Non sono una strega ma una donna che non deve soddisfare le vostre aspettative sociali!

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Il 5 dicembre 1484, Papa Innocenzo VIII promulgò la bolla Summis desiderantes affectibus, indirizzata agli inquisitori Heinrich Kramer e Jakob Sprenger. Questo atto giuridico rappresentò una risposta alle resistenze locali nelle indagini sulla stregoneria, sancendo che la stregoneria era una minaccia per la fede cristiana e legittimando il perseguimento di chiunque fosse sospettato di praticare pratiche demoniache. Sebbene la bolla riconoscesse che anche uomini potessero essere accusati, essa aprì la strada a una persecuzione sistematica. Lo storico Norman Cohn, nell’opera intitolata I demoni interiori d’Europa, ci informa che la bolla papale Summis desiderantes non creò la caccia alle streghe in sé, ma diede forma alle paure sottostanti e facilitò la loro trasformazione in una crociata ufficiale contro l’eresia. E inoltre, legittimò la loro persecuzione come questione di fede e ordine, secondo il professor Levack.

Copia di uno schema di Jean Belot (1649) usato nel libro Storia della magia, fine XIX secolo

Quando si parla di processi per stregoneria, l’immaginario comune è solitamente dominato dalle immagini di donne bruciate vive. 

«Il rogo delle streghe divenne un teatro di catarsi collettiva, dove le pire trasformavano la paura dell’autonomia femminile in cenere, simboleggiando il controllo sul caos e sull’alterità» (From the Beast to the Blonde: On Fairy Tales and Their Tellers, Marina Warner, 1994).

Tuttavia, i metodi di tortura impiegati durante questi procedimenti erano vari e finalizzati a estorcere confessioni e punire le accusate. I torturatori miravano a distruggere la volontà delle donne attraverso pratiche crudeli che causavano sia dolore fisico che psicologico. Un esempio emblematico è quello di Tituba, una schiava caraibica del reverendo Samuel Parris, che, sotto torture fisiche, confessò di praticare la stregoneria e di essere stata costretta a firmare il libro del diavolo. Questi metodi di tortura potrebbero essere stati simili a quelli usati durante i processi di Salem nel 1692, dove la paura del diavolo e delle forze oscure dominava la società puritana.

Le torture e i metodi di confessione

Durante i processi, le accuse di stregoneria venivano spesso supportate da prove ottenute attraverso torture come lo strappado (sollevamento delle vittime per le mani legate), la sedia delle streghe (una sedia ricoperta di punte metalliche) e il fuoco, che veniva usato per bruciare gli arti. La prova del ferro rovente o l’immersione nell’acqua erano metodi che pretendevano di determinare la colpevolezza: se la vittima sopravviveva a queste torture, ciò veniva interpretato come una prova di innocenza, mentre il galleggiamento era un segno inequivocabile di colpevolezza.

Sedia inquisitoria, Museo delle torture di Napoli

Nel caso di Tituba, secondo Maryse Condé la confessione fu ottenuta probabilmente attraverso la pressione psicologica e fisica. Anche se non ci sono prove dirette. La donna dichiarò di essere stata costretta dal diavolo a compiere atti malvagi, come nuocere ai bambini del villaggio. La sua testimonianza rimane un esempio emblematico. Questo processo non fu il frutto di paure irrazionali, ma fu radicato in una visione puritana del mondo, in cui le forze del bene e del male erano percepite come in costante conflitto e il maligno doveva essere estirpato a ogni costo (Frances Hill, A Delusion of Satan).

Il sogno della strega

Le donne accusate di stregoneria erano spesso quelle ai margini della società. Sarah Osborne, vedova che sfidava le convenzioni sociali, e Sarah Good, indigente e senza fissa dimora, erano particolarmente vulnerabili proprio per questo. A loro si univa Tituba, che oltre ad essere una schiava, veniva guardata con diffidenza per la sua estraneità culturale. La condizione di queste donne, marginali e non conformi agli ideali patriarcali, le rendeva facili bersagli. 

«Le donne accusate di stregoneria erano spesso quelle che si trovavano ai margini dell’ordine sociale: vedove, povere, chiassose o quelle che non si conformavano alle aspettative patriarcali delle donne nella società puritana» (Carol F. Karlsen, The Devil in the Shape of a Woman: Witchcraft in Colonial New England, 1987).

Le accuse di stregoneria erano dunque una forma di controllo sociale che usava la paura per mantenere un ordine patriarcale. Michael Bailey sottolinea come queste accuse fossero spesso alimentate da motivi personali o rivalità sociali, come un modo per consolidare il potere e manipolare l’opinione pubblica in un’atmosfera religiosa tesa (Witchcraft and Religion: The Politics of Popular Belief, 2002). Le persecuzioni di stregoneria si intrecciano con la storia della violenza patriarcale, che ancora oggi, secondo Bell Hooks, continua a trasmettersi nelle esperienze delle donne attraverso il dolore generazionale.

La strega come simbolo del trauma femminile

Oggi, la figura della strega non è più vista solo come una vittima del patriarcato, ma anche come una metafora potente di resistenza e di identità femminile. La poetessa Anne Sexton, nel suo poema Her Kind (1960), riscrive la figura della strega come una donna ribelle, che sfida le convenzioni della società. Sexton si definisce «una di loro» attraverso l’epifora che chiude ogni strofa. Sottolineando come la condizione di outsider sia la forma di auto-definizione di chi non si adatta agli stereotipi di femminilità imposti.

«Sono uscita, strega posseduta, / tormentando l’aria nera, sfidando la notte, / e sognando malefici, ripetendo le mie formule magiche / in volo sopra le case, luce dopo luce; / folle e solitaria, mani con dodici dita. / Una così non può dirsi una donna. / Io sono stata una di loro» (Anne Sexton, “Her Kind” from The Complete Poems of Anne Sexton, Boston: Houghton Mifflin, 1981, traduzione di Daniela Raimondi).

Il trauma generazionale, come evidenziato dalla psicoterapeuta Clarissa Pinkola Estés, non è solo un’esperienza individuale, ma un dolore che viene trasmesso nel corpo delle donne. Tuttavia, può anche essere guarito attraverso la condivisione e la consapevolezza collettiva. La strega di Sexton, che “sogna malefici” e “sfida la notte”, incarna una donna che si appropria del suo status di emarginata, risemantizzando la sofferenza in una forma di potere personale che le permette di non aver paura neanche della morte. 

In questo contesto, la figura della strega è più che una vittima del passato. Come sottolineato da Marina Warner in From the Beast to the Blonde (1994), la strega è stata una costruzione culturale che giustificava l’emarginazione delle donne. Eppure, attraverso la lente del femminismo contemporaneo, la figura della strega diventa un simbolo di sfida e di potere contro un sistema che continua a subordinarle.

La memoria storica delle persecuzioni alle donne accusate di stregoneria, come nel caso di Tituba, Sarah Good e Sarah Osborne, è fondamentale per comprendere il continuo legame tra traumi generazionali e condizione femminile.

«Il trauma non modella solo la persona che lo vive, ma anche i suoi discendenti, attraverso comportamenti, schemi emotivi e persino cambiamenti biologici» (Bessel van der Kolk, The Body Keeps the Score, 2014).

Anneken Hendriks, Dam, Amsterdam di Jan Luyken, processo e l’esecuzione di Anneken Hendriks, accusata di stregoneria nel XVI o XVII secolo

 Oggi, il riconoscimento di questi traumi, non è solo una riflessione sulla storia, ma anche un atto di resistenza. La violenza e il trauma non solo modellano l’individuo che li subisce, ma si tramandano nelle generazioni future. Ecco perché è importante continuare a parlare di queste donne. Coltivando la consapevolezza che tale questione riguarda tutte.

Il nostro compito è ricordare ogni giorno quanto le ferite inflitte dalla violenza patriarcale si protraggano nella vita delle donne. Come scrive Bell Hooks, le ferite sono trasmesse in silenzio e qualche volta nella resistenza. La catena di violenza può essere spezzata solo dal potere della guarigione condivisa. Gli studi, la poesia, la storia, le parole che condividiamo, ci ricordano che strega o non, la donna non deve soddisfare alcuna aspettativa sociale, ma solo il suo desiderio di libertà.

«Il dolore delle generazioni può essere portato nel corpo di una donna come se fosse il suo, ma la sua guarigione può liberare non solo lei, ma anche coloro che l’hanno preceduta» (Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, 1989)

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

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