Morire a vent’anni, morire ventenni

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Monreale, poco meno di dieci chilometri da Palermo, tre giovani ventenni ammazzati in una rissa. I loro nomi sono Salvatore, Andrea e Massimo. Al momento di questa scrittura, uno degli esecutori in stato di fermo ha solo 19 anni. Ha ammesso di aver ucciso, e si avvale della facoltà di non rispondere. Una comunità cittadina in lutto.

Una mattanza per futili motivi, come recitano i media nazionali. Mi chiedo se ci possono essere mai motivi solidi e fondati per ammazzare tre ragazzi. Una strage immane che accade a ridosso dei funerali del Papa e quindi ha poca visibilità, e se sui giornali nazionali la trovi in alto, in homepage, viene sempre dopo le partite di calcio. Si sa, il pallone manda avanti la nazione. Oppure viene dopo i nuovi modelli di 730, oppure in fondo dopo tanti di quei fatti che una strage ci sta a confondersi nelle notizie di poco rilievo. 

Strage per futili motivi, una rissa, un furto, una parola di troppo. Ma rimangono futili motivi, perché i motivi seri ti permettono di bombardare i civili, gli ospedali, i bambini, le tendopoli. 

I motivi seri ti permettono di lasciare affogare le persone in mare. I futili motivi, invece ti permettono, in fin dei conti, di derubricare una strage quasi ad un frainteso esistenziale. Un accadimento, la morte, che coinvolge e stravolge i ventenni, ma quasi colpevoli della loro giovane età, e quindi il rischio di morire è dovuto. 

Anche Eddine è morto a Bologna per futili motivi, perché aveva urtato due coetanei. Spintonato, picchiato, cade a terra e batte la testa, muore a soli 19 anni. Morire ventenni. A Eddine, i giornali che prima lo avevano identificato solo come tunisino, lo spazio mediatico è stato poco. I giovani che scompaiono dalla scena politica, dalle politiche giovanili, che sono funzionali solo per statistiche di tristezza, solitudine e criminalità, rimangono ai margini. Anche nella morte.

Relegati in un mondo virtuale, fatto di viaggi e aperitivi nella più totale solitudine, che quando si incontrano nella realtà esplodono come mine vaganti, ma senza nessuna poetica filmica. 

E senza poesia muore Francesco a Treviso, 22 anni, accoltellato da un 15enne, un 18enne e un 19enne. E muore Marco di 22 anni in Sardegna la sera di Carnevale accoltellato per una rissa, per futili motivi, perché forse chissà nella vita c’è un motivo per morire. Una geografia mobile che vede latitudine e longitudine attraversare tutto il nostro Paese, e Amir muore accoltellato a 24anni a San Benedetto del Tronto. Sempre per futili motivi. 

Morire vent’anni, morire ventenni, che oltre tutte le analisi sociologiche e psicologiche non toglie il dato di fatto di pistole e coltelli utilizzati per regolare una rabbia e una volontà di sopraffazione. E nulla mi toglie dalla testa che, quando puoi ammazzare in nome di un presunto diritto innocenti sullo scenario internazionale, allora tu puoi tutto per risolvere anche un mero battibecco oppure un’occhiata storta, puoi lavare con il sangue l’offesa. 

E così le morti dei giovani assomigliano alle morti delle vittime innocenti di mafia: essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. In una nazione che vara il dl Sicurezza a fini politici limitando libertà, che emana decreti contro i rave party, ecco la risposta furiosa e letale della realtà, che ammazza i vent’anni e i ventenni. 

E si cerca già di dare l’identificazione di provenienza agli assassini di Monreale, vengono dallo ZEN, quartiere degradato, malfamato, quasi a voler giustificare che se un ventenne ammazza è perché ha una determinata provenienza (stesso stilema si applica agli stranieri, ricordiamo tutti che gli stupri secondo qualcuno sono per matrice etnica) e non perché c’è un vuoto di cui assumersi responsabilità. 

In una società guidata dalla prevaricazione del forte sul debole, del ricco sul povero, di quello armato sull’indifeso, di quello che ha un lavoro sul disoccupato, di quello che ha contro quello che non ha, di cosa si devono stupire gli adulti che hanno costruito un incubo per i ventenni? Quale indignazione possono promuovere se non assumersi la responsabilità di non aver costruito nessuna alternativa. Costruttori di vuoti, sembianze e apparenze, di vite immaginate e immaginarie, costruttori di frustrazioni che regalano in dono ai figli come corone di spine da portare sorridendo, e ammazzando. 

Sullo sfondo rimane una strage, questa l’accusa giustamente formulata dalla Procura contro i responsabili. Essere accusati di strage a neanche venti anni dovrebbe fermare una nazione e farla riflettere. Invece permane il nulla, lo scivolare delle vittime in fondo alle homepage dei giornali, della scaletta delle radio, relegati nel nulla dei reels di apertivi e sorrisi di vite vuote su rulli sociali che della realtà non hanno contezza.   

Tutto questo accade a Monreale, Palermo nel 2025, stessi luoghi in cui c’era la voce di Fra Biagio che in sciopero della fame qualche anno fa diceva: “Sento che questa società non sta migliorando, perché ogni uomo, ogni donna non si sta impegnando a trasformarla, diventiamo sempre più indifferenti ed egoisti, disprezziamo e condanniamo, non amiamo, non perdoniamo ma condanniamo, e qualcuno muore per nulla in mezzo alla strada”.  

Il problema sono i giovani, come sempre. Sono i giovani che ammazzano, come sempre. Il problema non sono mai gli adulti che ammazzano, come sempre. Oppure gli adulti che mettono bombe, come sempre. O gli adulti che compiono genocidi, come sempre nonostante il diritto internazionale. Sempre gli adulti che fanno morire persone in mare, come sempre. Qualcuno si stupisce ancora degli esempi che gli adulti lasciano ai giovani che poi uccidono, come sempre?

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