erano le 10:25 quando una bomba esplose, distruggendo l’ala ovest della stazione e causando 85 morti e circa 200 feriti.
Le immagini che i telegiornali trasmettono sono quelle di uno scenario di guerra: macerie e detriti, persone che implorano l’aiuto di un medico, autobus navette che si trasformano in ambulanze per trasportare i feriti in ospedale, civili che si fermano spontaneamente per aiutare le operazioni di soccorso.
La prima ipotesi ufficiale fu quella dell’esplosione di una caldaia. Eppure, chi stava lì, chi aveva visto l’esplosione e aveva il viso sporco di polvere, aveva già capito tutto. Come ad esempio la testimonianza dell’edicolante: «Lì per lì non si sapeva cosa fosse, ma poi l’odore della polvere da sparo si è sentito. Non c’entra la caldaia: questo è un attentato».
Per quanto riguarda questa strage, ad oggi, c’è una verità giuridica: è stata una bomba nera, un attentato dei Nuclei Armati Rivoluzionari, su cui spiccano i volti di Giusva Fioravanti, la sua compagna (poi moglie, dal 1985) Francesca Mambro, insieme a Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. Nonostante questo, però, le trame che hanno portato all’attentato restano tutt’altro che chiare.
Infiniti depistaggi
Libero Mancuso, Giudice Istruttore del Tribunale di Bologna, ha detto che «mai nessun processo come quello della Strage del 2 agosto 1980 ha subito tante deviazioni, tanti tentativi di allontanare i giudici dalla realtà, come quello di cui stiamo parlando».
I tentativi di depistaggio avevano dunque l’obiettivo di attribuire responsabilità ovunque, per cercare di rallentare un vero processo stabile di indagini. Il 13 gennaio 1981, in uno scompartimento del treno Taranto – Milano i carabinieri trovano una valigia, al cui interno c’è un tipo di esplosivo particolare: il Compound B, lo stesso utilizzato per l’attentato.
I carabinieri in realtà avevano seguito una pista ben precisa: il generale Pietro Musumeci, vicecapo del SISMI (Servizio informazioni e sicurezza militare), aveva ricevuto il rapporto «Terrore sui treni», dove c’era scritto che a breve sarebbero iniziati una serie di attentati sui treni, ad opera di neofascisti italiani, con la collaborazione di terroristi francesi e tedeschi: nello specifico si trattava di Raphael Legrand e Martin Dimitris.
Nella valigetta trovata dai carabinieri, oltre all’esplosivo e alle armi, ci sono anche due biglietti aerei intestati proprio a loro due. Una trama fin troppo coerente per essere vera: si scoprirà, infatti, che la valigetta è stata posizionata lì da un sottufficiale dell’arma dei Carabinieri, avvicinato e ingaggiato dagli agenti del SISMI.
A organizzare questo assurdo depistaggio, utilizzato per promuovere la pista internazionale dai Servizi Segreti, furono il Colonnello Giuseppe Belmonte e il suo superiore: per l’appunto, Pietro Musumeci. Entrambi iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli.
Loro tre, insieme a Francesco Pazienza, verranno condannati per questi depistaggi: la pena sarà di 10 anni per Gelli e Pazienza, 8 e 7 per Musumeci e Belmonte.
La ricerca dei colpevoli
Luigi Ciavardini, all’epoca diciassettenne, Sergio Picciafuoco (poi assolto), Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, furono accusati di trovarsi lì in stazione, quel 2 agosto.
Contro Valerio e Francesca emerge un testimone decisivo: si tratta di Massimo Sparti, un personaggio legato al mondo della criminalità comune e noto per fornire supporto ai gruppi neofascisti. Il 4 agosto, dice Sparti, ospitò Giusva e Francesca, e il primo confermò la loro presenza in stazione e, temendo di poter essere riconosciuti, chiese documenti falsi per Francesca. «Hai visto che botto?», pare gli disse Giusva, appena arrivato a casa di Sparti.
C’è poi un omicidio sospetto di tale Francesco “Ciccio” Mangiameli, fascista palermitano, che aveva ospitato i due casa sua, dal 14 al 30 luglio. Lo uccideranno un mese dopo, perché era un ladro, a loro avviso: ma il 24 agosto, il colonnello dei Servizi Segreti Amos Spiazzi si era lasciato sfuggire il nome di tale “Ciccio” in un’intervista all’Espresso, definendolo un Coordinatore dei Nar.
Non solo l’omicidio: ad aumentare i sospetti fu il modo in cui fu occultato il cadavere, ovvero zavorrato e gettato in un laghetto artificiale. Tutta questa cura, a detta dei giudici, era da ricondurre a un fatto ben preciso: altro che “ladro”, Ciccio sapeva qualcosa su Bologna, dal momento che li aveva ospitati nel periodo immediatamente precedente la strage.
La pista nera, oggi, vede un quinto uomo emerso proprio in questi giorni: si tratta di Paolo Bellini, al tempo neofascista di Avanguardia Nazionale, il cui volto è stato riconosciuto in un video girato da un turista alla stazione quel 2 agosto.
Le trame oscure di Bologna
Innanzitutto va prima compreso a pieno il fatto che, per la Strage di Bologna, la pista internazionale, come si è già visto precedentemente, sia stata richiamata a più riprese. Non solo dal SISMI: fu lo stesso Francesco Cossiga a liquidare quell’attentato come un’esplosione accidentale da ricondurre a due palestinesi, in transito a Bologna: «io credo che lì fosse in atto da parte di terroristi del Medio Oriente un trasporto di esplosivo, che loro siano scesi dal treno e che gli sia scoppiata la valigia con l’esplosivo che c’era dentro.»
Un’ipotesi che non ha mai avuto alcun riscontro.
Sappiamo, grazie alle parole del giudice Libero Mancuso, che «la P2 era assolutamente interessata ad impedire l’accertamento della verità».
Perché tutti quei depistaggi? Ancora oggi è una questione difficilmente comprensibile, e con le parole di Giovanni Pellegrino, ex Presidente della Commissione Stragi, accettiamo, seppur con riluttanza e inquietudine – due stati d’animo dominanti, quando leggiamo le cronache delle stragi del nostro dopoguerra – questa impossibilità di scoprire il vero.
«Con il tempo, che cosa volevano nascondere i depistaggi di Piazza Fontana […] siamo riusciti a capirlo. E invece per la strage di Bologna non è così. Noi registriamo l’intensità e la forza dei depistaggi e riusciamo a capire chi sono gli autori: la P2 e il Servizio Segreto Militare. Però, che cosa c’era che quei depistaggi non volevano far apparire circa le motivazioni politiche di quella strage, e cioè come quel gesto politico si inseriva nella situazione italiana ed internazionale del periodo, questo, francamente, non siamo riusciti a capirlo.»
Autore
Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.