La politica conosceva il caporalato da prima della morte di Satnam Singh

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Sono uomini al mio servizio e non me ne frega un cazzo del sindacato, dei giornalisti e dei carabinieri. Se vengono dall’India fin qui e non tornano nel loro Paese dopo aver lavorato per noi, significa che a loro sta bene e che in patria stanno peggio che è qui.

Marco Omizzolo, Sotto Padrone

È passato poco più di un mese dalla morte tragica di Satnam Singh, e siamo passati dall’avere il caporalato in prima pagina su varie testate ad un nuovo silenzio. Silenzio che fa sempre più rima con omertà.

In un articolo del The Guardian uscito pochi giorni fa, Marco Omizzolo, sociologo tra i più grandi studiosi del fenomeno caporalato su scala nazionale, riassume in modo straordinario cosa è avvenuto a Latina e avviene in varie zone rurali nel nostro paese:

Satnam non è un’eccezione, (il caporalato) Si tratta di una situazione organizzata che è presente da anni e che incrocia interessi economici criminali, talvolta mafiosi. Da nord a sud c’è una continua violazione dei diritti umani. Il governo non ha intenzione di affrontarlo in modo serio.

Quindi un fenomeno già noto, che unisce politica, economia e illegalità attraverso vari clan e organizzazioni criminose sul suolo nazionale. Eppure abbiamo bisogno del martire per parlarne. E se vogliamo dare un senso alla morte di Satnam Singh, proviamo a comprendere questo rapporto a tre che inquina la nostra agricoltura e non solo.

Tutti i fenomeni hanno un inizio, geografico, una finalità, sociale, dei protagonisti, umani, ed una possibile soluzione.

Una città, due anime, cento mila interessi.

Latina è una città che fa da terra di mezzo. Con un treno puoi arrivare a Roma in un’ora e a Napoli in 3 ore. Davanti ha il mare che diede ristoro a Ulisse sul Circeo e la prigionia a Spinelli e altri antifascisti, dietro ha le montagne, la Ciociaria e quella ruralità che diventò centrale nel Neorealismo italiano del secolo scorso.

Latina oggi e Littoria ieri ed oggi. Nasce infatti nel 1932 con il suo vecchio nome a seguir della bonifica dell’Agro Pontino compiuta sotto la dittatura fascista, e lì veneti, lombardi, campani e altri gruppi regionali trovarono una nuova abitazione e punto di ritrovo per una delle città più giovani della storia italiana. Questo suo essere una città di nuova fondazione, al centro tra due dei più importanti poli economici lavorativi e sociali del nostro paese, ha portato a rendere Latina una città silenziosa e “invisibile”.  

Eppure le criticità latinensi sul tema del caporalato, e della forte presenza della criminalità organizzata, erano già note sia alla politica che alla giustizia. La non consapevolezza a livello nazionale e mediatico del fenomeno nella provincia latinense è stata dovuta dalla tipologia di criminalità che vi si è insediata, diversa e insolita rispetto alle mafie tradizionali.

Come affermano Giuseppe Rotundo e Tommaso Ricciardelli nel loro libro I Boss di Latina : «Le mafie minori sono organizzazioni criminali che non devono essere necessariamente numerose, ricchissime o pesantemente armate… e al contrario delle mafie tradizionali, hanno una capacità di insediarsi sul territorio in maniera diversa, più sull’evoluzione che sulla germinazione spontanea».

La storia ha dimostrato come nei luoghi poco supervisionati dalla politica e dall’economia vi siano i presupposti ideali per il fiorire di queste tipologie di sistemi criminali, diverse da quelle classiche. Cosa Nostra e Camorra, per prendere due esempi classici, nascono nelle prossimità di grandi centri urbani e di possibilità di sbocco economico come la provincia di Napoli, la sicilia Orientale e quella Occidentale, in prossimità del capoluogo campano o di città come Palermo, Trapani, Catania, città dalla forte anima marittima e commerciale. 

Questo nuovo modello, con la famiglia di Silvio e Ciarelli, che a Roma si è già visto con i Casamonica e gli Spada, avviene nel silenzio omertoso della politica e della società civile che diventano dei ponti ideali tra imprenditoria selvaggia e una politica che fa l’interesse dei singoli, e non della collettività.

Una zona grigia che ha il colore dei soldi ed il sapore del sangue

Riprendendo uno dei primi libri sulla ricostruzione storica della mafia siciliana dal titolo La Mafia di Ed Reid, la prefazione di Piero Calamandrei si apriva con parole molto chiare e tuttora attuali: «un carattere comune, in Sicilia e in America, pare che meriti essere rilevato: che è sempre difficile stabilire una linea netta, qua e là, dove l’attività della mafia cessi di essere attività criminali e diventi camarille elettorali, dove cessi di essere il brigantaggio e diventi cricca politica».

In quella che oggi dagli studiosi viene definita zona grigia o area grigia si fa riferimento a molteplici situazioni dove le diverse organizzazioni mafiose e criminali registrano contatti con la loro mentalità delinquente criminale con il mondo imprenditoriale, economico e politico. 

E in questa area grigia nasce l’agromafia: un neologismo con cui comunemente vengono qualificate quelle organizzazioni criminali, non solo di stampo mafioso, che operano nel settore agricolo-pastorale e in generale in quello enogastronomico, realizzando adulterazioni, sofisticazioni, contraffazioni di false etichettature e di marchi di tutela.

Secondo la Direzione Nazionale Antimafia, la DNA, nel rapporto annuale del 2012: «Il legame delle mafie con l’agricoltura ha radici antiche, di natura storico-culturale, legate alla nascita stessa del fenomeno mafioso, per larga parte originatosi proprio nelle campagne. Per questo motivo da sempre tra le altre cause di ritardato sviluppo, l’agricoltura meridionale sconta anche quello delle infiltrazioni di stampo mafioso. Tale fenomeno oggi interessa l’intero territorio nazionale, attesa la capacità delle mafie (Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta) operanti ormai in forma di impresa, di espandersi verso il Nord Italia seguendo le direttrici logistiche del trasporto e del commercio dei prodotti agricoli».

Il dossier “Agromafie” dell’osservatorio Eurispes, Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali, dichiara che il business complessivo delle agromafie in Italia ammonta a circa 24,5 miliardi di euro l’anno, ovvero il valore di una finanziaria di governo.

Il ponte che unisce la politica e l’imprenditoria: la criminalità

Latina diventa una preda ambita da parte dei clan sinti romani e dalle controparti camorristiche. Quella che diventerà “il laboratorio del basso Lazio”, tutta la provincia di Latina è un crocevia della criminalità, dove i gruppi di formazione mafiosa tradizionale si mischiano con i sodalizi autoctoni ed insieme intrecciano i fili di affari milionari, tra cui il riciclaggio e il caporalato.

Uno dei principali clan che diventerà protagonista nella zona è il clan dei Di Silvio insieme ai Spada. Originari di Isernia, Molise, come i Casamonica (con cui vi sono legami di sangue in primis e poi legame economici) hanno radici nella cultura e nella comunità rom, che dopo la disgregazione della Jugoslavia troverà riparo e spazio nelle zone dell’Abruzzo, del Molise e delle Marche. 

La pubblicazione nel 1991 della relazione della Commissione parlamentare antimafia Chiaromonte è un evento spartiacque. Grazie a questo lavoro, per la prima volta, lo Stato mette una luce su quei territori e mettendo insieme i dati giornalistici e giudiziari vi è la foto di una situazione drammatica:

Il fenomeno criminale, nel Lazio ed in particolare nella capitale, pur non presentandosi ancora ai livelli delle regioni a più alta densità mafiosa, appare in evidente espansione. La Commissione esprime, quindi, un preoccupato allarme e richiama l’attenzione del Parlamento e del Governo su una situazione certamente pericolosa. La criminalità organizzata, potendo contare su una grande disponibilità di denaro e su sistemi organizzativi sempre più sofisticati, minaccia il tessuto civile, le attività economiche e le amministrazioni pubbliche.

La lunga scia di violenze che per gli anni 90 avvengono nella provincia di Latina non è nota come quella che avvenne durante lo stesso periodo in Sicilia, o gli scontri che la NCO di Cutolo ebbe con la Nuova Famiglia altri gruppi campani (che causò in 4 anni più di 1500 morti). Nonostante la mancata notorietà, la presenza dei clan e della criminalità nella provincia di Latina è tuttora oggi notificata dalla Direzione Investigativa antimafia, che nel semestre 1 del 2023 scrive come:

Numerose proiezioni delle mafie tradizionali hanno condotto alla ricerca di un sostanziale equilibrio con le ben radicate formazioni delinquenziali autoctone, caratterizzate da spiccata autonomia, notevole caratura criminale e capacità di influire in modo determinante sul tessuto socio-economico locale. Fra le svariate attività illecite spiccano lo spaccio di stupefacenti, la detenzione abusiva di armi, i reati ambientali, il riciclaggio, l’usura e le estorsioni. Nell’ambito dell’economia legale sono state riscontrate attività di illecita gestione e smaltimento dei rifiuti, forme di sfruttamento lavorativo soprattutto nei confronti di manovalanza di origine straniera, non di rado coinvolta anche nel compimento di attività illecite.

Lo sfruttato spesso non vota, l’imprenditore sì

Secondo dati INPS nel solo 2017 sono stati registrati con contratto regolare 286 mila lavoratori agricoli stagionali di cui 151 mila comunitari (proveniente da stati membri dell’UE) e il restante, il 47% da paesi non comunitari. Per il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) i lavoratori agricoli stranieri (tra regolari ed irregolari sempre per stime) sarebbero più di 400 mila. 

Sono persone senza cittadinanza italiana, e quindi senza diritto di voto. Il voto dell’imprenditore, quindi, non è più rappresentativo di sé stesso ma è un demanio di potere sulla vita degli altri che diventa abuso e utilizzo del potere di voto per scopi puramente personali.

La criminalità organizzata non va dietro i colori partitici: non si fa problemi rispetto al socialismo reale o al fascismo (vedi la mafia russa o la presenza in Sicilia di proforme di mafia durante il fascismo), o alle nostre discussioni sui diritti civili o le libertà fondamentali del singolo. Le mafie vanno inseguendo il potere, un potere che sempre di più si associa al potere economico, e per poterlo usare al meglio la criminalità influenza la politica per assecondare l’imprenditore corrotto e utilizzarlo per scopi personali. 

Alcuni lavori giornalistici de “Il Messaggero” e “Domani” descrivono bene questa situazione. La provincia di latina, feudo da anni dei partiti del centro destra e di figure di spicco come Claudio Durigon della Lega, ha visto più volte colloqui e vicinanza tra rappresentanti dei clan operanti sul territorio e forze politiche. Ad inizio luglio più di 40 indagati sono finiti nel mirino dell’inchiesta della DDA, con oltre 20 misure cautelari. Gli indagati? Sia personalità del centro destra e del centro sinistra di Aprilia, portando allo scioglimento del consiglio comunale.

In attesa di un lieto fine

Come ogni fenomeno, questo fenomeno può avere una conclusione: di tipo naturale oppure voluta dalla politica, dall’economia o dalla popolazione civile. 

Spesso si dice che bisogna studiare i drammi del passato, per comprendere il presente e prevenire che questi errori avventano nel futuro prossimo, e alla luce dell’evoluzione della materia del caporalato i vari sociologi, intellettuali e personalità che lavorano nello studio della questione hanno proposto delle soluzioni che sono proponibili agli enti locali e alla politica di contrasto a questa forma di sfruttamento.

Lo stesso Marco Omizzolo dichiara come «I sindaci e le relative amministrazioni possono rivolgersi alle imprese aziende operanti nel proprio territorio volti a consentire loro l’iscrizione alla rete del lavoro agricolo di qualità previsto dalla legge 199/2016, un percorso fondamentale per non circoscrivere l’azione di contrasto nell’ambito penalistico e repressivo ma anche politico preventivo». 

Ulteriore grado di progetto al contrasto al caporalato è una relazione sempre più forte tra le forze dell’ordine, la prefettura e la procura insieme alle pubbliche amministrazioni in modo di articolare sul territorio interventi di natura giudiziaria nei confronti di quelle imprese che compiono azioni illecite.

Su questo punto il magistrato presso la Corte di Cassazione ufficio del Massimario Bruno Giordano specifica come la legge del 2016 già mostrata introduce il concetto di pensiero dell’azienda e rimozione delle condizioni di sfruttamento, ovvero un intervento amministrativo nella realtà aziendale che ha beneficiato dei lavori, e quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati.

E queste sono soluzioni “relativamente” semplici, dal relativo poco costo per le casse dello stato. Si, vi sono soluzioni con manovre più drastiche e di conseguenze più complesse, come l’abolizione della Bossi-Fini, la creazione di una commissione nazionale ed Europa per la lotta al caporalato e l’istituzione a livello interregionale di organismi simili.

Ma alla base di soluzioni davvero rivoluzionarie, prima di esserci una politica radicale, serve una popolazione civile coesa, che abbia la forza e la rabbia di poter esprimere queste istanze. 

E la velocità con cui ci siamo già dimenticati di Satnam Singh ci riesce a dare “lo specchio” della nostra sensibilità sul tema. Forse perché è povero, straniero, di un’altra confessione di fede, ed è una lotta che non porta like? L’internazionalità ai tempi dei media, e ai tempi dello schiavismo istituzionalizzato.

Autore

17 gennaio 2004 come data fatidica, e da quel momento sono immerso nei libri, nei paesaggi di Sezze e nelle canzoni di Kendrick Lamar. Napoletano di fede e di sangue, ricomincio pure io da tre cose: ascoltare, guardare e parlare, o su questa pagina, scrivere.

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