Visibile e invisibile: Camille Claudel

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Era estate. Mia madre aveva imbandito la tavola con pietanze tipiche del sud, per festeggiare il ritorno di V., la sua migliore amica. Lei vive da più di vent’anni in Francia e ogni volta che arriva io voglio esserci. Non voglio perdermi niente dei suoi ritorni, forse perché non voglio perdermi niente della mia infanzia. A cena V. aveva parlato come sempre di molte cose, inframezzando riferimenti, anche racconti, anche Paul Claudel.

«Paul Claudel» aveva detto «e la sua povera sorella». «Paul Claudel aveva una sorella?». Sapevo dell’esistenza di Paul Claudel poeta, ma niente della sorella. «Certo, ed era molto più geniale e famosa di lui. Forse per questo la fecero rinchiudere». Avevo smesso di mangiare. Mi si chiude lo stomaco quando mi raccontano storie di donne che hanno seppellito e dimenticato.

Nei giorni successivi ho cercato Camille Claudel su Wikipedia. Il primo risultato riportava: C. Claudel scultrice francese, sorella maggiore dello scrittore e diplomatico Paul Claudel. Ho fatto ricerche per giorni. Non esistono voci che citano Camille Claudel, senza prima includere, nello stesso rigo, il nome del fratello. Del resto la sua intera vita fu proprietà di lui, Paul, che ne prese le redini e ne fece ciò che volle. 

Camille Claudel era un genio della scultura. Allieva e amante di Auguste Rodin. Nasce femmina l’8 dicembre 1864, da una madre anaffettiva che aveva precedentemente perso il primo figlio, un maschio desiderato. Da bambina Camille ama correre in campagna, malgrado sia nata con una gamba leggermente più corta dell’altra. Incomincia a modellare con la terra rossa, prima ancora di capire cosa sia la terra, il rosso e la modellazione. Gioca con le forme perché c’è chi nasce per rispondere alle richieste del mondo naturalmente, perché c’è qualche moto più potente, più travolgente che chiede e spinge in tutte le direzioni, fino ad arrivare alle mani. 

 La madre non comprende e non accoglie il carattere ribelle della figlia, la sua dedizione all’arte, la sua determinazione, la sua voglia di libertà anticonvenzionale. Nessuna bambina perbene si comporterebbe così come Camille fa. Di contro, la madre esalta le virtù della sorella minore Louise, che ricama e suona il piano nei suoi abitini puliti. In famiglia è solo il padre ad appoggiare la decisione di Camille di divenire scultrice. Lo fa tacitamente, senza dare troppo nell’occhio. 

Camille Claudel, L’età matura, 1902

Quando Camille ha 14 anni, il padre invita in casa lo scultore Alfred Boucher per mostrargli i lavori della figlia. Sarà proprio in questa occasione che sentirà parlare per la prima volta di Auguste Rodin, che ha appena esposto al Salon del 1877 “L’Età del bronzo”, la sua prima grande scultura. Quando Boucher vede il lavoro della ragazzina, il gruppo scultoreo in terra rossa di Davide e Golia, ne coglie subito il talento straordinario.

A 17 anni Camille si trasferisce a Parigi, affitta uno studio con due ragazze inglesi e Boucher sarà il loro insegnante. Camille espone per la prima volta un Busto di vecchia in gesso (la modella era l’anziana domestica di casa Claudel) e Boucher decide di presentarla a Paul Dubois, direttore della Scuola Nazionale di Belle Arti, il quale crede che la ragazza abbia preso lezioni da Rodin. Ecco ancora una volta entrare questo nome nella sua vita. Per lei, però, non si tratta che di un artista a cui non intende essere paragonata.

Quando, qualche tempo dopo, Boucher parte per un viaggio di studio in Italia, chiederà proprio ad Auguste Rodin di prendere il suo posto come insegnante nello studio delle ragazze e questa sarà l’occasione in cui i due scultori si conosceranno. Diventano amanti clandestini. Camille ha vent’anni, Rodin quarantacinque, un figlio e una compagna di nome Rose, oltre a numerose relazioni con le sue modelle. Col tempo, tutti intuiscono la relazione tra i due e la madre, sopraffatta dallo scandalo, la caccia di casa. Camille si trasferisce in uno degli studi di Rodin, una grande casa dove solo il fratello Paul va a trovarla. Insieme cominciano a frequentare il salotto del poeta Stéphane Mallarmé e il Gruppo dei venti, del quale fa parte anche Odilon Redon. Al Salon del 1888, Camille presenta l’opera Sakuntala e riceve la menzione d’onore. 

Camille Claudel con Amy Singer e Jessie Lipscomb

Rodin la ama, di un amore profondo. «Ti amo con furore», le scrive, «abbi pietà di me, crudele, abbi pietà. Non posso passare un giorno senza vederti, diventerei pazzo. Non esistono altre donne, la mia anima ti appartiene. Non ci credi, ma io piango…».

Le sue lettere trasudano lirismo, la passione per Camille si esprime anche nella creazione delle sue opere. Le sculture diventano più sensuali. Per lei è un momento felice, sebbene la famiglia sia contraria a una relazione con un uomo che ha l’età per esserle padre. Il tempo passa ma Rodin non sposerà mai Camille, non lascerà Rose Beuret. Lei, non sopportando l’idea di venire definitivamente relegata nel ruolo di amante, lascia Rodin e si trasferisce in un atelier in Boulevard d’Italie. È probabilmente questo il tempo in cui si racchiude la più sincera natura artistica di Camille Claudel: l’epoca del dolore. 

Realizza La Valsedue corpi sembrano danzare, l’uomo sostiene la donna stringendole la vita, lei si chiude col volto nell’incavo della spalla di lui. Ma osservandoli meglio, da vicino, ci si accorge che non stanno affatto danzando: ciò che li tiene vicini è il terrore di sprofondare. I due sono colti nell’attimo che precede la caduta. La tragedia incombe, e nulla può impedirlo, tranne l’arte e forse neppure questa. L’arte è solo lo specchio.

Camille Claudel, Il Valzer, 1891

Camille lentamente cade, in un suicidio centellinato, sprofonda in una spirale di autodistruzione. Non mangia, non si lava, vaga, prende e perde peso. I profondi occhi azzurri, «i più belli che abbia mai visto» come scriverà Paul, sono spiritati, fanno quasi paura. Camille Claudel sviluppa un’ossessione per Rodin, considerandolo il responsabile del fallimento della sua arte, oltre che un impostore, per aver imitato numerose opere. Il delirio persecutorio, diagnosi che verrà iscritta sulla futura cartella clinica, ha inizio dopo la rottura con Rodin.

La morte del padre coincide con la scomparsa di Camille Claudel dal mondo dell’arte. Il 10 marzo due uomini sfondano la porta dell’atelier dell’Île Saint-Louis e trasferiscono Camille in un ospedale psichiatrico, dando seguito alla richiesta di “ricovero volontario” formulata dalla madre e dal fratello Paul. «Cara Signora Claudel, ha intenzione di farlo durare a lungo questo scherzo?». Scrive così la figlia in una lettera diretta alla madre. Si accorgerà presto che non si tratta di uno scherzo. Camille implorerà chiunque di farla uscire da quel posto, supplicherà conoscenti, amici, il fratello Paul più degli altri. Nelle parole verrà fuori lo stesso tono riconoscibile nelle sculture di corpi straziati, doloranti, modellati e ridotti fino al nucleo, allo scheletro. 

La madre e il fratello diedero formale ordine di “non permettere alcuna visita, non spedire le lettere, non fornire notizie a chicchessia”. Camille Claudel sarà, a tutti gli effetti, una morta viva.

Il delirio paranoide naturalmente si moltiplicherà. «Mi hanno spedito a far penitenza nei manicomi dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita… è lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol far sudare sangue». 

La sua lucidità, contrapposta all’intransigenza impietosa dei familiari che non si sono mai ricreduti sull’ingiustizia inflitta a Camille, sarà il metro della sua disperazione. Forse non si arrenderà mai. La madre non andrà mai a trovarla, il fratello sette volte in trent’anni. Camille Claudel morirà all’età di 78 anni, senza vedere la luce. Il suo corpo marcirà in una fossa comune. 

Non avremmo saputo mai nulla se un professore di storia, facendo delle ricerche su Paul Claudel, non si fosse interessato alla tragica storia di Camille. Grazie al ritrovamento di documenti, lettere e cartelle cliniche aveva scoperto che l’artista non era morta nel 1920, come fu allora dichiarato, bensì ventitré anni dopo, e che quella menzogna aveva forse lo scopo di alleggerire l’insostenibile durata della sua permanenza nell’asilo psichiatrico. Potremmo dire che quella di Camille Claudel è una vicenda che paga lo scotto di un errore storico.

Se solo lei fosse nata 50 anni dopo, sarebbe stato il gancio trainante dell’intera famiglia. Avrebbe vissuto in luce e non sotto l’ombra, sarebbe stata il genio anche agli occhi del mondo. Avrebbe avuto ciò che si meritava. Probabilmente anche l’amore di una madre, incapace, allora, di comprendere che nei cuori feroci si nasconde un bisogno doppio d’amore. 

Autore

Cresciuta nella campagna Casertana, non a raccogliere margherite ma a catturare gatti, scrivo e leggo da quando posso ricordare. Ho studiato scienze cognitive perché le domande sono meglio delle risposte. Mi vedo cambiata, ma mi incastro sempre negli stessi ganci.

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