Le città sono organismi in costante mutamento, in cui l’organizzazione dello spazio cambia le nostre vite, ma allo stesso tempo siamo noi a cambiare il significato che questo assume. Ogni trasformazione è necessariamente condizionata dall’uso che ne fa la società e non può esistere una percezione univoca. È per questo che la storia delle città non è separabile da quella dei sistemi economici, politici e sociali di cui esse sono parte.
Le città sono luoghi in cui emergono problemi, ma dove si trovano anche soluzioni. Di problemi, nel corso del Novecento, la storia dell’urbanistica ne è strapiena: più i progressi della tecnologia, della scienza, della creatività hanno invaso i nostri centri urbani, più è stato necessario dedicare loro un luogo; e nel momento in cui anche questi erano ormai superati, abbatterli è stato un pretesto per ripensare lo spazio. È questo il caso della morte dei distretti industriali, ovvero di tutti quei processi economici e sociali che hanno portato alla dismissione dei luoghi riservati all’industria e quindi alla necessità di trovare un’alternativa efficace, spesso attraverso l’analisi della città e la progettazione architettonica. La ferrovia ed i suoi sistemi fanno parte di questo processo e la loro riconversione ci ha regalato alcuni degli spunti di riflessione più interessanti nel contesto dell’architettura contemporanea.
High Line, New York
Quando parliamo di contemporaneità c’è una città che ci viene in mente prima di tutto: d’altronde si sa, a New York l’architettura e la modernità hanno sempre rivestito un ruolo importante. Cosa vuol dire però riqualificare in una città così nuova ce lo spiega una delle opere di architettura del paesaggio più interessanti della Grande Mela: la High Line.
La High Line, o meglio la West Side Elevated Line, nasce negli anni Trenta del Novecento, con lo scopo di trasportare prodotti alimentari alle varie aziende fra i palazzi della parte occidentale di Manhattan. Come ci immagineremo, dal momento in cui le autostrade sostituiscono le rotaie e le automobili cominciano ad invadere le nostre città, la West Side Elevated Line non ha più senso di esistere e negli anni Ottanta viene prevista la sua demolizione. È grazie ad una mobilitazione dei residenti della zona, la Friends of High Line, in opposizione all’abbattimento dell’infrastruttura e proponendo una sua riqualificazione in spazio pubblico e parco urbano, che la High Line riesce a mantenersi in vita. A seguito di una competizione di idee iniziata nel 2002, lo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations, lo studio di design Diller Scofidio + Renfro e il designer di piante Piet Oudolf vengono selezionati come squadra per trasformare la vecchia ferrovia.
La High Line è ora una strada pedonale verde e continua, lunga più di 2 km, con oltre 500 specie di piante e alberi. Il parco è gestito da Friends of the High Line in collaborazione con il Dipartimento dei parchi e delle attività ricreative di New York. Oltre agli spazi pubblici e ai giardini, la High Line ospita una serie diversificata di programmi pubblici, con il coinvolgimento della comunità e degli adolescenti, periodiche installazioni di arte moderna e spettacoli di livello mondiale, gratuiti e aperti a tutti. Ma soprattutto passeggiare sulla High Line, sopraelevati rispetto alla frenesia delle strade della città, fra un grattacielo e una casa dai mattoni rossi, ci offre la possibilità di ammirare una delle visuali più interessanti ed inusuali della Grande Mela.
King’s Cross, Londra
Nel 1844 William Turner rappresentava la modernità dipingendo un treno a vapore sfrecciare nel grigio paesaggio inglese. Quelle della ferrovia e dell’industria sono da sempre immagini fortemente legate alla cultura del Regno Unito: il progetto di King’s Cross parte proprio da questi concetti per evidenziare la necessità di conservarli e adattarli alla nostra contemporaneità.
King’s Cross è un’area di Londra, situata tra il borgo di Camden e Islington, famosa per essere uno degli snodi ferroviari principali della capitale inglese (e, diciamocelo, soprattutto per il binario 9 e ¾ diretto ad Hogwarts!). La storia della zona come la conosciamo oggi nasce nel 1852, con la creazione della stazione ad opera dell’architetto Lewis Cubitt. L’Ottocento è un secolo di grande fervore nel campo della tecnologia, in cui l’importanza dei treni e dell’industria implica naturalmente la necessità di spazi adeguati al loro sviluppo. Tuttavia, già nella prima metà del Novecento, l’area di King’s Cross vede un sostanziale declino: dopo la Seconda guerra mondiale, passa dall’essere una zona povera ma industrialmente efficiente, ad un distretto post-industriale parzialmente abbandonato, acquisendo sempre più fama come zona di prostituzione e spaccio di droga.
È con l’obiettivo di restituire all’area lo splendore che possedeva che nel 1990 il governo promuove la King’s Cross Partnership per finanziare i progetti di riqualificazione. Il progetto è iniziato con diversi anni di studi intensivi e consultazioni con la comunità locale, il governo e altre parti interessate. Questo lavoro ha costituito la base per una visione di sviluppo, da cui si è evoluto il masterplan. Da allora sono stati costruiti nuovi edifici e abitazioni, è stata aperta una nuova serie di piazze e giardini pubblici, sono stati restaurate molte delle strutture ed edifici storici dell’area di King’s Cross. Fra questi, la centrale Granary Square con le sue fontane e la sede dell’importante Central Saint Martins della University of the Arts London, il Gasholder Park con la riqualificazione dei vecchi gasometri per opera del famoso studio londinese Wilkinson Eyre, il progetto di Heatherwick per la rifunzionalizzazione e modernizzazione delle storiche Coal Drops, sono alcuni dei cambiamenti più radicali e allo stesso tempo sorprendenti della nuova King’s Cross.
Spina Centrale, Torino
Dopo gli Stati Uniti e l’Inghilterra, è opportuno fare almeno un esempio nel nostro paese. Intorno agli anni Settanta e Ottanta la necessità, sviluppatasi già in molte città europee, di ripensare e gestire gli spazi un tempo destinati all’industria, inizia a farsi sentire anche in Italia, soprattutto in quelle città del Nord che più di altre avevano assunto l’appellativo di capitali dell’industria.
Il Comune di Torino comincia, in questo contesto, a porre l’attenzione su una possibile riorganizzazione e potenziamento delle aree del suo sistema ferroviario. Le basi di quest’idea confluiscono nel famoso Piano Regolatore Generale del 1993, redatto da Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi. Il piano propone come obiettivo primario la trasformazione urbana della cosiddetta Spina Centrale, situata ad ovest del centro di Torino, in cui l’interramento del passante ferroviario permette l’insediamento di una nuova arteria di comunicazione, consentendo una riorganizzazione degli spazi urbani circostanti, nuovi parchi pubblici, attività terziarie e residenze. Il risultato è uno dei progetti urbanistici più ambiziosi del Novecento, attraverso interventi ingegneristici, architettonici e artistici capaci di creare una nuova parte di città fortemente all’avanguardia.
La Spina viene successivamente divisa in più parti: Spina 1, 2, 3 e 4. Spina 1 è sicuramente l’area in cui è stata riservata una maggiore attenzione nel progetto architettonico, dovuta soprattutto alla sua centralità: quest’area acquista maggior valore grazie alla presenza della sede di recente ampliamento del Politecnico di Torino e delle Officine Grandi Riparazioni, uno dei più interessanti progetti di riqualificazione degli spazi della ferrovia nel capoluogo piemontese, che ospitano oggi concerti, progetti educativi ed importanti mostre d’arte contemporanea in un affascinante contesto post-industriale. Nonostante la centralità di Spina 1, anche i successivi tratti accolgono nuovi progetti che segnano la Torino del nuovo millennio: la nuova stazione di Porta Susa è sicuramente fra questi, con la sua struttura a galleria in acciaio e vetro, capace, attraverso il rivestimento con cellule fotovoltaiche di produrre l’80% dell’intero fabbisogno di energia elettrica della stazione. Continuando lungo il tratto di Spina 3 non è possibile non notare il Parco Dora, parco post-industriale ricavato dall’ex stabilimento Ferriere Fiat, oggi sede di numerosi eventi e principale luogo d’incontro per gli skaters torinesi.
Infine, il piano di Gregotti e Cagnardi si distanzia dai precedenti per la commistione di ambiti e culture diverse, quasi a rimarcare il concetto che il contrasto fra piano e progetto architettonico, artistico, urbano non esiste più. È infatti anche nella volontà di utilizzare opere d’arte contemporanea come elementi di decoro urbano che il piano rimarca la sua componente innovativa e, attraverso la fontana-scultura Igloo di Mario Merz e l’Albero-Giardino di Giuseppe Penone, proclama fortemente la contemporaneità di quest’intervento.
New York, Londra e Torino sono un chiaro esempio di come gli spazi abbandonati possano essere grande fonte di riflessione per generare un progetto forte ed efficace. Soprattutto la ferrovia e i luoghi della sua produzione, i segni indelebili che questa lascia non solo materialmente ma anche nell’immaginario collettivo, generano infiniti percorsi e modalità nella riqualificazione dei suoi spazi. Genera, come abbiamo visto, l’opportunità di mantenere e rimarcare la traccia del passato, attraverso la consapevolezza di un mutamento nei bisogni della nostra generazione, che implica quindi una nuova e completa riflessione.
I progetti esposti e molti altri realizzati negli ultimi anni nelle nostre città hanno spesso saputo risolvere questi interrogativi attraverso pretesti economici, commerciali, spesso attenti ad interessi privati molto – troppo – consistenti. Tuttavia, hanno tutti saputo creare spazi adeguati alla società a cui sono rivolti, hanno generato nuove visioni, hanno protetto, piuttosto che demolito.
Che cosa ne è e ne sarà di questi spazi, questo è affar nostro.
Autore
Stefano Mastromarino
Autore
22 anni e mezzo, mezzo architetto, mezzo pianista. Dopo il liceo classico, il conservatorio, un anno a Rotterdam ad infornare pizze, trascorro tre anni fra Roma, Dortmund e Torino dove mi laureo in architettura al Politecnico. Mi interesso particolarmente di pianificazione urbana e politiche territoriali e sogno una carriera nella ricerca. Per ora sono a Londra, domani chissà.