Come la precarietà dei docenti di sostegno si ripercuote sugli studenti con disabilità

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Nelle scorse settimane la Commissione Europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per aver violato, anche in modo piuttosto persistente, la norma europea sul lavoro a contratto a termine in ambito scolastico. Secondo l’UE l’Italia avrebbe dunque abusato della stipula dei contratti a tempo determinato, sia per quanto riguarda i docenti che il personale ATA, comportando una sostanziale disparità salariale.

La commissione aveva già inviato diversi avvisi di diffida formale nel 2019, nel dicembre 2020 e nel 2023. Eppure, nonostante questi richiami, la situazione negli ultimi anni è andata via via peggiorando. Nello specifico, il numero di docenti precari stimato dal MIM si aggira intorno ai 165 mila, ma diversi sindacati ne arrivano a contare addirittura 100mila in più per tutti gli ordini e gradi. Altro dato preoccupante riguarda l’età del corpo docenti: la metà è infatti composto da professori e professoresse sopra i 50 anni, molti dei quali arrivati al ruolo tra i 40 e i 45 anni, rendendo così la categoria degli insegnanti italiani una delle più anziane d’Europa.

Malgrado l’eccessivo numero di precari, nelle scuole di tutt’Italia continuano a mancare docenti di molte discipline, specie per quelle scientifiche e di sostegno. Quest’insieme di fattori fa sì che molte classi non abbiano alcun tipo di continuità didattica e che spesso, a scuola iniziata, si ritrovino con materie completamente scoperte. 

Gli effetti sugli studenti con disabilità

Un simile cortocircuito, oltre a rendere poco dignitosa la vita lavorativa dei docenti e ad ostacolarne un ricambio generazionale, inficia pesantemente sul rendimento degli allievi e delle allieve. Il tutto risulta amplificato per gli studenti con disabilità: essi sono circa 338 mila, il 4,1% della popolazione scolastica e, stando all’ultimo report Istat del 2023, si registra un incremento del 7% da anno in anno. Tali percentuali comprendono diverse tipologie di disabilità: disturbo dello sviluppo psicologico, disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione, disabilità motoria, disabilità intellettiva, pluridisabilità. Ognuna di queste categorie richiede trattamenti diversi per ciascun individuo, procedure che possono variare a seconda della patologia, di come viene trattata in famiglia, dall’età in cui viene diagnosticata e dalla reazione del soggetto.

Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), per esempio, non si riscontra nelle persone con autismo allo stesso modo: si può essere ad alto funzionamento – una condizione in cui non si presentano disabilità intellettive, in quanto il Q.I. risulta maggiore o uguale a 70, perciò nella norma – o a basso funzionamento caso in cui, viceversa, il soggetto non solo presenta un quoziente inferiore ma è anche incapace di esercitare facoltà basilari (come il linguaggio o semplicemente essere autonomi nei piccoli gesti). In entrambi i casi, però, i problemi più evidenti riguardano l’aspetto sociale. Stando a quanto detto dal DSM-5, il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, l’ASD è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da «compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca, dell’interazione sociale e pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi».

Questo significa che le persone autistiche presentano difficoltà nel seguire le regole sociali, nell’intrattenere una conversazione e nell’instaurare relazioni di vario tipo proprio perché lo sviluppo dei processi di socializzazione può essere parziale, atipico o totalmente assente.  Nella maggioranza dei casi non si verifica nemmeno un adeguato sviluppo della ToM (Theory of Mind), ovvero quell’abilità psicologia che permette di prevedere il comportamento altrui a partire dalla comprensione dei loro stati mentali, delle loro intenzioni e delle loro emozioni. 

Inoltre il loro approccio alla vita è radicalmente differente rispetto a quello a cui la maggioranza è abituata:  seguono una precisa routine, fatta di regole e stereotipie che li portano a mal tollerare anche i cambiamenti più banali – modificare la posizione degli oggetti nel loro spazio, i propri orari o l’ordine di alcuni gesti può essere causa di forte disagio e ansia. Ecco perché per le alunne e gli alunni con autismo cambiare docente di sostegno ogni anno è decostruttivo e destabilizzante. Avere punti di riferimento sicuri in un ambiente non di comfort è cruciale nel loro percorso di crescita e di istruzione. Percorso che viene puntualmente rallentato visto che, ogni autunno, si ritrovano a gestire nuovi approcci relazionali con figure del tutto sconosciute. 

Oltre all’autismo esistono diverse altre forme di disabilità che soffrono una didattica discontinua: è il caso delle persone con Sindrome di Down (le cui abilità sociali si sviluppano ma non in modo corrispondente all’età biologica), delle persone ossessive compulsive o con disturbi oppositivi-provocatori, per citarne alcuni. 

Le complicazioni dovute al turnover dei docenti di sostegno sono note da tempo: nel 2017 il tasso di discontinuità era già al 43%,  mentre oggi registra un’impennata impressionante arrivando addirittura al 60%. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, per far fronte al problema, ha avanzato una proposta per consentire ai docenti  di sostegno di rimanere sulla stessa cattedra su richiesta delle famiglie degli alunni che seguono. Tuttavia, una soluzione come questa risulta tutt’altro che ragionevole poiché darebbe eccessivo potere alle famiglie, le quali potrebbero arrogarsi il diritto di sindacare sull’operato di un insegnante – anche laddove non ci siano errori – ed interferire con il diritto di libertà d’insegnamento. Inoltre, una misura del genere creerebbe enormi disparità tra docenti curriculari e di sostegno ma, cosa più importante, aggirerebbe il vero nocciolo del problema: la precarietà. Solo migliorando le condizioni lavorative del corpo docenti si può, dunque, garantire un’istruzione pubblica davvero efficiente per tutti gli alunni delle nuove generazioni.

Autore

Classe ‘98. Sono meridionalista, femminista e antifascista. Mi piace disegnare, scrivere e girare per musei. Ah, e ho una fissa per i film con protagonisti in crisi da quarto di secolo.

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