Un libro per denunciare: Patrick Zaki racconta la sua storia

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«La mia esperienza e questo libro sono per le persone», racconta Patrick Zaki, riferendosi a Sogni e illusioni di libertà. La mia storia, il libro uscito il 13 ottobre e pubblicato con la casa editrice La nave di Teseo.

«Volevo lasciare una testimonianza, le persone devono sapere quello che succede nelle prigioni egiziane, non solo da un punto di vista politico, ma anche umanitario», aggiunge l’autore, che abbiamo incontrato in occasione del lancio alla sede de La nave di Teseo

La storia di Patrick, dall’arresto fino al ritorno in libertà

Il 7 febbraio 2020 Patrick Zaki, dopo aver appena passato sei mesi in Italia per studiare all’Università di Bologna, viene fermato all’aeroporto del Cairo. Si perdono tracce di lui per 27 ore, poi l’8 febbraio 2020 la procura di Mansura convalida l’arresto. Le accuse sono “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”. 

Ecco, immaginate di studiare lontano da casa e di dover prendere l’aereo per andare a trovare la vostra famiglia. Sono passati sei mesi dall’ultima volta che siete tornati, vostra mamma vi compra il biglietto e decidete di partire. Immaginate di atterrare, di essere fermati dalla polizia e di venire interrogati per ore. Venite picchiati, insultati, torturati con scariche elettriche. Potete dire quello che volete, ma chi vi interroga non vi crede. Voi siete una spia, assoldata dall’Europa o dall’Italia. Voi siete un terrorista. «Per me le prime ore non sono state le più difficili. Sapevo che in quei momenti, anche se usavano l’elettricità contro di me, se mi insultavano, se mi calciavano, anche se facevano quello che volevano con me, sapevo che non era quella la sfida principale, perché la sfida principale era sapere quanto tempo sarei restato in prigione», spiega Patrick.

Patrick rimane in carcere per 22 mesi, prima a Mansura e poi a Tora. In quel periodo tutto quello che fa è aspettare, un’udienza dopo l’altra, un rinvio dopo l’altro, per sapere che cosa lo attende. «Alle udienze ogni volta speravo, anche se ero abbastanza sicuro che non sarei stato liberato, che ci fosse un cambiamento, una novità. Speravo di essere rilasciato», racconta. «Il giorno più difficile, però, – continua Patrick – è quando torni dall’udienza e sai che non sarai rilasciato. Perdi la speranza e conti di nuovo 45 giorni fino a quando non avrai un’altra possibilità, che non porterà a nulla di nuovo». 

Il 7 dicembre 2021, dopo la caduta delle accuse di terrorismo, il tribunale stabilisce che può restare in libertà durante il processo. Patrick, descrive l’incredulità di quel momento: «Non era mai successo che qualcuno che dovesse essere processato, venisse rilasciato. Sapevo che prima arrivava il verdetto finale e poi, eventualmente, la libertà». Quello che accade è totalmente inaspettato, dopo quasi due anni Patrick può riabbracciare la sua famiglia e la sua fidanzata. «Per i primi giorni e mesi non potevo credere a quello che era successo. Non riuscivo a prendere decisioni per me stesso. Avevo bisogno di riprendermi, perché dopo essere stato in prigione non è semplice nemmeno interagire con le persone», ammette. 

Il 18 luglio 2023, poi, arriva il verdetto. Zaki è condannato a tre anni di carcere, con sentenza non appellabile. Ma, inaspettatamente, il giorno dopo riceve la grazia dal presidente al-Sisi e il 20 luglio torna in libertà. 

Un libro per denunciare

Nel libro Patrick Zaki racconta per la prima volta quello che gli è successo. Attraverso le sue parole, conosciamo l’inferno che ha dovuto attraversare. Patrick descrive i primi momenti: l’arresto e gli interrogatori, la paura di non sapere dove sarebbe stato portato. Fa una fotografia dettagliata delle condizioni delle carceri egiziane: si dorme sul pavimento, i bagni non hanno le porte, non c’è accesso all’acqua.

In alcuni casi il sovraffollamento è tale che la notte non puoi dormire appoggiando tutto il tuo corpo sul pavimento, sei obbligato a dormire sul fianco e a non girarti mai. Per starci tutti, infatti, i detenuti sono incastrati come in una scacchiera e il minimo movimento è vietato. In una prigione, dove è rimasto per un paio di giorni, Patrick e gli altri detenuti hanno un bagno comune e lo possono usare una volta al giorno, solo per cinque minuti.

«In prigione per me, come difensore dei diritti umani, è stato importante vedere che ciò su cui stavo lavorando era davvero utile e che non dovevo fermarmi. Pensavo: “Imparerò molto su ciò che sta accadendo qui, e quando sarò rilasciato, parlerò di tutto ciò che ho vissuto”», spiega Patrick. A dargli speranza è proprio questo, sapere che una volta uscito da lì tutto quello che aveva vissuto poteva diventare denuncia.

Patrik Zaki è un ragazzo come noi, ma diversamente da noi è sopravvissuto all’inferno

«Ora sto lavorando per promuovere il libro. Spero che piaccia e che la ragione per cui l’ho scritto arrivi alle persone. Poi inizierò a inviare candidature per lavorare nelle istituzioni che si occupano di diritti umani. Farò application per un dottorato in Italia, perchè voglio rimanere qui, finché posso». Sono questi i piani a breve termine di Patrick Zaki. Ascoltandolo è inevitabile pensare che non siano tanto diversi dai nostri programmi per il futuro. Patrick Zaki come noi invia curriculum e candidature, cercando un posto in questo mondo. «Sono ansioso per il futuro – racconta Zaki -. In prigione ero ansioso per la mia libertà ora sono ansioso per quello che ci aspetta nei prossimi giorni. Sono ansioso di sapere se questo libro sarà un bene per la gente. Sono ansioso di sapere se sarò accettato in una buona posizione in qualsiasi istituzione per i diritti umani, sono ansioso degli esami del dottorato».

Patrick Zaki è un ragazzo come noi, ma diversamente da noi è dovuto sopravvivere all’inferno. «Alcune persone pensano a me come a un eroe. In realtà sono una persona normale che ha paura di vivere in prigione. Se avessi saputo prima di partire cosa sarebbe successo non sarei salito sull’aereo. Oggi non tornerei a casa», ammette. E ancora adesso la paura di tornare in carcere non l’ha abbandonato. «Se entri in carcere, avrai sempre questa paura. A volte è tanta, a volte è poca, ma ho sempre paura di ritrovarmi in carcere per il mio lavoro, per la mia opinione».

Eppure, Patrick Zaki ancora oggi esprime quello che pensa, non facendosi frenare. L’ha fatto di recente definendo Benjamin Netanyahu un “serial killer” e scatenando, così, un’ondata di polemiche, per aver denunciato il regime di oppressione che per anni Israele ha portato avanti nei confronti dei palestinesi.

C’è anche qualcos’altro, però, che non lo abbandona: «Ho sempre speranza. Ma la mia speranza in questo momento è di avere più democrazia in tutto il mondo, di sostenere le persone senza voce, di liberare tutti i prigionieri di coscienza che posso. Questo è il mio obiettivo in questo momento».

Autore

Nata a Ferrara, tra la nebbia e le biciclette. Quando non ho la testa tra le nuvole, mi piace nascondere il naso nelle pagine di un libro o dietro una macchina fotografica. Scrivo di lotte e diritti, mi piace raccontare dei posti e della gente di cui nessuno parla mai. Frequento assiduamente i mercatini dell’usato e al tiramisù non dico mai di no, queste sono le uniche regole di vita che mi so dare.

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