Più di duecentomila americani morti, più di nove milioni di casi ed un’ulteriore ondata in arrivo. L’effetto del Covid-19 sugli Stati Uniti è devastante ma, in questo strano 2020, non sembra essere la priorità e probabilmente non lo sarà fino all’alba di domani.
Ottanta milioni di cittadini americani sono già andati alle urne, hanno già espresso la loro preferenza. U.S Elections Project ha previsto che saranno 150 milioni le persone a votare: un dato simile non si vedeva da prima della Seconda Guerra Mondiale. Un sintomo di quanto questa tornata elettorale abbia smosso gli animi degli americani. A sfidarsi per diventare il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America sono Donald J. Trump e Joe Biden. Entrambi over-settanta, due vite e due uomini completamente differenti, come lo è la loro visione degli USA.
Donald J. Trump, il tycoon di New York, il Presidente in carica. Amato dalla propria base elettorale, odiato dagli avversari e con nemici all’interno dello stesso Partito Repubblicano. Personaggio controverso fin da prima della sua discesa in politica, conta svariati successi imprenditoriali ma anche quattro casi di bancarotta sulle sue spalle.
Joe Biden, dalla Pennsylvania. Una vita spesa nella politica, due mandati da vice di Barack Obama ed alcune scelte politiche controverse. Volto del Partito Democratico, inviso tuttavia alle frange più radicali che avrebbero preferito veder concorrere il socialista Bernie Sanders. È in politica dal 1969, quando venne eletto come consigliere della contea di New Castle, un veterano.
Sul finire del 2019, Trump era certo della propria rielezione. Aveva, almeno apparentemente, conseguito una serie di successi in campo economico, sul quale aveva basato gran parte delle sue promesse. Il 2020 ha cambiato tutto.
Sull’orlo della Terza Guerra Mondiale?
Il primo capitolo di questo strano anno americano parte il 3 gennaio. Dall’Iraq arriva una notizia: un drone statunitense ha colpito ed ucciso il generale Souleimani, nell’Aeroporto di Baghdad. A dare l’ordine è stato il Commander in Chief, Donald Trump. L’8 gennaio l’Iran risponde: avvisa l’Iraq, poi attacca una base statunitense. Il mondo sembra sull’orlo di una nuova guerra e probabilmente, per qualche ora, è stato davvero così. Gli iraniani sono furiosi ma sembrano poi placarsi. Nulla da fare, la guerra non ci sarà. Dietro questo cambio repertino di strategia probabilmente c’è il suggerimento del Cremlino.
Contro il Presidente
Il 5 febbraio Trump viene assolto dal processo di impeachment, esito di un’inchiesta partita a settembre dell’anno precedente. Nancy Pelosi, democratica, speaker della Camera, aveva pronunciato delle chiare parole verso la Stanza Ovale:
Sadly, but with confidence and humility, with allegiance to our founders and a heart full of love for America, today I am asking our chairmen to proceed with articles of impeachment.
Probabilmente il punto più basso della Presidenza Trump. Ci sono le prove: il Presidente ha chiesto al corrispettivo ucraino, l’ex-giornalista Zelensky, di riaprire un’indagine di corruzione verso Hunter Biden, figlio del candidato democratico. Il prezzo della disubbidienza? Lo stop degli aiuti militari statunitensi verso Kiev. Ma the Donald riesce a superare anche questo ostacolo. È assolto e, in quel momento, le elezioni per riconfermarlo sembravano una pura formalità.
A febbraio, la notizia che cambia il destino del Mondo e, forse, il destino di Trump. I Servizi Segreti statunitensi ne sono certi, un nuovo virus sta cominciando a circolare, è pronto a colpire l’America. Trump blocca i voli con la Cina, poi con l’Unione Europea. La minaccia sembra scampata. Non è così.
Il virus impatta sugli Stati Uniti, colpisce New York, la devasta. Le immagini da Hart Island lasciano un segno profondo nell’animo di ogni cittadino statunitense: fosse comuni in un’isola diventata cimitero. Trump sembra non avere una strategia, sembra non avere il controllo: sminuisce il virus, propone rimedi assurdi per curarlo. Biden e i Democratici lo attaccano, Trump incassa ma sembra resistere.
I Can’t Breathe
Il ginocchio e la tibia premono con forza sul collo, il respiro pesante è intervallato da gemiti di sofferenza. «I can’t breathe» urla agonizzante a terra George Floyd. Non riesco a respirare, ripete. Il poliziotto della Minneapolis Police Department non si muove. Il video fa il giro degli USA, poi del mondo, diventa virale. Divampano le proteste.
Sono proteste pacifiche. Cittadini di ogni classe sociale, di ogni etnia e di ogni fede marciano uniti per le strade. Sembrano immagini degli anni ’60, immagini di un’America scossa ma unita nel difendere i diritti dei propri cittadini. Di notte, da alcune di queste manifestazioni nascono violente proteste e scontri. E allora è Trump a rispolverare gli anni Sessanta, con il pensiero di un altro presidente repubblicano, Richard Nixon. Law & Order. Legge e ordine: schiera la polizia, minaccia di dispiegare la Guardia Nazionale. Ci sono scontri con le milizie di estrema destra e un uomo muore durante gli scontri. Veicoli non identificati dei Federali hanno requisito persone che protestavano pacificamente. Joe Biden non rimane in silenzio e si schiera al fianco dei manifestanti.
La Guerra Mediatica
Novembre si avvicina, gli scandali aumentano da entrambi i lati.
A fine settembre un’inchiesta del New York Times rivela quanto ha pagato in tasse il miliardario Trump: 750 $ nel 2016 e 2017. La notizia è uno schiaffo sul viso degli americani piegati economicamente dalla crisi creata dalla pandemia: il Paese è debole, milioni di cittadini senza lavoro o con entrate dimezzate mentre le tasse del loro Presidente sono spiccioli.
Dal lato democratico, Joe Biden si trova a dover rispondere ad altre accuse: il 14 ottobre, il New York Post pubblica in esclusiva una serie di e-mail ad opera di Hunter Biden (figlio di Joe), nelle quali introduce il padre ad un importante manager ucraino attivo nel settore energetico. L’evento sotto accusa è datato un anno dopo queste prime mail, quando Joe Biden, all’epoca vicepresidente, chiese al governo ucraino di licenziare un procuratore che stava indagando proprio sulla società del manager amico. L’originalità dei documenti presentati non è ancora stata messa in discussione dall’entourage del candidato democratico.
Stand back and Stand by
«Stand back and stand by» dice Trump durante il primo controverso dibattito con Biden. Tergiversa sul condannare i gruppi di estrema destra a lui vicini. State fermi ed in attesa, dice loro. Queste frasi aumentano la preoccupazione di una normale transizione verso il nuovo governo negli USA. Mai come prima d’ora l’America è divisa in due. La tensione è concreta, si vede. Tre settimane fa nel Michigan ci sono stati tredici arresti, alcune milizie dell’Alt-Right volevano rapire la governatrice democratica Gretchen Whitmer. Lo stesso Trump ha messo in dubbio il regolare svolgimento delle elezioni, collocando la propria eventuale sconfitta come frutto di brogli elettorali. I legali di entrambi i fronti stanno preparando le battaglie legali che potranno aver seguito nei giorni immediatamente successivi alle elezioni.
Nonostante questi scontri, tuttavia, il meccanismo statunitense che entra in azione ad ogni tornata elettorale, il Transition Act, sta avvenendo nel rispetto di tutte le norme.
Il futuro degli Stati Uniti
Gli scontri e gli scandali dei due candidati hanno messo in secondo piano i programmi portati avanti dai due candidati, appianando in un certo senso le differenze nei loro programmi.
Il piano su cui davvero si basa lo scontro è riguardo la politica estera. Lo scontro con la Cina non terminerà di colpo con un’eventuale vittoria di Biden. Quello che cambierà sarà la sua gestione.
Trump ha portato avanti una politica bilaterale, basandosi poco sulla rete di alleanze creata nel corso dello scorso secolo dagli Stati Uniti, agendo in solitaria. Durante il suo primo mandato ha imposto dazi e aperto scontri commerciali anche con l’Europa, una delle principali e storiche alleate statunitensi. Ha inoltre compiuto passi indietro riguardo gli accordi di Parigi in materia ambientale e più volte sminuito l’utilità di organizzazioni sovranazionali, come, ad esempio, ha fatto recentemente con l’OMS. Con Biden probabilmente vedremo un ritorno al multilateralismo, con il rinnovo delle alleanze strategiche statunitensi. È anche questo uno dei motivi per cui i leader europei vedrebbero di buon occhio un avvicendamento nello Studio Ovale.
Fondamentale sarà anche il proseguito della transizione ambientale. Trump nel suo primo mandato si è sempre posto con toni contrari e scettici all’ambientalismo e probabilmente proseguirebbe nel suo piano di tutela per il mondo dei combustibili fossili. Biden, al contrario, probabilmente riprenderebbe il cammino da dove lo aveva lasciato Barack Obama, seppur non si è mai esposto troppo contro i colossi e i lavoratori del petrolio e del carbone.
Ciò che non cambierà e che è ormai nitido agli occhi di tutti, è il progressivo ritiro degli Stati Uniti. La politica atlantista e globale e il ruolo di faro per le democrazie occidentali non sono più nei programmi d’oltreoceano. Questi ruoli, promossi per la prima volta da Woodrow Wilson durante la Prima Guerra Mondiale, non sono più degli Stati Uniti. Non è un trend nato con Trump ma è partito dal primo Obama e non cambierà con un eventuale governo Biden.
Gli Stati Uniti faro d’Occidente sono solo un ricordo. È l’Europa che dovrà mettersi in gioco e compattarsi per andare a ricoprire questo nuovo ruolo. Se avrà Washington al suo fianco, lo scopriremo solo domani.
Autore
Milanese di nascita, barese per adozione. Studio International Business Management e scrivo per passione. Amo la storia e tutto ciò che è conoscenza. Tifo Milan da quando Paolo Maldini incantava sulla fascia sinistra. Ho sempre un libro in più da leggere ed una storia in più da raccontare.