Dopo la nomina a Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha affermato di voler mantenere l’articolo maschile il Presidente”. Una notizia che sta aprendo il solito dibattito tutto italiano riguardo la declinazione delle professioni al femminile, specialmente quando si tratta di ruoli di rilievo. In questo caso non si tratta però di “presidentessa”, ma di un banale articolo determinativo: “La Presidente”. Dunque, perché questa riluttanza?
Questa scelta non sembra quindi casuale, anche se Meloni l’ha motivata durante il suo primo discorso alle camere dicendo: «Non ho mai considerato che la grandezza delle donne fosse farsi chiamare capatrena». Tralasciando la discutibile battuta, è interessante come Meloni non ritenga che la grandezza delle donne stia nel farsi chiamare al femminile, ma allo stesso tempo rivendichi il suo essere una donna e una madre in numerosi discorsi politici.
È chiaro che essere donna e madre sono parti integranti della persona e del personaggio politico di Giorgia Meloni. Ha però imparato a strumentalizzare la sua condizione di donna. Per questo le femministe non riescono a gioire alla nomina di Meloni a premier, perché purtroppo essere “una donna” non basta.
Ma poi, cos’è una donna?
Sappiamo da tempo che sesso biologico e genere non sono la stessa cosa, perché il secondo è un costrutto sociale. Il genere cambia quindi a seconda delle coordinate geografiche e temporali di riferimento. Per questo le categorie uomo\donna sono allo stesso tempo vuote e sovrabbondanti. Sono contenitori vuoti e labili a cui assegnamo una grande quantità di caratteristiche, spesso contraddittorie. Secondo il pensiero della filosofa Denise Riley, la categoria “donne” è talmente instabile che anche a livello personale una persona non è sempre conscia di essere “una donna”. L’identità, afferma Riley, non è pervasiva in noi e pertanto non può fornire un fondamento ontologico. Nonostante tutta la sua corporeità il corpo non è un punto di origine. Anche Foucault scriveva:
Nulla dell’uomo, nemmeno il corpo, è sufficientemente saldo per comprendere gli altri uomini e riconoscersi in essi.
Essere biologicamente donna, dunque, non basta per parlare a nome delle altre donne. Riley rielabora questo concetto parlando dei corpi femminili:
Il corpo diventa visibile in quanto corpo, e in quanto corpo femminile, solo sotto uno sguardo particolare – incluso quello della politica.
Il corpo femminile di per sé non ha un valore, ma la società lo riempie di significati simbolici. Lo sguardo della politica serve a creare dinamiche di potere, infatti la società occidentale ha separato il lavoro maschile-produttivo da quello femminile-riproduttivo, relegando le donne al focolare domestico. L’uomo lavora e partecipa alla res publica, allo Stato; il regno della donna è invece la famiglia. Per questo tutt’oggi è così difficile per una donna affermarsi in ambito lavorativo.
Per arrivare ai vertici politici in una società patriarcale bisogna quindi assumere caratteristiche del potere maschile. Lo vediamo chiaramente pensando alle poche donne di potere dell’epoca moderna, come Margaret Tatcher o Angela Merkel, donne che raramente hanno mostrato la loro femminilità negli atteggiamenti o nel vestiario. Per contrastare l’idea che le donne siano deboli ed emotive, si sono mostrate forti e dure, tanto che Tatcher si è guadagnata il famoso soprannome “Iron Lady“. Per assumere il potere hanno dovuto quindi rinunciare ad alcuni dei simboli cardine della femminilità, e così ha fatto Meloni, conservando però il topòs della maternità.
La maternità
Degli attributi tipici della femminilità Meloni sceglie di conservarne uno: la maternità. Narrata come l’evento più importante della sua vita, è l’argomentazione che avvalora le sue parole quando parla di temi come gestazione per altri, adozioni per famiglie omogenitoriali e famiglia naturale.
Meloni sembra sapere che le donne potenti sono esposte ad un interesse morboso per la loro vita privata, cosa che difficilmente accade agli uomini. Lo vediamo sia nel suo libro Io sono Giorgia, in cui ci racconta della sua vita privata e pubblica, sia in una lunga intervista del 2018 nel programma televisivo A cuore aperto riguardo i suoi affetti più che le sue idee politiche. In effetti, cosa sappiamo della vita privata di Renzi, Draghi e Salvini? E sopratutto della loro esperienza genitoriale? Non solo non ci sono interviste simili a politici uomini, ma neanche Angela Merkel o Margaret Tatcher non parlavano quasi mai della loro vita privata.
Indagare sulla vita privata di una leader politica potrebbe essere denunciato come un atteggiamento sessista, ma in realtà viene usato come strategia per corroborare le sue idee politiche.
La maternità e la famiglia giocano un ruolo fondamentale, anche perché sono temi sui quali Meloni si batte da sempre. Riesce anche a riparare all’incoerenza che troviamo tra le sue convinzioni politiche e le sue scelte di vita privata. Come puoi difendere la famiglia tradizionale se sei una donna in carriera, non sposata e con una sola figlia avuta a 39 anni? Meloni ci riesce, si mostra pentita sia di aver avuto una sola figlia, sia di non dedicarle tutto il suo tempo. Invece di parlare del diritto all’autodeterminazione femminile sulla maternità, usa la sua esperienza “sbagliata” per ribadire quale in realtà dovrebbe essere il ruolo di una donna nella famiglia naturale. Riesce ad essere una donna nel palazzo del potere senza volere che nessun’altra vi arrivi con lei o dopo di lei.
Come entrare nel palazzo del potere se sei una donna
Per entrare nel palazzo del potere non si può distruggere l’ordine prestabilito, bisogna adattarsi. Giorgia Meloni ci entra lentamente, senza pretendere riconoscimenti e con tanti alleati uomini. Nel mondo di Meloni, forse per quella incosapevolezza di essere donna di cui parla Riley, non c’è sessismo.
Sempre nell’intervista A cuore aperto Meloni afferma di non essere mai stata discriminata in quanto donna, pur ammettendo una certa diffidenza dei colleghi nell’avere un “capitano” donna (non capitana!) al timone della barca. Nel suo essere capitano però non vuole far salire a bordo altre donne e rifugge in ogni modo la definizione “femminista“. Non mettendo in discussione il patriarcato, ma anzi appoggiando i suoi princìpi, riesce a non essere vista come una minaccia.
Negli ultimi tempi poi, come anche Le Pen in Francia, ha addolcito la sua strategia comunicativa. I toni sono più pacati e rassicuranti, abiura il fascismo e il carattere aggressivo usato per trattare tematiche sensibili. Si addolcisce anche nel vestiario, la campagna elettorale si svolge con colori chiari, come il beige ed un più iconico azzurro, il colore tradizionalmente associato alla Madonna cristiana.
Prima delle elezioni di settembre disse «Sono pronta a guidare l’Italia come si cresce un figlio»: il tema della madre viene visto sotto una nuova luce rassicurante. In effetti già i latini dicevano «mater semper certa est». La madre è sempre certa, la riconosciamo, sappiamo chi è e ci affidiamo a lei.
Anche il suo «Sono Giorgia, sono una donna, una madre» abbinato alla scelta di essere chiamata “il Presidente” dice molto del suo personaggio politico. La femminilità viene relegata all’ambito domestico e materno, che viene usato come garante di affidabilità e di rispetto delle tradizioni, i valori fondanti del suo partito; ma in politica prende il potere con un titolo declinato al maschile.
Durante il discorso in cui ha chiesto la fiducia alla camera, Meloni ha voluto rispondere alla deputata del PD Deborah Serracchiano in merito alle preoccupazioni espresse sul ruolo delle donne durante la sua legislatura. «Mi guardi, onorevole Serracchiani, le sembra che io stia un passo indietro agli uomini?».
E sicuramente non lo è. Il Presidente Meloni non è un passo indietro a nessuno, ma non in quanto donna.
Autore
Romana naturalizzata milanese. Studio arti ma parlo troppo di politica, mi piace quando riesco a unire le due cose.