Si è conclusa con un nulla di fatto la tornata referendaria di questo fine settimana per abrogare le norme sul lavoro inserite dal c.d. “Jobs Act” del governo Renzi e per modificare la legge sull‘acquisizione della cittadinanza italiana per i residenti stranieri. I circa quattordici milioni di italiani che si sono recati alle urne, tra le giornate di domenica e lunedì, non sono infatti bastati per il superamento del quorum richiesto per la validità del voto (era necessaria la partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto). Nessuno dei cinque quesiti sottoposti al voto popolare ha pertanto avuto validità.
Già dalle 15:00 di ieri pomeriggio sono cominciate le analisi sul voto che mostrano una fotografia poco edificante del sistema Paese, mentre la politica italiana si divide tra la soddisfazione delle forze di maggioranza al governo per la battuta d’arresto nei confronti di un voto “ideologico” e il rammarico delle forze d’opposizione che si ritrovano a fare i conti con un’occasione del tutto mancata e a trovare gli eventuali elementi da cui ripartire, sebbene nell’area riconducibile al c.d. “campo largo” non manchino frizioni per come sia stata gestita la campagna referendaria.
Ciò che è certo è che nel Paese abbia nuovamente prevalso l’astensione.
L’affluenza ferma al 30,6% e il voto sul quesito della cittadinanza – Alcuni dati del voto
Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, l’affluenza definitiva registrata negli ultimi due giorni è del 30,6 %, un numero che mostra un aumento di oltre dieci punti rispetto al voto referendario del 2022 sulla riforma della giustizia (il più basso di sempre nella storia della Repubblica) ma anche un calo rispetto al referendum sulle trivelle del 2016, dove si era espresso il 31,19% della popolazione.
Nei primi quattro quesiti, incentrati sul mondo del lavoro e sull’abrogazione delle norme inserite nel ”Jobs Act” promulgato durante il governo di Matteo Renzi (abrogazione del licenziamento illegittimo nei contratti a tutele crescenti, cancellazione parziale delle norme sulle indennità lavorative per licenziamento nelle piccole aziende, abrogazione delle norme sui contratti a tempo determinato e abrogazione dell’esclusione delle responsabilità solidali per i committenti nei confronti di lavoratori dipendenti in caso di infortuni sul lavoro) ha prevalso nettamente il sì con voti favorevoli attorno all’89% e voti contrari variabili tra il 10 e il 12%.
Nel quinto e ultimo quesito, infine, con il quale si chiedeva la riduzione del periodo di tempo richiesto per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei cittadini residenti di origine straniera (dagli attuali dieci a cinque anni), il voto ha mostrato un divario meno evidente rispetto ai precedenti quattro voti, con una parte significativa della popolazione che ha votato per il no (circa il 34,5%, ovvero più di quattro milioni e settecentocinquantamila votanti) a fronte del restante 65,5% dei voti a favore.
Quest’ultimo dato è alquanto indicativo dell’impatto mediatico che il tema della cittadinanza ha assunto per l’opinione pubblica nelle settimane antecedenti al voto, divenendo una questione politica profondamente divisiva nella popolazione tra i sostenitori e gli oppositori.
Fonte immagine di copertina: Ricp05/Wikimedia Commons (licenza d’uso CC BY-SA 4.0)