L’edizione 2025 el Festival del Ciclo Mestruale “Si cura: creare e coltivare gli spazi pubblici” si fa contenitore per coinvolgere e custodire chi lo abita, diventando un luogo sicuro dove al centro c’è la cura delle persone e delle relazioni.
L’idea nasce dall’intercettazione di un vuoto informativo inerente al ciclo mestruale, tematica che da qualche anno oscilla tra due estremi: l’opprimente stigmatizzazione da un lato e la strumentalizzazione economica dall’altro. Una sorta di pendolo di Schopenhauer ma in versione pink washing.
Da un primo gruppo di lavoro, nel 2021 viene prodotto e pubblicato il podcast “Eva in rosso”, un mix tra parti recitate ed esperienze dirette per creare consapevolezza tramite un’informazione libera e appassionata. Dopo il covid, il team originario decide di coordinarsi e includere altre realtà, cioè Errante, Promis e Rob de Matt, aprendo un dialogo collettivo per portare il lavoro. Da questo nucleo emerge la necessità di occupare uno spazio pubblico per abbattere veramente il tabù associato al mestruo e attuare un cambiamento culturale che sia veramente impattante a livello politico e sociale. Da quest’esigenza prende quindi forma la prima edizione del Festival del ciclo mestruale nel giugno 2022. Un “Festival” per festeggiare il ciclo mestruale, da sempre stigmatizzato e maledetto, accompagnato da una comunicazione pop per raggiungere un pubblico più ampio possibile. Una delle caratteristiche distintive del progetto è, infatti, il suo approccio intersezionale, adottato nelle modalità quanto nella narrazione. Si parla di persone che mestruano e non di donne, nel tentativo di scardinare questo tabù tuttəinsieme, rendendo le mestruazioni – e delle problematiche a esseassociate – non solo appannaggio delle donne cisgender, ma elemento costitutivo della nostra natura e della nostra società in quanto esseri umani. La scelta del linguaggio è poi allineata a un programma che, ancora una volta, si fa contenitore di varie realtà e format: dai laboratori ai concerti, passando per talk e performance con l’obiettivo di riuscire a intercettare le inclinazioni più varie del pubblico.
Ad oggi, l’organizzazione del Festival è in mano a una ventina di persone socializzate donne con diverse professionalità, dalle avvocate alle ostetriche, passando per il team di comunicazione e fotografia. Secondo Valentina Lucia Fontana, Project Manager del progetto, si tratta di un “gruppo variegato e costituito da persone socializzate donne per dimostrare che si può collaborare in modo virtuoso anche in un contesto completamente femminile”, nonostante le dinamiche patriarcali che governano la nostra società vorrebbero le donne in competizione tra loro, indebolendole e garantendo, in questo modo, il loro controllo da parte di chi il potere lo detiene – cioè gli uomini cisgender. “Tutte hanno stima nel progetto e lo vedono come terreno di sperimentazione anche per loro stesse”.
Nonostante l’approccio positivo, l’ambiente florido e le buone intenzioni, quest’anno la raccolta fondi per sostenere il festival non ha portato a grandi risultati. “I motivi sono molteplici. Anzitutto, la situazione socio-economica che stiamo vivendo non è semplice. Inoltre, nonostante ci sia più sensibilità, se ne parla sempre in ottica di marketing e di profitto. Il festival invece ha una matrice fortemente politica e vorrebbe creare un impatto sociale al di là del tornaconto economico – e questo alle aziende non piace molto”.
Salute mestruale, infatti, non non significa solo benessere ma anche diritti, parità di genere, lotta alla period poverty, che il progetto sta attivamente contrastando attraverso la campagna di raccolta di assorbenti durante le giornate del festival. In questo senso, è uscita a febbraio un’iniziativa popolare per la riduzione dell’aliquota IVA sugli assorbenti dal 10% al 5%, in piena linea con quelli che sono gli ideali del Festival.
Guardando il bicchiere mezzo pieno, l’assenza di sponsor ha però consentito piena libertà sulla scelta delle tematiche e le modalità con cui vengono trattate – come dimostra anche la partecipazione di Sara Santi dei Queen of Saba – garantendo la creazione di uno spazio di dibattito che parte dal corpo – simbolo secolare di oppressione, proibizione e strumento di controllo patriarcale sulle persone socializzate donne –, per farsi lotta collettiva.
In questo senso, il ciclo mestruale è la cosa più corporea che possiamo immaginare: ripartire dal mestruo è, perciò, un atto politico che serve ad abbracciare la radice di un fenomeno naturale e a ragionare sui meccanismi di cura necessari ad abbatterne lo stigma.
Insomma, sanguinare non è mai stato così collettivo – e così politico.
Autore
Mi chiamo Alice e c’ho un’anima un po’ scissa. Tra le altre cose, sono una neuroscenziata della Scuola Normale. Nel tempo libero oscillo tra attivismo, femminismo intersezionale e misantropia disillusa. Odio gli indifferenti e credo che dovremmo proprio smetterla di imporre inutili confini al nostro animo in continua espansione.