Sono lontani i tempi in cui il referendum era un voto di popolo su questioni di pubblico dominio. Sono più vicini, anzi sono questi i tempi in cui al referendum spetta il ruolo di boia per questo o quel governo, di giudice da talent show su questo o quel politico (per me è un Sì: quattro Sì): basti pensare al suicidio politico dell’Innominabile (per dirla alla Travaglio) Matteo Renzi, che decise di combattere, vita o morte (poi opportunistica risurrezione), sulla propria pelle (politica, s’intende) il destino della da lui voluta tornata referendaria del 4 dicembre 2016. Sono questi, quindi, i tempi della personificazione del referendum.
E come tale andremo ad analizzare quello sul taglio dei parlamentari, per cui si voterà il 20-21 settembre: sviscerando scelte dei singoli partiti, le conseguenze possibili, i populismi qua e là emergenti, le posizioni dissimulate.
Gli schieramenti politici
Partendo dalla compagine governativa, va detto che il M5S ha combattuto la casta e l‘ancien regime moderno (mi si conceda l’ossimoro) sin dai primi V-Day, inseguendo col forcone del turpiloquio la politica politicante, adottando nuove modalità decisionali (piattaforma Rousseau), anteponendo l’operato all’ideologia. Di contro, non va negato che gli accusatori sono finiti spesso per diventare l’oggetto dell’accusa, incarnando, e oggi è un fatto, quella stessa politica che prima osteggiavano.
Il Partito Democratico vacilla sulla cresta dell’indecisione: la maggior parte si dice favorevole al taglio, scelta fors’anche motivata da coerenza di governo, mentre una piccola parte gioca a fare bastian contrario.
Italia Viva, capeggiata dallo stesso Renzi che Illo tempore era sedicente personificazione dello svecchiamento e favorevole al taglio, improvvisamente si ricrede e lascia libertà di scelta agli elettori, segno che quell’opposizione nella maggioranza (e qui l’ossimoro è d’obbligo) che per tutto il periodo lockdown ha dato il meglio di sé ancora è viva.
Articolo Uno si schiera a favore del Sì, in attesa di una legge elettorale da integrare al taglio per garantire la rappresentanza, e contro chi si schiera a favore del No solo con l’intento di far cadere il governo.
Nel terreno dell’opposizione, le posizioni sono contrastanti. Forza Italia si dice indecisa: sul fronte del Sì la capogruppo alla camera Maria Stella Gelmini, su quello del No (a cui sembra propendere anche Berlusconi) la corrispettiva al Senato Anna Maria Bernini; la Lega e Fratelli d’Italia si schierano a favore del Sì: questo è il populismo di chi spera che vinca un No (perché destabilizzerebbe il governo) pur essendo costretto a promuovere il contrario per evidenti ragioni di consenso.
Vuoi metterti con me? Sì o no?
In gioco non c’è una questione economica (il taglio comporterebbe un risparmio compreso tra i 50 e 100 milioni, pari a un quarantamillesimo del Pil), né di efficienza (la riduzione non implica necessariamente una velocizzazione della macchina), né di rappresentanza (ma solo – si badi – se attenuata da una giusta legge elettorale).
Direi piuttosto che la partita si gioca sulla tenuta del governo: chi spinge per il Sì (eccetto i finti sostenitori, che in borghese giocano dalla parte del No) lo fa in nome della stabilità; chi sostiene il No, al contrario, spera in una sua definitiva frattura. Resta da scegliere, viste anche le alternative possibili, da che parte stare. La libertà di decidere l’una o l’altra soluzione è sacrosanta, ma cozza con la responsabilità gravante sull’elettore circa le conseguenze che a livello governativo scaturirebbero dalla stessa.
Mi spiego: chi crede che questo governo sia la soluzione migliore (o la meno peggio) è non dico costretto, ma indotto a votare Sì; viceversa chi spera in una formazione governativa diversa (compresa certa sinistra di Repubblica e de L’Espresso) è stimolato al votare contro il taglio. Di qui l’impossibilità di scegliere solamente in merito al quesito referendario.
Quello che è giusto lamentare, prima della quantità di populismi insita nelle ragioni delle posizioni, è un’inversione di direzione nella verticalità dello strumento: prima inteso come richiesta in senso ascendente, dalle istanze di popolo ai piani alti; ora come vidimazione di potere richiesta in senso discendente, dalle fazioni politiche all’elettorato.
Questo processo di slittamento delle clausole dal microscopico al macroscopico è un fenomeno non sporadico nell’attuale teatro politico italiano: si pensi a quanto le elezioni amministrative o regionali condizionano i rapporti tra le parti politiche in generale.
Verrebbe da chiedersi se segnare una scheda oggi implichi più la positività dell’incrementare il potere decisionale del cittadino o la negatività del suo non lasciarlo libero di scegliere nel merito dei quesiti per cui è chiamato a scegliere.
Autore
Samuele, classe 1997. La P è la mia lettera preferita: amo la Poesia e la Pesca. Mio padre, Giuseppe, lo chiamano Pino.