“Tregua raggiunta”, anzi no…forse non è detto ancora.
Sono state ore tumultuose e travolgenti quelle che si sono susseguite negli ultimi due giorni in Medio Oriente, tra i cieli d’Israele e dell’Iran, il Golfo Persico e i canali diplomatici riattivati, seppur in maniera alquanto precaria, dall’intervento del presidente statunitense Donald Trump.
Ma alla fine, nonostante una “tregua temporanea di dodici ore” annunciata nella notte del 24 giugno dalla Casa Bianca e violata con la stessa rapidità dell’annuncio sia da Israele che dall’Iran (un fatto che ha scatenato la “furibonda dialettica” dell’inquilino della Casa Bianca), sia da Gerusalemme che da Teheran sono arrivati gli annunci della fine delle ostilità, perlomeno per il momento.
Al netto delle dichiarazioni e della vittoria rivendicata dai diretti interessati (Trump per gli Stati Uniti, Benjamin Netanyahu per Israele e l’ayatollah Khamenei e il Presidente Masoud Pezeshkian per l’Iran), infatti, la tregua rimane alquanto precaria e si deve sperare possa sedimentarsi col tempo per evitare il ritorno delle armi e un’escalation regionale (e non solo) dai potenziali effetti devastanti.
L’augurio della comunità internazionale è che possano riprendere al più presto le trattative tra Iran e Stati Uniti attorno all’energia nucleare, quelle trattative che erano vicine a sbloccarsi nel sesto incontro tra le due delegazioni previsto lo scorso 15 giugno in Oman, prima che l’operazione israeliana “Rising Lion” vanificasse del tutto gli sforzi (senza dimenticare l’intervento militare statunitense con l’operazione “Midnight Hammer”).
Cosa resta della “Guerra dei Dodici Giorni”? – Una breve panoramica

Una fotografia del bombardiere B-2 Spirit.
Fonte immagine: USGov Military-Air Force/Wikimedia Commons (opera di pubblico dominio)
Chi tra i tre contendenti può fregiarsi di aver vinto in questa escalation bellica?
Dati alla mano, ciò che al momento si può dire su quella che è già stata ribattezzata come la “Guerra dei Dodici Giorni” tra Israele e Iran è che sul campo sono rimasti ventinove morti e circa tremila feriti sul lato israeliano e seicentodieci vittime e oltre cinquemila feriti sul lato iraniano, tra i quali numerosi civili (come giornalisti e operatori della Mezzaluna Rossa) ma anche numerose figure ai vertici degli apparati scientifici e militari del paese (come le Guardie della Rivoluzione Islamica, i pasdaran).
I danni sono ingenti da entrambe le parti: Teheran è stata oggetto di bombardamenti costanti da parte delle forze aeree israeliane tra jet, missili e droni che hanno colpito la sede della televisione di stato (17 giugno), importanti poli accademici della città e – negli ultimi giorni dello scontro – la famigerata prigione di Evin.
A questi obiettivi si aggiungono i tre siti nucleari più importanti nel territorio iraniano situati a Isfahan, Natanz e, soprattutto, nella “fortezza sotterranea” di Fordow. Luoghi, quest’ultimi, che sono difficilmente penetrabili dagli armamenti in possesso dell’esercito israeliano e per i quali è servito l’intervento dell’alleato statunitense che, con la missione notturna “Midnight Hammer” (21-22 giugno), ha sganciato missili e bombe appartenenti alla classe delle “nuclear bunker buster” (NBB) [1].
La risposta iraniana nei dodici giorni di conflitto, d’altra parte, ha sorpreso gli analisti sul suo effettivo potenziale offensivo: i missili ipersonici “Fattah”, i missili balistici “Soleimani” e i droni lanciati da Teheran sono riusciti infatti a superare le difese del sistema “Iron Dome” e, seppur ridotti nel numero dopo essere stati in parte intercettati, a colpire ripetutamente il territorio israeliano (Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa e Be’er Sheva tra i luoghi maggiormente raggiunti).
Tra gli obiettivi colpiti e rivendicati dalle forze iraniane sono da menzionare il quartier generale del Mossad a Tel Aviv (17 giugno), il Soroka Medical Center a Be’er Sheva (19 giugno) e, il giorno seguente, un centro della Microsoft nella stessa città (20 giugno). A questi obiettivi si aggiungono numerose zone residenziali e, soprattutto, vari rifugi antimissilistici le cui strutture sono state penetrate dai missili iraniani.
L’ira di Donald Trump: “Non sanno più che c…o stanno facendo!”
“In pratica abbiamo due paesi che hanno combattuto così duramente e così a lungo che non sanno cosa c…o stanno facendo, lo capite?” (Donald Trump ai giornalisti presenti alla Casa Bianca, 24/06/2025)
Le parole pronunciate da Donald Trump davanti alla stampa radunata davanti alla Casa Bianca sono state cariche di insoddisfazione e risentimento, ai limiti della furia verbale.
Molto probabilmente non poteva esserci esito differente per chi, poche ore prima, aveva trionfalmente annunciato il raggiungimento di un accordo per una tregua temporanea nel conflitto israelo-iraniano e poche ore dopo, a ridosso della partenza per il vertice NATO organizzato nei Paesi Bassi, aveva ricevuto notizie della violazione dell’accordo da entrambe le parti, in particolar modo da parte di Israele che aveva colpito per prima con una raffica di missili sulla capitale Teheran.
Pur senza fare distinzioni sulle responsabilità di entrambe tra le parti, la furia di Trump si è rivolta maggiormente proprio verso l’alleato Netanyahu e il tono veemente usato dal tycoon newyorkese ha sorpreso gli stessi israeliani: i missili lanciati da Gerusalemme sulla capitale iraniana e la replica delle forze di Teheran, abbattutasi sulla città di Be’er Sheva e culminata con l’uccisione di cinque persone all’interno di un rifugio anti-missilistico hanno rischiato di “rovinare” i piani del presidente Trump per la “pace attraverso la forza” e dei suoi risultati raggiunti poco dopo “l’attacco concordato” da parte iraniana alla base statunitense di Al Udeid (Qatar).
È “servita” una raffica di “messaggi minatori” di Trump attraverso la propria piattaforma social Truth perché gli animi infiammati venissero bruscamente raffreddati, bloccando sul nascere l’innesco in un clima già di suo esplosivo (anche grazie al “contributo” statunitense).
Quali conclusioni si possono trarre da questa drammatica storia, mentre l’Iran annuncia oggi la sospensione degli accordi di cooperazione con l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) anche in seguito alle accuse di Teheran nei confronti del suo presidente Rafael Grossi di presunta complicità con Israele [2], mentre Trump rivendica i risultati raggiunti per la pace nella regione grazie al ruolo degli Stati Uniti dopo aver bombardato unilateralmente una nazione sovrana, in un atto che ha portato a numerose contestazioni tra le fila del Congresso e a una spaccatura all’interno dello stesso Partito Repubblicano (neoconservatori contro una parte influente della corrente MAGA [Make America Great Again]) e mentre Israele “torna a concentrarsi” sul proprio fronte bellico primario (la Palestina da “ripulire”) dopo averlo temporaneamente “derubricato” a secondario mentre continuava a uccidere impunemente decine e decine di persone ammassate attorno ai posti di distribuzione alimentare della deprecabile Gaza Humanitarian Foundation?
Quello che rimane di questi dodici giorni è che il diritto internazionale si dimostra ancora una volta un mero strumento utilizzato a convenienza (o meno) da chi detiene il potere e ha la superiorità nell’uso della forza per dare legittimità al proprio operato nella tutela dei propri interessi all’interno della propria sfera d’influenza globale.
Pure e semplici nozioni di geopolitica e di realismo politico dalla grande concretezza riscontrabile nello sviluppo quotidiano della politica internazionale e per le quali, specie dopo episodi del genere, sarebbe bene liberarsi di certe ipocrisie di fondo riguardanti visioni e valori etici insiti all’interno di una “comunità internazionale” che rappresenta solo una determinata parte del mondo.

L’arrivo del Presidente Donald Trump all’aeroporto di Amsterdam-Schiphol (Paesi Bassi), in occasione del vertice della NATO (fotografia di Phil Nijhuis).
Fonte immagine: Ministerie van Buitenlandse Zaken / Phil Nijhuis / Flickr (licenza d’uso CC BY-SA 4.0)
Note e riferimenti aggiuntivi
[1] Questo tipo di armamenti, dall’imponente peso di circa quattordici tonnellate, è in grado di perforare le armature in cemento armato e acciaio dei reattori nucleari anche se situati sottoterra (come nel caso specifico del sito di Fordow). Un dettaglio, quello del peso, che diventa fondamentale: può essere infatti trasportato soltanto dai bombardieri pesanti B-2 Spirit (in alto a destra, NdA) in possesso dell’aviazione statunitense.
[2] Nella notte del 12 giugno, i media iraniani tra cui l’agenzia di stampa Tasnim News Agency hanno annunciato la pubblicazione di una nutrita serie di documenti sottratti ai servizi d’intelligence israeliani che avrebbero dimostrato l’assenza di imparzialità della AIEA e la presunta – nonché prolungata – influenza israeliana nei confronti di Rafael Grossi.
Il presidente della AIEA ha prontamente negato queste accuse nei giorni successivi affermando come i documenti in possesso dell’Iran provenissero probabilmente dal Soreq Nuclear Center israeliano, già visitato dagli ispettori della AIEA.
Si rimanda a @Tasnimnews_EN / X (12/06/2025, ultima consultazione il 25/06/2025)
NdA: L’immagine di copertina è stata realizzata con l’utilizzo di software di creazione immagini IA di Dezgo su input testuale dell’autore del presente articolo.