Il remake arabo di Perfetti Sconosciuti che ha diviso l’Egitto

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Netflix paladino dei valori occidentali o feroce colonizzatore?

Nel 2016 esce nelle sale italiane Perfetti Sconosciuti. Il film, scritto e diretto da Paolo Genovese, è sin da subito diventato un cult italiano ed è piaciuto così tanto da trasformarsi in un format di successo che ha fatto il giro del mondo: 25 nazioni hanno tradotto il film, molte delle quali ne hanno proposto una versione locale. Tra queste, quella araba è l’ultima arrivata. 

Il film racconta la vicenda di un gruppo di amici, composto da tre coppie e un uomo, che si riunisce a casa di una delle coppie per una cena. Apparentemente il classico ritrovo tra amici di vecchia data, se non fosse che i protagonisti decidono di imbattersi in quello che si rivelerà essere il gioco della loro vita: lasciare i telefoni in bella vista sul tavolo, scoprendo tutte le carte della vita privata di ognuno. Il gioco porterà a galla una valanga di segreti, che rimescoleranno i rapporti e le relazioni tra i membri del gruppo. 

Cosa è successo con la versione araba?

Il remake arabo prende il nome di  Ashab wala aaaz (in italiano: I migliori amici del mondo) ed è disponibile anche su Netflix Italia con il titolo di Messaggi e Segreti. È stato girato nel corso dell’anno passato dal regista libanese Wissam Smayra e il 20 gennaio 2022 è uscito sulla piattaforma streaming. Stando alle dichiarazioni di Netflix (che comunque si preserva dal comunicare pubblicamente i dati sulla propria piattaforma), il film aveva raggiunto le vette di views in Egitto, Arabia Saudita e Marocco. Con un cast pieno di stelle del mondo del cinema medio-orientale, è il primo film in lingua araba prodotto da Netflix. E forse l’ultimo. 

Infatti, da quando è stato distribuito, la critica in Egitto si è rivelata spietata, rafforzata dal dissenso dal filone conservatore del governo, in particolare dal deputato Mostafa Bakry, che ha condannato il film definendolo “un attacco da parte di Netflix ai valori dell’Egitto e del mondo arabo”, minacciando anche di bannare il colosso statunitense da ulteriori produzioni. Al centro degli attacchi ci sarebbe la “corruttibilità” dei valori trasmessi dal film (sexting extraconiugali, flirt gay, linguaggio sessualmente esplicito ecc.).

Le critiche più feroci si scagliano contro una delle protagoniste. Infatti, il film, di produzione egiziana e libanese, conta nel cast la presenza di Mona Zaki, l’unica attrice egiziana tra i nomi degli attori protagonisti. Zaki si trova adesso nell’occhio di un ciclone mediatico conservatore che ha tutta l’aria di volerla disintegrare: sentirla imprecare e parlare apertamente di sesso ha fatto sbiancare i critici del suo Paese, perlopiù uomini, che la stanno sommergendo di accuse per atteggiamenti, a detta loro, poco dignitosi e immorali per una donna. Particolarmente condannata, una scena dove il suo personaggio, Mariam, si toglie gli slip e li infila in borsa (seppur l’attrice rimanga coperta e non mostri nudità davanti lo schermo). 

Tuttavia, la comunità del mondo dello spettacolo egiziano è dalla sua parte e non accetta che Zaki possa essere vittima di tali attacchi retrogradi, che per di più non sono stati mossi verso i suoi colleghi uomini. Nel corso di un talk show, l’attrice Elham Shahin la difende così: “Non so nemmeno più cosa succede, ho visto il film e non vi ho trovato assolutamente nulla di sbagliato”. 

Anche Laila Elwi, altra attrice egiziana, afferma: “[Il film] affronta coraggiosamente questioni sociali che non dovrebbero essere messe sotto il tappeto”. 

Oltre a Mona Zaki, anche il personaggio di Rabea, interpretato da Fouad Yammine, è finito sul patibolo, generando commenti omofobi. Nel film, Rabea è omosessuale non dichiarato, e con lui la storia entra in empatia, mostrando quanto possa essere complesso esporsi liberamente, senza paura del pregiudizio. Paradossalmente, è proprio il pregiudizio della critica egiziana ad essersi levato su questo personaggio, definendolo immorale, e attaccando il mondo della storia in quanto “pericoloso” per i valori etico-morali dell’Egitto conservatore. 

Stessa storia, contesti diversi

Il bello dei format, la parte antropologicamente interessante, è vedere come diverse culture si approcciano alla stessa trama, integrando la propria quotidianità. Perfetti Sconosciuti funziona molto da questo punto di vista, poiché, essendo ambientato in una casa, nel corso di una cena tra amici, offre quadri differenti della medesima serata: cambia il menù a tavola, i modi di vestire e di arredare, le espressioni che i protagonisti usano rivolgendosi tra di loro. Senza girarci troppo intorno, è veramente figo vederla così. 

Una cosa simile è successa recentemente con la serie Skam, un format che racconta le storie di un gruppo di adolescenti, originariamente prodotto in Norvegia e che poi si è espanso a varie nazioni, tra cui l’Italia, dove il grande successo lo ha portato fino alla quinta stagione. Curioso è anche il caso di Money Heist (titolo internazionale de La casa di carta), che tornerà presto sulla piattaforma col suo nuovo remake Money Heist: Korea. 

Occidentalizzazione e Glocalizzazione

Ma il concetto di remake, e soprattutto quando extra-europeo, apre un terreno di confronto e dibattito più ampio. È nota a tutti, ormai, la mission sottesa ai valori di Netflix riguardo al tentativo di occidentalizzazione del mercato audiovisivo. È ciò a cui assistiamo con l’improvviso successo (legato anche ad un grande piano di finanziamento) di prodotti sudcoreani targati Netflix, come nel caso di Squid Game: non è un caso che Netflix abbia investito finora 557 milioni di euro proprio in territorio sudcoreano, con l’obbiettivo di espandersi nel Paese. L’espansione del proprio mercato verso frontiere promettenti, dunque, è un motivo abbastanza accattivante da portare Netflix alla pianificazione di un vero e proprio piano d’attacco, legato all’esportazione dei “buoni” valori occidentali, superiori a quelli del mondo non-occidentalizzato. Dunque, facendo leva su quelle crepe e fratture che il mondo sudcoreano (o medio-orientale) mostra, il colosso della distribuzione cerca di conquistare un pubblico nuovo e potenzialmente enorme, proponendosi come paladino dei diritti democratici americani e della comunità Lgbt. Tutto ciò rientra nel più ampio processo di Glocalizzazione, ovvero il cercare di creare contenuti audiovisivi che possano essere venduti a livello internazionale, seppur mantenendo una connotazione culturale propria di realtà locali.

Squid Game, © Netflix, 2021

Mostafa Bakry aveva dichiarato: «When a movie like this comes along, an exact copy of an Italian film without any deference to Egyptian and Arab moral and values . . . when it defends homosexuality, when more than 20 obscene words are used . . . when I see this I totally realise that the Egyptian and the Arab family is being targeted». Questo ci porta a chiedere: il remake di Perfetti Sconosciuti ha davvero tenuto conto della realtà locale in cui si andava ad inserire? Senza nulla togliere alle battaglie portate avanti da una buona fetta della popolazione medio-orientale stanca di identificarsi con i valori conservatori spesso omofobi e fanatico-religiosi, il discorso di Mostafa Bakry è ampio. Nelle sue parole, oltre che ad una buona dose di conservatorismo rampante, si legge la protesta di un mondo schiacciato e costretto ad essere quello che non è, si legge la denuncia di tutta una frangia politica per aver descritto la famiglia egiziana come la famiglia egiziana spesso non è (o forse non è ancora pronta ad essere). Il problema del riadattamento alla cultura locale sembra essere uno dei fulcri delle politiche aziendali di Netflix, al centro delle proprie mire espansionistiche nell’ottica di un colosso che vuole guadagnare quanto più terreno possibile. Spiazzante? Non poi così tanto, se è vero che la storia si ripete. Lo stesso MTV si era ritrovato a dover aprire diverse sedi nazionali per far fronte alla critica (proveniente dalle culture locali) di un’eccessiva americanizzazione dei suoi contenuti.

Perfetti Sconosciuti, allora, ci spinge a porci domande geopolitiche che vanno ben al di là dal contenuto audiovisivo. Occidentalizzare significa modernizzare? O omologare? Netflix paladino della giustizia o colonizzatore culturale? Domande che rimangono aperte e che gettano luce sui nuovi dibattiti che il mondo del cinema si trova ad affrontare. 

Autori

Del cinema amo i film ambientati in un posto solo, il gossip hollywoodiano e il faccione di Bong Joon-Ho. Passo le domeniche a Porta Portese e il resto della settimana a mischiare il Martini alla tonica. In una vita passata ero un pirata.

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

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