Proibire di manifestare in nome della democrazia: la Francia nega ogni protesta pro-Palestina

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In seguito all’attacco dello scorso 7 ottobre da parte di Hamas nei confronti di Israele, parte del popolo francese ha portato in piazza la propria voce in favore dei palestinesi, determinando l’inizio di una fase politica caratterizzata da una serie di restrizioni provenienti dal corpo amministrativo. Si presenta il rischio che il governo francese si faccia portavoce di una strategia volta alla repressione del dissenso politico e sociale. Dopo lo scoppio della guerra, i leader delle maggiori potenze europee hanno deciso di esprimersi in merito, mediante comunicato stampa: «Sosteniamo gli sforzi di Israele per difendersi e condanniamo Hamas e i suoi rivoltanti atti di terrorismo» .

Il caso francese però, può considerarsi a sé stante: il ministro degli interni Gérald Darmanin ha infatti deciso di vietare le manifestazioni pro-Palestina e di bloccare i «facinorosi che turbano l’ordine pubblico». Lo stesso presidente francese Macron ha deciso di appellarsi ai manifestanti in diretta tv, chiedendo l’unità del popolo dopo l’attacco a Israele. Tentativi che si sono rivelati fallimentari, viste le numerose manifestazioni registrate, caratterizzate da scontri tra la polizia e tutti coloro che hanno raggiunto Place De La Repubblique, il centro di Parigi, per sostenere la Palestina.

Tutte le forze parlamentari presenti all’Assemblée Nationale hanno dichiarato di sostenere questa linea politica, ad eccezione del partito La France Insoumise (LFI), il cui leader Jean-Luc Mélenchon, ha deciso di non condannare esplicitamente l’attacco di Hamas, dichiarando: «Tutta la violenza scatenata contro Israele e nella Striscia di Gaza non fa altro che produrre [altra violenza]». E ancora: «L’offensiva armata delle forze palestinesi guidate da Hamas arriva in un contesto di intensificazione della politica di occupazione israeliana a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Deploriamo i morti israeliani e palestinesi. Il nostro pensiero va a tutte le vittime».

Le posizioni del leader di LFI sono state fortemente criticate dal portavoce del governo Olivier Véran che ha mosso delle accuse nei confronti della corrente di estrema sinistra per aver legittimato il ricorso alla violenza.

Elisabeth Borne, primo ministro della Francia, ha denunciato l’ambiguità delle dichiarazioni del partito riprendendo il tema dell’antisionismo che a volte, dice, «è anche un modo per mascherare una forma di antisemitismo».

I socialisti, storici alleati della LFI nella Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (NUPES), hanno altrettanto condannato la loro posizione. Jérôme Guedj, membro del partito, oltre ad aver messo in dubbio il fatto di voler restare all’interno di NUPES, ha anche affermato quanto sia sbagliato giustificare l’azione di Hamas, tra l’altro ridimensionandola, in nome dell’impasse politica del conflitto israelo-palestinese.

Sempre Gérald Darmanin ha annunciato che il Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), di estrema sinistra, è indagato per apologia di terrorismo per il comunicato pubblico che ribadiva «il sostegno ai palestinesi e ai mezzi di resistenza che hanno scelto». Già in precedenza, Darmanin aveva affermato lo scioglimento del Collectif Palestine Vaincra, organizzazione nata in sostegno della resistenza palestinese. Entrambe le scelte sono il principio di una strategia di repressione del dissenso politico che potrebbe estendersi quindi anche ad organizzazioni e collettivi che rifiutano di condividere lo stesso pensiero della maggioranza francese.

Il ministro della giustizia Éric Dupond-Moretti, in una circolare relativa alla lotta contro i reati commessi in relazione agli attacchi terroristici subiti in Israele, ribadisce: «Le dichiarazioni che tendono a incitare altri a esprimere un giudizio favorevole su un reato classificato come terroristico o sul suo autore, anche se fatte nel contesto di un dibattito di interesse generale e che pretendono di far parte di un discorso politico costituiscono un’apologia del terrorismo ai sensi dell’articolo 421-2-5 del Codice penale francese».

Sono state numerose le associazioni che in seguito al divieto di manifestazione pro Palestina hanno presentato un ricorso e lo stesso giudice del tribunale amministrativo di Parigi aveva stabilito che «il prefetto di polizia, vietando la manifestazione in questione, non ha cagionato un attentato grave e manifestamente illegale alle libertà di espressione, di riunione e di manifestazione».

La Francia risvegliata dalla crisi del medio-oriente, si ritrova quindi in una situazione di alta tensione: oltre a dover affrontare i dibattiti della politica interna e a dover sedare gli scontri tra manifestanti e polizia, è diventato uno dei paesi maggiormente soggetti alla minaccia terroristica. Dopo l’attentato di venerdì 13 in una scuola di Arras, sono stati infatti numerosi gli allarmi riguardanti alcuni punti nevralgici della città di Parigi, come il Louvre e la Reggia di Versailles.

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In un’altra vita ero una puttana ottimista e di sinistra. Ora, scrivendo del mondo e di attualità, ho perso un po’ di ottimismo (ma affronterò la cosa in terapia, giuro).

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