Settant’anni fa, oggi, videro la luce per la prima volta Charlie Brown, Lucy, Snoopy, Violet, Linus, Schroeder: i Peanuts. Inizialmente, la storica striscia di Charles M. Schulz nacque come riempitivo di pagina, in posizione decisamente subordinata, di un quotidiano locale intitolato St. Paul Piooners Press. Chi avrebbe mai pensato che una necessità di tipo commerciale potesse catalizzare la più longeva opera pop del ventesimo secolo?
Il termine Peanuts indica nel teatro la sezione con i posti più economici e si usa talvolta anche per fare riferimento a un pubblico composto da bambini. I protagonisti infatti sono bambini, ma sono bambini particolari: con un magistrale capovolgimento psicologico, l’autore li fa comportare come degli adulti. Infatti, la forza dei Peanuts è, ancora oggi, proprio questa: benché si tratti di un segno graficamente molto semplice – probabilmente dettato dalla posizione secondaria nel quotidiano – permette l’affiorare delle diverse personalità dei personaggi che animano la striscia. Questi vengono fortemente caratterizzati dalle situazioni narrative raccontate e visivamente risultano essere immediatamente riconoscibili. Il tratto ultra semplificato di Schulz è funzionale a un tipo di narrazione basato sostanzialmente sui dialoghi e sulle relazioni tra le figure: una sorta di immobile racconto-haiku in quattro vignette.
I protagonisti sono l’esempio di diversissime personalità umane: Charlie Brown come metafora del perdente, Linus come metafora del filosofo riflessivo, Lucy della lunatica e Snoopy del reveur solitario. Art Spiegelman – altro fumettista d’elevatissimo spessore, autore del capolavoro Maus – dirà che Schulz nella sua opera «si scompone in tanti pezzettini». I bimbi sono come degli esistenzialisti in miniatura che sanno sfoggiare talvolta una saggezza raffinata, talvolta una crudeltà innocente, un’altra ancora si fanno portavoce di una potente critica sociale.
L’autore infatti dimostrò quasi da subito una certa sensibilità ai conflitti dell’epoca. Introdusse nel 1968, in un momento storico in cui ancora si respirava l’odio razziale crudele dell’apartheid, Franklin, un personaggio afroamericano, che in una famosa vignetta, fa la conoscenza di Charlie Brown al mare (visto che i neri non potevano andare in piscina, destinata solo ai bianchi). Una cosa che oggi potrebbe sembrare scontata ma che di fatto non lo era in quegli anni: fu una grande novità.
Charles Schulz non fu mai veramente contento del titolo che il giornale decise per la sua striscia. In una intervista del 1987 disse che il nome Peanuts è «un nome ridicolo, non ha significato, crea confusione e non ha dignità – e io credo che il mio umorismo abbia dignità».
Anche lui fu parzialmente vittima del diffuso pregiudizio culturale che relegava il fumetto a una sorta di sottoletteratura per bambini o adulti nostalgici. In realtà la striscia venne pubblicata per cinquant’anni su oltre 2600 testate, tradotta in più di venti lingue, raggiungendo 355 milioni di lettori in oltre settanta nazioni. Vennero tratti cinque lungometraggi che contribuirono a influenzare largamente lo zeitgeist dell’epoca, basti pensare che le due navicelle di comando della missione spaziale Apollo 10 furono battezzate rispettivamente Charlie Brown e Lucy.
Questo risultato ha dell’incredibile. La striscia è di per sé un linguaggio molto complicato per un artista: il disegnatore, giorno per giorno, deve conquistare la fiducia del lettore senza l’aiuto del consenso critico, delle pareti dei musei o dei soldi di qualche collezionista. Un foglio, un pennino e quattro vignette; nient’altro. Il suo impegno artistico non si esprime – o mantiene – in una manciata di capolavori spalmati nel corso di un’intera esistenza, ma quotidianamente.
L’opera arrivò in Italia grazie a Giovanni e Anna Maria Gandini tramite la Milano Libri, una storica libreria del capoluogo lombardo, che divenne casa editrice e diede i natali alla prima rivista italiana interamente dedicata al fumetto: Linus, dal nome di uno dei personaggi. Era il 1963 e al prezzo di 1800 lire si potevano leggere le avventure dei Peanuts. Per la redazione di Linus passarono intellettuali del calibro di Umberto Eco, Vittorio Spinazzola, Oreste del Buono, Elio Vittorini e Italo Calvino. La rivista viene ancora oggi pubblicata.
A partire dal 1981 Schulz disegnerà con crescente difficoltà a causa dei tremori dovuti a un quadruplo bypass. L’ultima striscia risale al 3 Gennaio 2000, e venne pubblicata il giorno dopo la morte dell’autore, avvenuta il 12 febbraio. Di recente la New York Review Of Books ha voluto ripubblicare la prefazione alla prima edizione italiana – firmata proprio da Umberto Eco, amante dell’opera schulziana e inguaribile lettore di fumetti – sotto forma di saggio. Recita:
Se “poesia” vuol dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta. Se poesia è individuare caratteri tipici in circostanze tipiche, Schulz è un poeta. Se poesia è far scaturire da eventi di ogni giorno, che siamo abituati a identificare con la superficie delle cose, una rivelazione che delle cose ci faccia toccare il fondo, allora, una volta ogni tanto, Schulz è un poeta. E se poesia fosse soltanto trovare un ritmo privilegiato e su di quello improvvisare in una avventura ininterrotta di variazioni infinitesime, così che dall’incontro altrimenti meccanico di due o tre elementi possa scaturire un universo sempre nuovo, cantato senza pause, ebbene anche in questo caso Schulz è un poeta. Più di tanti altri.
Autore
Vengo al mondo lo stesso giorno di Virgilio, lo stesso anno di Enter The Wu-Tang. Bibliofilo, fumettomane, trekker, all’occorrenza festaiolo impavido.