La moralizzazione dell’Urbe e de tutt’Italia insieme, er concetto de una maggiore austerità civile, si apriva allora la strada. Se po dì, anzi, che procedeva a gran passi. Delitti e storie sporche ereno scappati via pe sempre da la terra d’Ausonia, come un brutto insogno che se la squaja.
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana
È il 1958 quando l’Italia, uscita devastata dal secondo conflitto mondiale, s’appresta a ricostruirsi, a darsi una nuova immagine, pulita e democratica, per entrare a pieno titolo nella rosa dei paesi europei industrializzati. A livello economico, grazie agli aiuti statunitensi, possibili anche grazie ad uno scenario politico che vedeva al governo la DC, si fanno grandi balzi in avanti, e gli italiani iniziano a mutare il proprio stile di vita, strizzando sempre di più l’occhio al modello americano, potendo contare ora su un maggiore – e inedito – benessere.
Subentra prepotentemente il mito della televisione, del cinema di Hollywood, dei jeans e della musica rock. Non è ancora il tempo dei capelloni – tanto odiati da Pasolini – ma, per restare in tema, siamo all’alba di una prepotente e incontrastabile rivoluzione antropologica.
A dettare le nuove mode è proprio la TV, introdotta a partire dal 1954, di cui la Democrazia Cristiana si impadronisce immediatamente. L’obiettivo? Scongiurare lo scandalo, controllare che questa fosse moralmente integerrima e che non parlasse di argomenti tabù. Eppure, c’è qualcuno che non è d’accordo.
Chi? Ovviamente i giovani
Basti guardare Comizi d’amore per vedere la reazione di determinate fasce di popolazione ad una semplice domanda di natura sessuale: «Secondo lei – chiede Pasolini ad un uomo – i problemi sessuali vanno trattati esplicitamente oppure è meglio tacerne?». «Secondo me è meglio tacerne». «In Italia se ne tace o se ne parla?». «Se ne parla troppo». Per qualcuno, dunque, la sensazione era che addirittura se ne parlasse troppo.
E allora perché, nel 1966, quando nel liceo Parini di Milano due studenti e una studentessa avviano una piccola indagine riguardo il comportamento sessuale delle studentesse, i tre ragazzi vengono convocati in procura e sottoposti ad una visita per accertare la presenza di eventuali malattie veneree?
È proprio alla fine degli anni ’60 che il discorso sul genere sessuale acquisisce un’assoluta importanza, soprattutto tra i giovani, e la donna acquista una nuova centralità. Evidentemente l’Italia era un paese bigotto, pronto a scandalizzarsi, governato da una classe politica che si indignava davanti alla libertà sessuale, ma non davanti a scandali ben più gravi.
Ma il rifiuto dei giovani studenti non si ferma a questo: viene rifiutato completamente il modello americano, il benessere di superficie che offriva, e vengono messe in risalto tutte le controversie che mostrava una società di stampo consumistico. Dunque non era il boom economico ad attirare la loro attenzione, piuttosto erano tutti i risvolti negativi e le incoerenze scaturite da quel fenomeno ad infiammare la loro polemica.
E allora il ‘68
È proprio dalla divergenza di orientamenti tra il vecchio e il nuovo, tra la generazione alla ribalta e quella che deteneva il potere, che i sessantottini trovano l’energia per acuire il proprio conflitto, per gridare le proprie rivendicazioni e guadagnare uno spazio per esprimersi. Non c’è qui lo spazio per parlare di come apparivano le università all’alba di questi moti giovanili, della situazione politica italiana, o della necessità da subito ben presente di legarsi con la classe operaia e iniziare la seconda fase della rivolta, che aveva come obiettivo nient’altro che il cuore del sistema e che porterà ai sanguinosi anni ’70. Quali erano i riferimenti culturali di questi ragazzi che decisero di ribellarsi?
Tornando al ruolo delle donne, il libro Autoritratto di gruppo di Luisa Passerini ci mostra con chiarezza la loro posizione all’interno del movimento. Nel marzo ’68, ad esempio, su 488 denunciati, il 34% era costituito da donne: un dato assolutamente inedito, visto che le percentuali riguardo la partecipazione femminile alla vita politica oscillavano dal 7 al 18%. Sono moltissime poi, all’interno dello stesso libro, le testimonianze di ragazze che sostengono di aver vissuto il periodo di contestazione come l’unico momento di uguaglianza, che nel mondo esterno veniva loro sistematicamente negata.
Gli altri riferimenti socio-culturali e politici riguardavano soprattutto il concetto di anti-autoritarismo. Si pensi alle letture di Marcuse, alla forza straripante dei rivoluzionari Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara, a Ho-Chi Minh, diventato, insieme ai protagonisti della Rivoluzione Cubana, l’emblema dell’opposizione all’imperialismo, e la prova vivente che una vittoria contro gli americani era reale.
Altro personaggio sudamericano fondamentale fu il prete guerrigliero Camilo Torres, i cui scritti, insieme a quelli di Che Guevara, giunsero in Italia grazie all’opera di Giangiacomo Feltrinelli, editore comunista e militante che passò in clandestinità e morì nel 1972. Era fortissima, poi, l’eco della rivoluzione culturale di Mao, di Martin Luther King e Malcom X, ma anche di figure come il pugile Mohammed Ali, che rifiutò di partire per la guerra in Vietnam. Don Mazzi e Don Milani rappresentarono, invece, la contestazione in seno alla Chiesa.
Isolarsi o aggregarsi?
Una delle più classiche tendenze è quella di liquidare brevemente il ’68 come un fenomeno sporadico senza alcuna ripercussione sulla società contemporanea. Insomma, il classico fuoco di paglia. Eppure, si dovrebbe riconsiderare l’eredità di questo movimento. Vivere in Italia tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70, e rilanciare quei modelli di eguaglianza, di anti-autoritarismo e di rifiuto dell’individualismo, costituiva la più audace delle sfide. Si veda infatti la frase di Gadda con cui si è aperto l’articolo (Quer pasticciaccio uscì nel ’57!).
La modernizzazione italiana non si basò sulla responsabilità collettiva e sull’azione comune, ma sulle opportunità che offriva ai singoli nuclei familiari di migliorare il loro livello di vita.
Paul Ginsborg
Gli italiani, dunque, iniziavano a ripiegare nel proprio spazio privato e isolato, convinti che il nuovo benessere bastasse a colmare tutte le mancanze patite nei – durissimi – anni di guerra. Si iniziava a disegnare quella società che abbiamo adesso, dove unirsi e aggregarsi in vista di un obiettivo sembra assurdo (e non faccio riferimento al Covid-19, anche se la battuta sugli assembramenti, di questi tempi, verrebbe spontanea).
È giusto parlare di rivoluzione sessantottina?
In parte sì, posto che al termine rivoluzione non si dia un significato univoco: si potrebbe dire che una rivoluzione può essere anche morale, e parlare di sesso – per fare un esempio tra i mille disponibili – negli anni ’60 era assolutamente un comportamento rivoluzionario, fuori dalla norma imposta dal costume politico.
Il merito del movimento studentesco fu quello di lanciare la sfida ad una nazione, ad un sistema, che aveva già tracciato il proprio destino alla fine degli anni ’50. Le proteste del movimento contribuirono, infatti, ad una maggiore – e per certi versi inedita – presa di coscienza della propria condizione nella società. Si pensi agli incontri tra studenti e operai e a tutte le lotte che ne conseguirono, o alla diffusione delle proteste anche tra gli studenti medi che, proprio in quegli anni, ottennero l’assemblea d’istituto autonoma, o al discorso sulla libertà sessuale.
È vero, il movimento studentesco all’inizio aveva l’obiettivo di fare la rivoluzione. Una rivoluzione intesa nel senso più canonico del termine, come quella avvenuta in Cina, a Cuba o in Russia.
Si voleva liberare prima l’università e poi riformare la società o, per citare ancora il libro di Luisa Passerini, si voleva passare «dalla conquista di uno spazio circoscritto alla speranza di liberare uno spazio amplissimo: il mondo.»
Ciò non avvenne, è chiaro: ma è stata proprio la loro carica rivoluzionaria, il coraggio delle loro rivendicazioni, il tentativo di scuotere il sistema e la sua rigida morale, a fornirci un documento d’innegabile interesse storico, che definisce il passaggio del ’68 come uno dei più importanti per comprendere la storia recente del nostro Paese.
Autore
Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.