Il 23 ottobre, Gisèle Pelicot è stata ascoltata per la seconda volta in aula. Anche in quest’occasione le sue parole hanno lasciato un segno profondo e spronato ancora la società francese a interrogarsi: il modo in cui parlare di stupro, il consenso e la sottomissione chimica sono diventati temi che il caso giudiziario ha diffuso con nuova forza nelle piazze, tra le persone. Temi che hanno conquistato molto spazio sui media nell’ultimo periodo, perché la sua vicenda obbliga ad una riflessione necessaria, perché Gisèle Pelicot non è e non è mai stata la vittima perfetta. E, a seguito di ciò, anche la legge francese sul consenso potrebbe cambiare.
La vicenda fino a qui
Gisèle Pelicot è la vittima, in quello che viene chiamato dalla stampa d’oltralpe “Processo degli stupri di Mazan”, paesino in Provenza in cui la signora Pelicot e il suo ormai ex-marito, Dominique Pelicot, si erano trasferiti nel 2013 e nel quale si sarebbero consumate la maggior parte delle violenze. Il processo è iniziato il 2 settembre di quest’anno. Le udienze si tengono al tribunale di Avignone. Al fianco della donna, ci sono i due figli e la figlia in qualità di parti civili. La mattina del 23 ottobre, un centinaio di persone si era radunato dalla mattina per mostrare solidarietà e sostegno a Gisèle Pelicot e per ascoltare il processo da un’aula adiacente in cui sarebbe stata trasmessa l’udienza, ma in realtà sin dall’inizio c’è stata altissima attenzione sulla vicenda.
51 uomini, tra cui Dominique Pelicot, sono accusati di aver stuprato, per 10 anni, Gisèle Pelicot, mentre lei era ridotta in stato di incoscienza proprio dall’ex-marito.
Più precisamente, 49 dei 51 uomini sono accusati di stupro, uno di tentato stupro, uno di molestie sessuali. Cinque di loro sono inoltre stati trovati in possesso di materiale che mostra abusi su minori. Le loro età vanno dai 26 ai 74 anni. I loro lavori riguardano i settori più diversi: tra loro un infermiere, un giornalista, braccianti agricoli, un direttore di prigione, camionisti, un militare, un consigliere locale, un fabbricante di vetri, un imbianchino, un fattorino, un esperto informatico. Alcuni avevano a loro carico già altre accuse per reati simili, ma per la maggior parte erano uomini comuni. Gli stupratori sono quasi sempre “uomini comuni”.
Gisèle Pelicot racconta che per 10 anni aveva sofferto di vuoti di memoria senza riuscire a capire perché. In quegli anni, per esempio, dormiva inspiegabilmente a lungo nei week end. Per capire l’origine dei suoi vuoti si era rivolta a degli specialisti, aveva fatto visite neurologiche e chiesto a più ginecologi perché alcuni giorni si svegliasse “con la sensazione di aver perso le acque”. Ogni volta, l’allora marito Dominique Pelicot l’accompagnava. Nella sua seconda testimonianza parla anche della sua relazione con Dominique Pelicot, dei tempi in cui ancora lei non covava alcun sospetto nei suoi confronti: «Tante volte, mi sono detta che ero fortunata ad averti al mio fianco» ha detto riferendosi all’ex-marito. Attualmente, Gisèle Pelicot ha 72 anni, circa 50 dei quali passati con Dominique Pelicot.
«Come può l’uomo perfetto essere arrivato a questo? Come hai potuto tradirmi fino a questo punto? Come hai potuto portare questi sconosciuti nella mia camera da letto?»
Dominique Pelicot nel 2020 era stato sorpreso a filmare le gonne di alcune donne. Da quel momento sono iniziate le indagini: Dominique Pelicot è stato trovato in possesso di molti altri video. Una chiavetta USB conteneva una cartella chiamata “ABUS” [“abusi” in francese] di 128 file. 92 di questi erano video che lui stesso aveva girato e che riprendevano le violenze inferte a Gisèle Pelicot in un periodo che va dal 2011 al 2020. Nei video sono presenti 83 uomini. Dopo 2 anni di indagini, la polizia è arrivata a identificarne 51, che a quel punto sono stati arrestati. Nei video Gisèle Pelicot era incosciente, perché lo stesso Dominique Pelicot le somministrava, sbriciolandogliele nel cibo, diverse compresse di Temesta, benzodiazepina usata contro ansia e insonnia, a questo scopo.
Gli uomini nei video entravano in casa Pelicot dopo essersi messi d’accordo con Dominique Pelicot su un sito gratuito di chat, in una chat room chiamata “A sua insaputa”, nella quale i componenti parlavano dei rapporti sessuali – in realtà stupri – che avevano senza che le donne coinvolte ne fossero coscienti.
Alcuni degli uomini appaiono nei video di Pelicot una sola volta, altri più di una. Da quanto ricostruito, Dominique Pelicot, dopo aver reso incosciente Gisèle Pelicot le cambiava la biancheria intima prima delle violenze e le rimetteva il pigiama dopo, prima che lei si svegliasse. Gli uomini, sotto una vigilanza continua di Dominique, dovevano stare attenti a non lasciare tracce nella casa in cui, dopo la notte, la vita di Gisèle Pelicot avrebbe dovuto continuare a scorrere nella quotidianità. Questo modus operandi – e il fatto che nessuno di quelli che sapevano abbia mai avvertito in un secondo momento la donna di ciò che avveniva – ha permesso che gli stupri venissero perpetrati per un decennio.
Gisèle Pelicot viene avvertita di quanto trovato negli hard disk dell’allora marito solo a novembre 2020, quando viene arrestato (a questo punto per la seconda volta dopo essere stato fermato nel supermercato locale pochi mesi prima). Sempre durante le indagini, apprende anche che l’allora marito Dominique già nel 2010 era stato sorpreso a cercare di riprendere delle donne in un altro supermercato, nei pressi di Parigi, ma Gisèle Pelicot non era stata informata di nulla. Durante l’udienza del 23 ottobre la donna ha sottolineato che: «Se fossi stata allertata nel 2010, sarei stata molto più vigile sui miei vuoti di memoria».
Qualche giorno dopo l’inizio del processo – settembre 2024 – Gisèle Pelicot ha avuto la possibilità di parlare in aula per la prima volta. Sin dall’inizio ha manifestato la volontà di affrontare il processo a testa alta affinché la vicenda ottenesse la giusta attenzione mediatica. Perché potesse avere maggiori possibilità di cambiare le cose e la società francese, Gisèle Pelicot ha rinunciato all’anonimato che la legge francese consente di conservare per tutelare le vittime in questo tipo di casi. Ha, in altri termini, rinunciato a un processo a porte chiuse «e deciso di affrontare il loro sguardo» [degli imputati, ndr], come ha riferito il suo avvocato a inizio processo.
Dopo il suo primo intervento, decine di persone sono state sentite: gli imputati, le persone – soprattutto donne – vicine agli imputati. Dominique Pelicot si è dichiarato da subito colpevole ed è già stato sottoposto a più perizie psicologiche che lo hanno definito un soggetto ad alto rischio. Dominique Pelicot ha affermato che gli altri imputati sapevano che stavano venendo invitati a commettere stupri, tuttavia la maggioranza ha negato le accuse. Alcuni hanno invece ammesso che Pelicot ha detto loro che lui aveva drogato la sua allora moglie, mentre altri hanno detto di credere star partecipando in un gioco di coppia.
L’intervento di Gisèle Pelicot del 23 ottobre è stato pensato per permetterle di commentare le dichiarazioni rilasciate fino a quel giorno, a metà strada verso la conclusione del processo, prevista per il 20 dicembre.
«Voglio che tutte le donne vittime di stupro dicano: la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi»
«Ho voluto rendere questo un caso mediatico perché voglio che la società cambi», ha detto Gisèle Pelicot. Durante il processo gli avvocati della difesa hanno mostrato pubblicamente le foto intime della signora Pelicot scattate da sveglia e consenziente con il marito. Foto in cui Gisèle Pelicot è nuda, in pose seducenti. La signora Pelicot appare anche mentre utilizza vari sex toys.
In merito a queste ultime foto, Gisèle Pelicot è stata accusata di essere abituata a determinate perversioni e che di conseguenza fosse consenziente anche agli stupri. Gli avvocati della difesa però hanno ritenuto necessario chiedere che i video degli stupri fossero visionati privatamente. Irene Graziosi su Lucy Sulla Cultura in merito a questa vicenda, partendo dalla frase pronunciata dalla signora Pelicot «la vergogna deve cambiare lato: non sono le vittime di stupro a doverla provare, ma gli aggressori», commenta così: «la vittima la vergogna la deve gestire, per gli uomini è troppo».
Si legge in un articolo di ingenere. firmato da Cristina Gamberi che l’ideale di vittima perfetta è «una giovane donna, che urla, ma subisce la violenza; che si ritrae, ma porta i segni visibili che le marchiano il corpo; che è in casa (non fuori a divertirsi) ma è sola. È dunque una vittima perfetta soprattutto perché inerme e senza risorse». Quella che viene definita “vera vittima” o “vittima perfetta” è quindi una donna che cammina da sola, di notte, aggredita da uno sconosciuto (meglio se straniero) e che, dopo essersi fortemente ribellata alle violenze, va a sporgere denuncia.
Possiamo constatare che quindi Gisèle Pelicot è tutt’altro che la vittima perfetta, tesi confermata anche dal fatto che si sta cercando di far passare la signora Pelicot come consenziente a quelli che vengono definiti “giochi erotici” e non violenze sessuali, un esempio di vero e proprio victim blaming.
I dati Istat smentiscono questo “elenco di qualità e comportamenti della vera vittima” visto che «ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner». Quello della “vittima perfetta” è un vero e proprio stereotipo che viene interiorizzato da molte donne. La coraggiosa Gisèle Pelicot con il suo processo a porte aperte, come lei stessa dice, «è determinata a cambiare la società» e ci spinge a pretendere un ribaltamento di queste fatali retoriche.
In ogni uomo si nasconde uno stupratore?
«Uno stupratore lo puoi trovare anche in famiglia, tra amici», afferma Gisèle Pelicot. «La nostra fiducia negli uomini è immeritata tanto quanto non corrisposta, ma comunque pretesa», scrive Chelsea G. Summers nell’articolo Love In a Time of True Crime.
Gisèle Pelicot aveva fiducia nell’uomo che aveva deciso di sposare ma tra il 2011 e il 2020 Dominique Pelicot ha proposto a 83 uomini di avere rapporti sessuali con sua moglie nella loro villetta a Mazan.
La scrittrice femminista Valeria Fonte, in un articolo per Vanity Fair utilizza la stessa citazione di Summers e si domanda se la sfiducia smisurata sia terrore giustificato. Il punto del suo articolo è essenzialmente il seguente: determinare che tutti gli uomini pensano come pensa un femminicida. Questa tesi provocatoria è anche alla base di Promising Young Woman, film del 2020 diretto da Emerald Fennell. La protagonista del film è Cassandra, una donna che ha deciso di abbandonare la sua vita promettente a causa del suicidio della sua migliore amica, Nina, vittima di uno stupro avvenuto per mano di compagni di corso mentre era ubriaca a una festa.
Ecco, definire “mostri” i ragazzi stupratori di Promising Young Woman o Dominique Pelicot (da tutti ribattezzato “il mostro di Mazan”) significa applicare una retorica di deresponsabilizzazione. Non sono mostri, ma uomini come tanti, figli del patriarcato di cui riproducono la violenza. La femminista Anna Toumazoff ha coniato per questo caso l’espressione «la banalité du mâle», un gioco di parole in francese, poiché «mal», «male», si pronuncia come «mâle», «maschio». Non sono mostri, sono uomini banali, «normali», in mezzo a noi, si legge nell’articolo di Vanity Fair a cura di Silvia Bombino.
Nel saggio Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale (Il Mulino 2017) Elisa Giomi e Sveva Magaraggia spiegano che la «mostrificazione del violento è in assoluto la strategia più ricorrente per esorcizzare la violenza, liquidandola come aberrazione individuale e degenderizzandone la lettura. Questo assetto discorsivo è del tutto in linea con altri orientamenti ampiamente rilevati sia dagli studi di settore che nelle nostre analisi empiriche: la predilezione, nel racconto della Ipv, per il frame episodico rispetto a quello tematico, che fa apparire i casi come eventi isolati anziché espressione di un fenomeno più ampio, e la scelta di storie estreme, che suggeriscono l’anormalità dei protagonisti».
Dominique Pelicot è un uomo come tanti, tutti e 83 gli stupratori di Gisèle Pelicot sono uomini come tanti, perché come lei stessa ha affermato «lo stupratore non è quello che incontriamo nel parcheggio la sera tardi» nonostante lei abbia «visto queste donne, queste madri, queste sorelle, testimoniare che il loro figlio, il loro fratello, il loro padre, il loro marito era un uomo eccezionale. Anche io ne avevo uno in casa», perché con il suo ormai ex marito Gisèle Pelicot ha tre figli, sette nipoti, e come lei stessa dice hanno condiviso vacanze, compleanni e Natali. Non un mostro, un uomo come tanti altri.
Cambierà qualcosa?
Dopo le prime settimane di processo, il 14 settembre, erano state organizzate oltre 30 manifestazioni sparse in tutta la Francia. Il 5 ottobre si è tenuta una lunga marcia a Mazan, in omaggio a Gisèle Pelicot e a tutte le vittime di violenza. Mano a mano che il caso otteneva attenzione mediatica sono state organizzate manifestazioni anche nel resto d’Europa, ma non solo: «dall’Austria all’Australia», scrive il Guardian, ci sono stati gesti di solidarietà e sostegno nei confronti di una donna che potrebbe davvero cambiare le cose in Francia.
Al centro di molte deposizioni degli imputati c’era il concetto di consenso: il presidente – una figura del sistema giudiziario francese – chiede ad ognuno degli imputati se secondo loro Pelicot avrebbe potuto esprimere il suo consenso e la risposta è “no” nella maggior parte dei casi. Ma rispondono che non “sapevano” neanche che non fosse consenziente. In questo spazio grigio cercano di farsi largo le difese degli accusati: la legge francese non considera stupro ogni rapporto sessuale che avvenga senza consenso esplicito.
Una legge che invece include questo vocabolo, “consenso”, – in Europa adottata in tempi relativamente recenti in Spagna – farebbe sì che gli atti sessuali ripresi da Dominique Pelicot sarebbero automaticamente considerati stupri. E invece no: l’intenzionalità va appurata ogni volta e, ogni volta, c’è la possibilità – per quanto minima in questo specifico caso – che l’atto non venga considerato stupro.
La riflessione a cui sta spingendo Gisèle Pelicot ha però portato anche il ministro della Giustizia Didier Migaud ad esprimersi in merito, aprendo le porte ad un cambiamento che sarebbe sostanziale. In Francia, la definizione di stupro non contiene la parola “consenso”. Anche per questo, solo una piccola parte delle vittime di stupro arriva poi a denunciare: circa il 20%. Oltretutto, il 94% delle denunce sporte viene rifiutato e tra le ragioni, oltre a una mancanza di formazione e informazioni da parte degli investigatori, soprattutto «il modo in cui oggi è scritto il codice penale» afferma la senatrice Mélanie Voguel, che «induce a una presunzione di consenso».
Sostenere un processo, con questa tipologia di legge in vigore, vuol dire – per le denuncianti – dover provare che non erano consenzienti, sentire sminuire il loro racconto e più o meno implicitamente sentire insinuare dalla difesa – come molti avvocati degli imputati hanno fatto anche nel processo di Mazan – che le vittime fossero consenzienti, se non, come nel caso Pelicot, in qualche modo “complici” di un gioco.
Nel caso delle violenze di Mazan, ciò che ha reso possibile il perpetuarsi degli stupri organizzati da Dominique Pelicot è stata la sottomissione chimica a cui Gisèle Pelicot è stata sottoposta. La sottomissione chimica consiste nella somministrazione «a scopo criminale di sostanze psicoattive alla vittima o sotto minaccia, al fine di commettere un crimine o un reato», secondo la definizione dell’Agenzia nazionale francese per la sicurezza dei medicinali (ANSM). Se la legge francese sul consenso cambiasse, tutti quei casi in cui l’espressione del consenso o del dissenso viene impedita – come nel caso di Pelicot – sarebbero considerati stupro.
Solo nel 2022, in Francia, sono stati segnalati 1229 casi di sospetta sottomissione chimica. A questi vanno poi sommati quelli in cui le vittime non si rendono conto di essere state drogate e quelle che decidono di non sporgere denuncia o segnalare il fatto.
Autori
Nata tra i monti Lepini, non è che la montagna mi piaccia poi così tanto. Leggo, scrivo, arrivo sempre in ritardo ma cerco di compensare con l'impegno che metto nelle cose. Se potessi vivrei in viaggio, nel frattempo mi accontento di immaginarmi giornalista, una di quelli che raccontano mondi lontani. Che poi così lontani non sono.
Arianna Vicario
Autrice
Transfemminista. Scrivo (tanto), leggo (troppo), cammino nel mondo (delle nuvole). A volte penso che l'anima di Sylvia Plath si sia reincarnata in me.