Perché la Legge 194 piace tanto alla Destra

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Da quando lo scorso 25 giugno la Corte Suprema americana si è pronunciata ribaltando l’assunto della sentenza Roe vs Wade del 1973, riconoscendo la possibilità agli stati Federati di vietare l’aborto, il dibattito sul tema è implacabile. Il diritto all’aborto in America (fino a prima della controversa pronuncia) era stato riconosciuto in modo “pieno”. Questo significa che la Corte Suprema, non considerando il concepito come un essere “vivente” nei primi tre mesi di gestazione, si è pronunciata nel senso che il diritto di autodeterminazione della donna, tramite la libera disponibilità del suo corpo in nome della privacy, è predominante rispetto a qualsiasi altro interesse che lo Stato avesse voluto tutelare. Nei mesi successivi al terzo lo stato poteva (non doveva) predisporre misure a tutela del concepito.

In Italia invece, due anni più tardi della sentenza Roe vs Wade, la Corte costituzionale con la sentenza n. 27/1975 affronta la questione in modo completamente diverso: è riconosciuta al concepito una tutela fin dal suo concepimento perché questa si giustifica nei valori della nostra Costituzione; allo stesso modo questa tutela deve essere bilanciata con altri interessi e beni riconosciuti, sempre dalla Costituzione. Questo significa che la Corte costituzionale, sì, riconosceva la possibilità di interrompere la gravidanza, ma questa possibilità doveva essere circondata da garanzie e condizioni: non era “libera” dagli interessi dello Stato come in America.

A questi due approcci (quello americano e quello italiano) corrispondono due paradigmi culturali profondamente diversi soprattutto rispetto alla considerazione di cosa è un “individuo” e di come lo stato debba adoperarsi per tutelarlo.

Ma come funziona il diritto all’aborto in Italia? E perché la Legge 194 è ritenuta da alcuni uno strumento inefficace a garantirlo (a tal punto che recentemente la stessa Giorgia Meloni ha espresso la volontà di mantenerla)?

Per arrivare a questa legge, il nostro paese ha conosciuto un’intensa stagione di disobbedienza civile, di pari passo con la rivoluzione culturale e sessuale, i cui protagonisti sono stati il Partito Radicale, ad esempio con la fondazione del CISA (Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto), con la lotta all’aborto clandestino e la sensibilizzazione mediatica sul tema. Si unirono presto al movimento abortista i partiti laici (PRI, PLI) e quelli socialisti (PSI, PSDI) e solo alla fine anche il Partito Comunista.
La proposta di legge venne presentata alla camera il 9 giugno del 1977 da tutto l’arco parlamentare di sinistra, ed il cui primo firmatario fu il deputato socialista Vincenzo Balsamo; gli unici partiti antiabortisti rimasero la DC (a parte alcuni deputati) e l’MSI. Nel 1981 la stessa fu difesa dal popolo italiano che bocciò l’abrogazione voluta dal Movimento per la Vita tramite un referendum, con la schiacciante maggioranza del 68% che voleva mantenere la legge in vigore.

Cosa dice la Legge 194

Riassumendo brevemente i contenuti della Legge 194, nella prima parte è dichiarato che tale legge non è uno strumento di controllo delle nascite e che lo Stato si impegna per evitare che l’aborto sia usato a tale scopo, il quale riconosce il diritto ad una procreazione cosciente e responsabile. È poi prevista l’istituzione di consultori allo scopo di assistere la donna in stato di gravidanza, informandola dei suoi diritti, dei servizi sanitari, sociali ed assistenziali operanti sul territorio, e «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».

Per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza questa è garantita alla donna tramite una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione, mentre successivamente può avvenire solo per motivi terapeutici (pericolo per la salute della donna, malformazioni o anomalie rilevanti del nascituro che comportino un grave per pericolo per la salute fisica o psichica della donna) che sarà il medico a dover accertare, senza quindi rendere partecipe la donna in alcun modo della decisione, con l’obbligo ove possibile di salvare il feto.

Troppi obiettori

È poi prevista la possibilità agli operatori sanitari di fare obiezione di coscienza, tranne che nel caso in cui sia in grave pericolo la vita della paziente, ed in ogni caso gli stessi non vengono esonerati dal prestare assistenza prima e dopo l’intervento. In teoria, le Regioni dovrebbero preoccuparsi di assicurare il servizio prevedendo personale non obiettore dove sia necessario, peccato che ci siano strutture dove di fatto non è possibile abortire proprio per l’assenza di sostituti, e non sono poche.

Infatti, a distanza di 40 anni, la legge è gravemente inattuata: il 70% dei medici in Italia, in media, è obiettore di coscienza; il dato fa ancor più impressione se si pensa che in Francia la percentuale è del 7%. Secondo la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione della Legge 194 (Laila), nel 2017 solo il 59% degli ospedali italiani prevede il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, in particolare per quanto riguarda i casi successivi al terzo mese. Il 41% degli ospedali italiani sarebbe pertanto non in conformità con quanto previsto dalla Legge 194.

È evidente che questa situazione comporta un indebolimento del diritto all’aborto, e che di fatto il servizio che dovrebbe essere garantito dallo Stato, è largamente inefficace. Allo stesso tempo come dichiarato dalla Meloni, la legge prevede tutta una serie di strumenti di prevenzione e di assistenza per evitare il ricorso all’aborto, che la destra vuole mantenere. Ma, allora, la Legge 194 è in grado davvero di garantire questo diritto?

Autore

Classe 2001, ma mi sento molto più vecchio. Studente di Giurisprudenza a Roma, aspirante giornalista (infatti mi piace molto scrivere), ma anche suonare la chitarra. E questo è quanto.

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