In Italia, negli ultimi 10 anni, la percentuale di raccolta differenziata è aumentata a ritmi vertiginosi, ma il gap tra nord e sud è sempre più evidente. La causa è da imputare a due fenomeni: il contesto socioeconomico più svantaggioso nel Meridione rispetto al centronord e l’assenza di un numero sufficiente di impianti in grado di gestire il flusso dei rifiuti all’interno di ogni provincia. Dai dati raccolti si evince che i rifiuti urbani prodotti nella regione Lazio ammontano a quasi 3 milioni di tonnellate, di cui 1,6 milioni sono rifiuti indifferenziati non riciclabili e i restanti 1,4 milioni sono rifiuti urbani differenziati, come carta, plastica, vetro e organico. È proprio l’organico arappresentare la tipologia più critica tra i rifiuti poiché necessita di una impiantistica più vicino possibile al luogo di produzione, minimizzando il più possibile il trasporto.
Rifiuti zero, impianti mille
Durante l’ultimo EcoForum, organizzato da Legambiente e Kyoto Club, dal titolo “Rifiuti Zero Impianti Mille”, il tema centrale è stato la necessità di costruire impianti di trattamento dei rifiuti, in particolare di quelli organici, nel più breve tempo possibile. Secondo il Direttore Generale di Legambiente Giorgio Zampetti «il futuro circolare dell’Italia è adesso. Sul tema dei rifiuti nel nostro Paese non è più accettabile, ma soprattutto sostenibile, sentir parlare di periodo di transizione o di passaggio in attesa di chiudere il cerchio […]. È necessario rimuovere gli ostacoli e ridurre sempre di più l’utilizzo dei vecchi sistemi di smaltimento, puntando su un’adeguata rete impiantistica a servizio del recupero di materia».
Costruiamo nuovi impianti adesso
Dunque, l’imperativo è costruire nuovi impianti, in particolare in quelle regioni, come il Lazio, in cui la percentuale di raccolta differenziata è in constante miglioramento e la necessità di avere impianti al servizio della comunità è una priorità del presente. Si deve aumentare il numero degli impianti di compostaggio che trasformano l’organico in compost fertilizzante, dei termovalorizzatori che bruciano i rifiuti indifferenziati non riciclabili trasformandoli in energia, e delle discariche, necessarie per stoccare tutti quei prodotti che non possono essere né bruciati nei termovalorizzatori né riciclati. Se tutti questi obiettivi non venissero raggiunti nel giro di pochi anni, l’intero sistema di raccolta dei rifiuti della regione Lazio sarà al collasso.
Roma paga l’organico il triplo di Milano
Ad oggi Roma esporta circa l’80 % dell’organico e del rifiuto indifferenziato non riciclabile fuori regione. La destinazione principale è la Toscana, per poi essere seguita da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
Il comune di Milano, per smaltire una tonnellata di organico, paga in media 60€, mentre il comune di Roma, per la stessa quantità, paga il quadruplo: 200€. La differenza tra i due capoluoghi è una: la Lombardia ha 17 termovalorizzatori e decine di impianti di compostaggio, mentre il Lazio ha solo un termovalorizzatore e 7 impianti di compostaggio. Analizzando poi i dati provincia per provincia, si può notare come l’intero territorio della Capitale sia in una situazione, già oggi, emergenziale. Infatti, sul territorio provinciale insiste un solo impianto di compostaggio, con capacità autorizzata di trattamento di appena 31 mila tonnellate l’anno. Ciò vuol dire che delle oltre 369 mila tonnellate di organico l’anno prodotte dai romani, circa il 90% viene trattato in impianti fuori regione. Questa condizione di continuo disagio, vissuta quotidianamente dai cittadini romani, si ripercuote sulle altre provincie della Regione Lazio, che, per quanto possibile, cercano di trattare ingenti quantità di rifiuti organici, provenienti dalla Capitale. Pertanto, al costo di smaltimento si somma il salasso del trasporto su gomma, facendo così schizzare i costi alle stelle, che si riversano sulle tasse dei cittadini, al massimo ormai da anni.
Due ostacoli insormontabili
Si devono costruire nuovi impianti, nel più breve tempo possibile. Ma ci si dovrà scontrare con due ostacoli insormontabili: la burocrazia e la classe politica. La prima non permette ad un ente, che sia pubblico o privato, di poter vedere realizzato un impianto prima di almeno 10 o anche 15 anni dall’inizio di iter burocratico. Il risultato più sconfortante è ritrovarsi con impianti, al nastro di partenza, già tecnologicamente superati. Ormai l’innovazione viaggia più veloce della burocrazia. Il secondo ostacolo è la classe politica, che si deve scontrare quotidianamente con la sindrome “Nirby” acronimo di Not In My Backyard ossia “non nel mio terreno”. È una sindrome sempre più diffusa che si manifesta con la repulsione e paura dei cittadini nell’ospitare impianti di trattamento di rifiuti in prossimità delle proprie abitazioni. La motivazione principale è il peggioramento del livello di vita, dovuto principalmente a problemi igienico-sanitari (tra cui emissione di forti odori), con gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini.
Perché essere Nirby?
Uno degli esempi più attuali è la vicenda della S.E.P. (Società Ecologica Pontina), sita nella zona industriale di Mazzocchio, a Pontinia, in provincia di Latina. Nei primi anni Duemila l’impianto fu uno dei primi ad essere aperto nel Lazio, puntando a diventare uno dei principali a livello regionale. Fin dalle prime attività, la S.E.P. iniziò ad emanare un forte odore, tipico della decomposizione della sostanza organica. Odore inesistente negli impianti di nuova generazione, per mezzo di filtri sempre più efficaci, che permettono di purificare l’aria, prima di essere emessa nell’ambiente, abbattendo drasticamente la quantità di gas in essa contenuta. La S.E.P. ha continuato, ininterrottamente, a emettere forti odori per quasi venti anni, rendendo la vita dei cittadini non degna di essere vissuta; allo stremo di una guerra quotidiana con un “ecomostro” che ha rovinato la vita di amici, parenti, vicini di casa. I cittadini ancora ricordano l’odore acre, dal sapore acido, che rimaneva adeso alla gola, anche quando la puzza non veniva percepita. Odore che veniva assorbito dai vestiti, dalle mura delle case, dagli ortaggi, un odore entrato con forza nelle vite di tutte quelle persone. Dunque, è normale che questo odio, nei confronti della S.E.P., sia sfociato nella sindrome “Nirby”. Da circa un anno, grazie ad una gestione commissariale, per questioni giudiziarie, la situazione è nettamente cambiata. La nuova gestione ha apportato le giuste modifiche: ha ridotto enormemente la quantità di odori emessi, installando filtri di nuova generazione, pur restando un impianto ormai superato da tecnologie più green e efficienti.
Il fallimento peggiore
In questo smarrimento, diffuso fra cittadini e opinione pubblica, la classe politica piuttosto che riconoscere la necessità di avere nuovi impianti più green diffusi capillarmente sul territorio nazionali, riducendo così il trasporto su gomma, ha preferito scagliarsi contro questi “ecomostri” senza darne una vera soluzione. La classe politica, piuttosto che valorizzare la scelta di dover costruire nuovi impianti, ha preferito cavalcare la “paura” e il “timore” dei cittadini per trarne un vantaggio in senso elettorale. Per tutti questi motivi, le cause sono da imputare ad un’intera classe dirigente e politica che non è stata in grado di programmare il futuro. Non è riuscita ad avere una visione d’insieme, in grado di lasciare il nostro territorio meglio di quanto loro stessi lo abbiano trovato. E la sua unica scelta è stata il non decidere. Ecco, credo sia questo il peggiore fallimento.
Autore
Marco Valle, classe 1993. Si è laureato in Ingegneria per la sicurezza ambientale e ha iniziato a lavorare, fin da subito, nel settore del riciclaggio dei rifiuti e dell’igiene urbana. Ha il brutto vizio di essere impegnato politicamente, con l’obiettivo di perseguire politiche green e più sostenibili.