L’oro bianco
La cocaina non è più un prodotto per ricchi. Come tutto il resto, anche la polvere bianca – un tempo presente solo nei salotti bene – si è adattata al consumo di massa. Oggi la cocaina è alla portata di tutti, ricchi e meno abbienti, grandi e piccoli, professionisti che hanno bisogno di mantenere la concentrazione e adolescenti che vogliono passare una serata all’insegna dell’euforia. Il mondo è cambiato ed insieme ad esso è cambiato il mercato della droga. L’asticella dell’eterna guerra tra narcotrafficanti, sempre più abili ed all’avanguardia, e doganieri, finanzieri ed investigatori di tutto il mondo, si misura in tonnellate. Decine di tonnellate, centinaia di tonnellate, come abbiamo anticipato.
La cocaina è l’unica sostanza che dalla sua comparsa non ha subito cali di consumo. Negli anni si sono registrati cali ed incrementi dei sequestri, mentre la domanda del prodotto è rimasta costante e stabile, se non in crescita. Nel contempo si tratta di un prodotto che per profitto non ha eguali: da un chilogrammo di cocaina pura, acquistata nel continente sud americano ad un prezzo che si aggira tra i 900 ed i 1500 euro, si può rivendere la stessa quantità in Europa ad un prezzo che varia tra i 38 e i 50 mila euro. E stiamo parlando comunque di cifre indicative influenzate da numerosi fattori variabili, come ad esempio il taglio che viene applicato alla sostanza destinata al consumatore.
Secondo La relazione europea sulle droghe del 2022, la cocaina sequestrata in strada aveva un grado di purezza che oscillava tra il 31% e l’80%. Ciò significa che i carichi di cocaina arrivati sul suolo europeo sono stati “tagliati”, ovvero inquinati con altre sostanze fisicamente simili, al fine di aumentarne il volume. Così facendo, da un chilo di cocaina pura se ne possono ricavare due o più, incrementando enormemente i guadagni.
Con questi presupposti è abbastanza ovvio che criminali di ogni genere siano disposti – letteralmente – ad ammazzarsi per avere una fetta del mercato.
Olanda: nuova porta d’ingresso della coca
Da qualche tempo l’Olanda sta progressivamente perdendo la faccia di ridente nazione dei tulipani a causa della violenta escalation criminale. Una scia di sangue che ha lasciato a terra criminali, avvocati e giornalisti, costringendo persino la famiglia reale a rafforzare il sistema di protezione personale, ma andiamo con ordine.
Nel dicembre 2016 viene ucciso a Laren Martin Kok, un ex criminale, convertitosi al mondo dell’informazione. Sul suo blog, Vlinderscrime, da tempo si stava occupando di un’organizzazione criminale che stava prendendo piede in tutta la nazione e che anni dopo verrà denominata moccro-mafia (moccro è un termine dispregiativo per indicare soggetti di origine marocchina o più generalmente nord africana). Poco tempo prima scampò ad altri due tentativi di omicidi, uno di questi per mezzo di un ordigno esplosivo. L’anno seguente una serie di omicidi negli ambienti del traffico di droga mettono in allerta le forze dell’ordine. Lo stesso anno rimane ucciso a Marrakesh il figlio di un giudice durante un conflitto a fuoco, si accerterà poi la responsabilità di noti esponenti della criminalità organizzata olandese. Nel marzo 2019 viene assassinato il fratello di quello che è ancora oggi uno dei primi testimoni di giustizia della moccro mafia, Nabil B., teste chiave in quello che oggi è chiamato processo Marengo.
Nel settembre dello stesso anno viene ucciso l’avvocato del collaboratore di giustizia, Derk Wiersum. L’uomo viene ucciso a colpi di pistola vicino alla sua abitazione da un giovane che poi si è dato alla fuga. Due anni dopo, nel luglio 2021, viene ucciso nel pieno centro di Amsterdam il noto giornalista di cronaca nera Peter De Vries. Il cronista si era occupato più volte di criminalità e narcotraffico ed era sospettato di essere in stretto contatto con Wiersum ed il suo assistito Nabil B. Infine, nel 2023, l’erede al trono, principessa d’Olanda, Amalia, parla durante un tour ai Caraibi della famiglia reale, dichiarando di star passando un momento difficile. Un anno prima, difatti, nei primi mesi della sua carriera universitaria ad Amsterdam, Amalia viene catapultata nel programma di protezione a causa di alcuni messaggi su una linea criptata intercettati dalla DEA, poi comunicati ai servizi di sicurezza olandesi. Due noti esponenti della criminalità organizzata olandese parlano esplicitamente di un rapimento a danno della principessa. Stessa sorte tocca al primo ministro Mark Rutte e, più recentemente, al Ministro della giustizia Vincent Van Quickenborne.
La mocro-mafia ha alzato l’asticella dello scontro, proprio come fece cosa nostra in Italia negli anni 80/90.
E se le minacce della mafia marocchina alle istituzioni ed ai suoi simboli assomigliano all’azione terroristica di quella siciliana nel nostro passato, la violenza è assolutamente analoga a quella corleonese.
L’uomo che sarebbe alla guida dell’organizzazione criminale olandese, nonché principale imputato nel processo Marengo, sarebbe uno sconosciuto ai più.
Ridouan Taghi, marocchino ma trasferitosi in Olanda assieme alla sua famiglia negli anni 80, ancora bambino. È lui ad essere accusato di essere il capo della moccro-mafia, di aver ordinato omicidi e di aver gestito ingentissimi carichi di cocaina arrivati proprio in Olanda, nel porto di Rotterdam. I collaboratori parlano di lui come di un sanguinario ed un violento. Hanno segnalato e fatto ritrovare alla polizia container usati come stanze della tortura, con tanto di poltrone da dentista e strumenti di ogni genere.
La ridente Olanda, simbolo delle nuove democrazia liberali, è macchiata dalla violenza della criminalità organizzata. Ad incentivare l’attrattività di mafie e narcotrafficanti non sono solo i porti del nord, come quello di Rotterdam, ma anche la possibilità di reinvestire i capitali illeciti con basso rischio. La legislazione antiriciclaggio è datata ed incapace di far fronte alle organizzazioni criminali del nuovo millennio, sempre più all’avanguardia e transnazionali.
Nonostante gli arresti di soggetti di vertice della mafia marocchina, portati a termine dalla polizia olandese grazie alla cooperazione internazionale, la violenza resta alta nelle cità olandesi. Il fatto che Riduan Taghi sia dietro le sbarre e stia rischiando pesanti condanne non dovrebbe far abbassare la guardia. Tutto il mondo è paese e morto un papa se ne fa un altro. La vera sfida sarà quella di far mancare la terra sotto i piedi della criminalità organizzata. Terra che, in questi casi, da nord a sud, è fatta di ricchezza e disponibilità di manovalanza.
Il Gran consiglio della cocaina d’Europa
Le informazioni più preziose, però, quelle da cui sono partite le indagini, arrivano dalla DEA americana. Taghi e la mocro-mafia olandese non sono gli unici protagonisti del “Gran consiglio della cocaina”. Taghi è l’olandese, poi c’è Raffaele Imperiale, un italiano originario di Castellammare di Stabia, il bosniaco Edin Gačanin, di Sarajevo ed un irlandese, Daniel Kinahan. I “fantastici quattro” li ha definiti la giornalista Floriana Bulfon, nel suo libro Macro Mafia. La Bulfon ha inseguito Imperiale, Taghi, Gačanin e Kinahan in Europa ma, soprattutto, a Dubai, dove tutti hanno stabilmente abitato per molti anni, sbeffeggiando le polizie di mezzo mondo che li cercavano.
La storia criminale di Kinahan è simile a quella di Taghi, con la differenza che sullo sfondo non c’è l’Olanda ma la Dublino irlandese. Anche nel suo caso la scalata criminale è stata segnata da una lunga faida esplosa nel 2015, culminata poi nell’attacco al Regency Hotel di Dublino. In quell’occasione si stava celebrando un pre-match per il titolo europeo della boxe. Quella che doveva essere una serata all’insegna dello sport si è trasformata in un inferno. Uomini armati di kalashnikov sono entrati nell’hotel ed hanno fatto fuoco. Kinahan riuscì a fuggire, un suo uomo è rimasto ucciso.
La Dublino degli anni 2000 sembrava essersi trasformata nella Chicago degli anni ’20, o nella Palermo degli anni ’80.
Nonostante la DEA consideri oggi Daniel Kinahan il ricercato numero uno, negli anni della faida di Dublino, l’Irlandese era considerato una figura di spicco nel management della boxe mondiale, posando spesso in foto accanto a sportivi di serie A
Oggi Kinahan è latitante e ricercato dalla DEA. Dubai, la città degli sceicchi dove per molti anni ha trovato rifugio insieme ai suoi tre colleghi, non è più sicura.
La figura di Edin Gačanin è controversa ed è divenuta nota al pubblico solo dopo il suo arresto a Dubai a metà novembre 2022. La DEA indicò anni prima Gačanin come parte di un “super cartello” della droga, con base a Dubai, poi battezzato macro mafia dalla giornalista Floriana Bulfon. In una regione come i Balcani, in cui la corruzione è dilagante, Gačanin avrà avuto sicuramente gioco facile.
Infine, ma non per questo meno importante, c’è Raffaele Imperiale. Originario di Castellammare di Stabia è diventato noto per essere il latitante a cui sono stati sequestrati due dipinti originali di Vincent Van Gogh trafugati nel museo di Amsterdam nel 2002. Le due opere d’arte dal valore inestimabile erano in una villa di Castellammare, coperte da un telo, come fossero vecchi quadri che non si vogliono appendere. Anche Imperiale è stato arrestato a Dubai dopo una lunga e lussuosissima latitanza costellata – come se non bastasse – da mancate catture e fughe inspiegabili. Le manette per lui scattano nel 2021. La presenza e l’attività di Imperiale – e di Taghi, Kinahan e Gacanin – era stata più volte segnalata alle autorità emiratine ma queste mostrarono comunque scarso interesse per la questione. Nonostante si possa pensare che uomini pieni di soldi, nella città all’insegna del lusso e dello sfarzo, possano passare inosservati ai più, è difficile immaginare che le istituzioni emiratine, spesso note per l’intransigenza, non sapessero chi fossero quei quattro europei con il vizio di sperperare denaro.
Non a caso, i “fantastici quattro”, come li ha definiti Floriana Bulfon, hanno iniziato a passare i primi guai solo quando la comunità Europea e gli USA hanno minacciato di inserire Dubai nella black list per gli investimenti finanziari internazionali. Proprio in quei mesi sono iniziato le operazioni dell’Interpol che hanno colpito la rete dei narcos d’Europa.
Ad oggi Imperiale, Gačanin e Taghi sono sotto processo e devono rispondere di pesanti accuse. Imperiale, oltretutto, ha anche intrapreso il percorso da collaboratore di giustizia. Daniel Kinahan, l’irlandese, è acora latitante e continua ad essere braccato dalle agenzie investigative di mezzo mondo.
L’imbarazzo di non saper dare risposte
Mentre tutto ciò che abbiamo appena raccontato accadeva, l’Europa si mostrava (e continua a mostrarsi) distratta. Salvo il fattore pandemia, che ha monopolizzato gli argomenti di discussione di tutto il mondo nel biennio 2020-2022, sorge spontaneo chiedersi come sia possibile che storie di questo tipo non siano parte quotidiana dei talk show televisivi. Difatti, a parte qualche inchiesta di croniste e cronisti coraggiosi, è raro trovare opinionisti, politici e uomini delle istituzioni in uno studio televisivo a ragionare su argomenti di questo genere. Eppure il narcotraffico, il riciclaggio che ne consegue e le tossicodipendenze influenzano ogni giorno la nostra vita quotidiana. I miliardi, frutto della vendita della cocaina entrano nei circuiti legali dell’economia, infettando le regole del mercato e della finanza; i fondi necessari destinati dalle sanità nazionali destinati alla riabilitazione dei tossicodipendenti si misurano anch’essi in centinaia di milioni di euro. Il mercato stesso del traffico di droga, inoltre, genera quasi sempre escalation di violenza nelle città, causate soprattutto dagli attori criminali in campo che si contendono l’attività di vendita nelle strade. Le forze dell’ordine rafforzano costantemente la cooperazione internazionale per contrastare il narcotraffico ed i risultati iniziano a vedersi con ingenti sequestri e numerosi arresti ma, nonostante questo, la cocaina continua ad inondare le strade. I re europei del narcotraffico sono braccati, le organizzazioni sudamericane dedite alla produzione sono perennemente in guerra con gli Stati in cui operano da 30 anni causando centinaia di migliaia di morti di anni ma, nonostante ciò, in Europa si continua a sniffare.
Com’è possibile, dunque, che un fenomeno così vasto, così economicamente e socialmente incisivo e così diffuso sui territori nazionali non venga trattato, quantomeno, come una minaccia alla sicurezza delle nazioni?
Nessuno qui ha la presunzione di rispondere ad una domanda di questo genere. Se qualcuno l’avesse sarebbe, probabilmente, uno sciocco. Forse, però, le alte cariche istituzionali europee dovrebbero avere il coraggio ed il senso di responsabilità di dire le cose come stanno ed ammettere che, anche se ci piace tanto la lotta per la legalità, non hanno la minima idea di come fermare il costantemente fiorente mercato della droga.