Il femminicidio esiste da millenni: un viaggio nella cultura classica per sradicare il patriarcato

0% Complete

La cultura è un insieme complesso che include conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costume e abitudine acquisita dall’essere umano in quanto membro della società, come ci insegna Burnett Tylor. Ed è innegabile che le conoscenze e le abitudini del mondo antico influenzino il nostro presente. Guardare ad esse e conoscerle può aiutarci a comprendere perché gli uomini uccidano le donne.

Gli antichi, tra le altre cose, ci hanno lasciato in eredità comportamenti sociali su cui dovremmo riflettere. A dire il vero, una prerogativa comune sia per i greci che i romani sembra essere l’abitudine dell’uomo al possesso della donna. Nel mondo prima di noi, in particolare in Grecia, l’elemento costitutivo della società e della famiglia è l’oikos, che è a disposizione di chi ha autorità completa su di esso, solitamente un uomo, il kyrios. Può essere identificato con una proprietà come la casa, o con le persone legate da parentela. Tra i termini che da esso derivano c’è oiketis che indica la moglie, la schiava e la domestica. L’oikos allora è prima di tutto una gerarchia, e non è in favore delle donne.

Come ci informa Aristotele in Politica II, (1269b-1270a): «La libertà concessa alle donne è dannosa sia all’intento della costituzione sia alla felicità dello stato». E poi porta l’esempio di Sparta:

È vero quindi che all’inizio la libertà concessa alle donne a Sparta sembra essere avvenuta a ragion veduta, poiché gli Spartani erano soliti essere assenti da casa per lunghi periodi a causa delle loro spedizioni militari […] quanto alle donne, si dice che Licurgo tentò di sottometterle alle leggi, ma poiché esse resistevano, vi rinunciò. […] gli errori relativi allo status delle donne sembrano […] causare una certa indecorosità nella condotta effettiva dello Stato […]».

Aristotele in Politica II

D’altro canto, Plutarco, in Vita di Licurgo, (14, 1-3), ci informa del fatto che Aristotele si sbaglia, Licurgo non fallì nel disciplinare le donne, ma si occupò di esse con  la dovuta attenzione disponendo che le ragazze tenessero il loro corpo allenato con la corsa, la lotta, il lancio del disco, il giavellotto,

perché il frutto del loro ventre, mettendo fin dal principio radici vigorose in corpi vigorosi, crescesse poi nel modo migliore; e anche perché esse stesse, giungendo fortificate al parto, lottassero con successo e facilità contro le doglie.

Plutarco, Vita di Licurgo

Sempre Aristotele in Politica I (1252°) ci informa che l’unione della femmina e del maschio per la continuazione della specie è l’unione del governante naturale e del suddito naturale. E la donna incarna lo spazio domestico interno, ovvero quello eminentemente femminile, da cui la donna stessa non dovrebbe uscire. Questo è attestato sia da Omero nell’ Iliade (490-493) che da Senofonte, Economico (7, 22-28) per il quale la natura della donna è ai compiti e alle cure dell’interno. Anche Demostene, Contro Neera (LIX, 122) ne parla: le mogli sono fatte per generare figli legittimi.

Nel mondo prima di noi, ad Atene, nello specifico, qualora un uomo morisse lasciando solo una figlia, questa non potendo ereditare il patrimonio (κλήρος) paterno, diveniva il tramite attraverso il quale quel patrimonio doveva esser trasmesso a maschi. Infatti, la donna, all’interno del matrimonio era soggetta al passaggio dall’autorità del padre a quella del marito. A Sparta, invece, per assicurarsi una discendenza legittima si metteva in atto la poliandria spartana, che prevedeva che la donna si unisse a più uomini contemporaneamente. Secondo il parere della Professoressa Mongardi dell’Università di Bologna, la poliandria non sta a significare maggior libertà femminile, perché la scelta del partner per la procreazione spettava solo all’uomo, al marito anziano, o allo scapolo che desiderasse avere una propria discendenza con una donna sposata.

Tiziano Vecellio, Il ratto di Lucrezia

Nel mondo prima di noi la figlia è suddita del padre, la moglie è suddita del marito, la donna è suddita dell’uomo fino al punto di dover sottostare a quello che sembra essere a tutti gli effetti uno stupro istituzionalizzato con fini procreativi. I riferimenti in merito a ciò possono essere trovati in Senofonte, Costituzione di Sparta, in cui il marito anziano poteva scegliere un uomo prestante per la procreazione, e se un uomo non voleva convivere con la donna, ma voleva dei figli, cioè una discendenza, poteva scegliere una madre di buona famiglia e alto lignaggio, naturalmente con il consenso del marito, per renderla madre dei suoi figli, impossessandosi del suo corpo e del suo utero. A Sparta, d’altronde, ci si sposava rapendo la propria moglie.

Anche Polibio in Storie (XII, 6b, 8) ci informa del fatto che i Lacedemoni avevano come consuetudine che tre o quattro uomini avessero una sola moglie e che se un uomo avesse generato abbastanza figli con la propria moglie, poteva anche decidere di darla a un suo amico. Questo è un fatto che avveniva anche nella società romana. Nell’ambito della poliandria adelfica la condivisione della moglie avveniva da parte di un numero non precisato di fratelli. Una sola donna per tanti uomini.

Nel mondo prima di noi di Roma si costituisce la famiglia che ruota attorno al pater familias e alla patria potestas che ci lascia in eredità la famiglia patriarcale in cui la mulier, la moglie, anche se emancipata (sui iuris) non è mai giuridicamente considerata pari del pater familias. Anche la figlia femmina, come la moglie, è sottoposta alla potestas del pater familias, che ha su di esse potere di vita o di morte. In particolare, si può punire con la morte una donna che abbia commesso adulterio o bevuto vino (Plinio, Storia Naturale) anche se quest’ultima prerogativa in epoca classica decade. In questo senso viene ricordato, sempre da Plinio, che la moglie di Egnazio Metennio, di cui non viene precisato il nome, fu uccisa a frustate dal marito per questo motivo, ed egli fu assolto dall’omicidio da Romolo in persona. Roma, poi, viene fondata a partire dal ratto delle sabine, una violenza di massa che viene dissimulata da chi la racconta.

Pietro da Cortona, Ratto delle Sabine, 1627-1629

Valerio Massimo in Fatti e detti memorabili spiega che il divieto del vino per le donne del mondo prima di noi, dipendesse dal fatto che il vino chiudesse le porte a tutte le virtù aprendole ai vizi come la lussuria e l’adulterio. Ma la vera questione politica ruota attorno al problema che l’adulterio metteva in dubbio la legittimità dei figli della matrona romana, la cui principale funzione era quella di generare figli legittimi. Inoltre, la parola stupro deriva dal latino stuprum che nel diritto romano indica un rapporto illecito e non quello in cui manca il consenso.

Furono Marco Antonino e Commodo ad affermare che qualora un marito spinto dalla violenza e dal suo dolore uccidesse la moglie sorpresa in adulterio, non sarà passibile della pena imposta agli assassini. Di questo ci informa Papiniano, Digesto, (48, 5, 38, 8). Invece, Agostino, Confessioni (IX, 9,19), senza esprimere una condanna, ci racconta che Monica, sua madre, era stata vittima di violenza domestica da parte del marito che era facile all’ira e lei stessa era vittima e sottomessa del marito, in quanto riprendeva le amiche che si lamentavano della violenza dei mariti. Nel mondo prima di noi, Apronia, seconda moglie del pretore Plauzio Silviano di cui parla Tacito, Annali, fu gettata dalla finestra e cercarono di insabbiare la vicenda, affermando che Apronia si fosse suicidata, e tentando poi di addossare la colpa alla prima moglie, Numantina, che lo aveva annebbiato con magia e incantesimi. Tito Livio, Ab Urbe condita libri, (Lib. I, 58) espone come Lucrezia moglie di Collantino, violentata dal figlio del re Tarquinio il Superbo, si uccida per la paura di essere accusata di adulterio. In quel mondo lì, anche Ponzia, di cui si innamorò Ottavio Sagitta, venne uccisa da quest’ultimo perché non volle più sposarlo. Ottavio Sagitta le chiese la consolazione dell’ultima notte per pugnalarla. Un modus operandi piuttosto comune sia del mondo prima di noi che del mondo di ora.

Il mondo di oggi non è poi così diverso da quello classico

Questi riferimenti alla storia sociale antica non fanno altro che supportare la tesi per cui la differenza dei rapporti di potere tra uomo e donna è così radicata da essersi trasmessa fino ai nostri giorni. Le conseguenze che la cultura del possesso e della differenza ha sulle vite delle donne è aberrante. Basti pensare che in Italia la legge del delitto d’onore è stata abrogata solo nel 1981. Tutte queste testimonianze, le fonti storiche, le relazioni dei grandi storici, i giudizi dei filosofi osannati che odiano le donne, la lentezza dei cambiamenti della società, gli stupri di gruppo, quell’ultima volta che finisce in tragedia, devono farci riflettere sul fatto che nessuna di queste situazioni è mai davvero lontana dalla nostra realtà e ognuna di queste l’ha influenzata. I nomi cambiano ma la storia si ripete. Il mondo prima di noi non è poi così diverso dall’attuale.

I femminicidi e la violenza sulle donne sono il risultato di quell’abitudine dell’uomo a considerare la donna mezzo riproduttivo, proprietà del kyrios o del pater familias, o di qualunque altro uomo o “bravo” ragazzo che abbia assorbito queste consuetudini sociali insite nella nostra storia, nella nostra cultura. Ma la più grande differenza tra il mondo prima di noi e quello in cui viviamo è che possiamo scrivere una controcultura che possa salvare davvero delle vite, e non concedere l’indignazione solo quando una donna muore. Indigniamoci per la cultura del femminicidio, della gelosia, dell’ossessione, della schiavitù domestica, dello stupro, del possesso, delle narrazioni deresponsabilizzanti, della retorica del bravo ragazzo e della donna puttana. Indigniamoci ogni giorno e combattiamo per farla crollare dalle fondamenta. Il nostro dovere è portare un cambiamento positivo nella nostra società, affinché le donne siano veramente libere, fuori dai confini di qualsiasi gerarchia patriarcale. Solo su una questione si può dar ragione ad Aristotele: le donne resistevano. Le donne resistono e combatteranno.

Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

Cristina Torre Cáceres

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi