È il 25 ottobre di 43 anni fa. Fuori il carcere di Cuneo c’è Franco Califano. Il ‘Prévert di Trastevere’ non è stato arrestato di nuovo, è vestito a festa e si è recato lì per fare da testimone ad un amico che quel giorno si sposa dietro le sbarre. Non un amico qualunque, ma il boss milanese Francis Turatello. I due si erano conosciuti ai tempi della prima detenzione dell’autore romano (1970), arrestato per possesso di sostanze stupefacenti e poi assolto.
A Milano conobbi Francis Turatello, il gangster. Ero stato in carcere e mi ero comportato da uomo, senza lacrime, senza rompe li cojoni e soprattutto senza fare la spia. Mi stimava per questo, e diventammo amici.
Franco Califano
Un’amicizia forte, testimoniata anche dalla copertina dell’album Tutto il Resto è Noia (1977), dove in braccio al Califfo compare Eros, figlio di Turatello e della modella Lia Zenari, uccisa a colpi di pistola nel ’78 per le strade di Milano. Da Eros, Califano si fece promettere che non avrebbe ripercorso le orme del padre. Lo ascoltò, oggi è sposato e fa l’agente di viaggio.
Una vita e una carriera agli eccessi, spesso ai margini, quella del Califfo, che probabilmente ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato, soprattutto per un’ immagine quasi mai limpida come lo status quodell’epoca indicava. Una poetica che trasudava di vero e di vissuto, con l’accettazione di una malinconia inevitabile e quasi agognata. Ai tempi del matrimonio di Turatello andava incontro al periodo di maggior successo, ma non sembrava importargliene troppo. Nella prima metà degli anni ’70 si era affermato come autore di successo e aveva già scritto canzoni che avrebbero fatto la storia della musica italiana, come Minuetto (1972) per Mia Martini. Ma la svolta da cantante arrivò proprio con Tutto il Resto è Noia, capace di vendere oltre un milione di copie. Inizia pure a fare l’attore e a produrre altri artisti (Stefano Rosso, Ricchi e Poveri e Donatella Rettore, fra gli altri).
Poi, nel 1983, un nuovo arresto: l’accusa è associazione a delinquere di stampo camorristico e traffico di stupefacenti. Finì in carcere nell’ambito della stessa operazione che portò all’arresto del giornalista Enzo Tortora, sulla base delle accuse dei pentiti Giovanni Melluso e Pasquale D’amico. Vennero poi assolti entrambi perché il fatto non sussisteva: le accuse dei pentiti erano inattendibili e i fatti contestati non dimostrabili. Lo stesso Melluso confermerà in seguito come le sue dichiarazioni fossero state montate ad arte per incastrare alcune personalità in vista dell’epoca.
Ai tempi del matrimonio, invece, Turatello aveva già toccato la cima e si apprestava a precipitare rovinosamente. Partito dai furti d’auto e dallo sfruttamento della prostituzione, ai tempi dell’arresto (aprile ’77) Francis Faccia d’Angelo era il boss di Milano. Riferimento al nord della Mafia siciliana e della NCO di Cutolo, aveva superato pure la faida cittadina con i Comasini di Vallanzasca, di cui divenne amico e compare di anelli quando il bel René sposò – sempre in carcere – Giuliana Brusa.
Oltre ad un curriculum criminale di assoluto rispetto, Turatello vanta aloni di leggenda intorno a due momenti chiave dell’esistenza. La nascita e la morte: si dice fosse il figlio illegittimo del boss italo-americano Frank tre dita Coppola, legato alla famiglia Gambino. Si dice inoltre, che quando nell’agosto ’81 un commando misto di 5 sicari (cutoliani e catanesi) decise di farlo fuori, nel cortile del carcere di massima sicurezza di Nuoro, ci vollero 42 coltellate per farlo cadere a terra. Morì in piedi, secondo la leggenda, e sempre secondo la leggenda gli venne aperta la cassa toracica e alcuni organi interni (tra cui il cuore) vennero presi a morsi dagli esecutori.
Tornando a Cuneo, e al matrimonio, Califano non riuscì ad assistervi. Un telegramma inviato la mattina stessa dal Ministero di Grazia e Giustizia bloccò l’ingresso a chi non fosse parente stretto degli sposi. Rimase fuori assieme ad altri amici, tra cui il campione di pugilato Carmelo Bossi, e a una carovana di giornalisti. Partecipò poi ai festeggiamenti con sposa, parenti e amici, ma senza Turatello.
«L’ultimo amico va via, domani se va a sposà. Se gioca la libertà pure lui…». Probabilmente non l’avrà cantata per l’occasione, perché Faccia d’Angelo la libertà se l’era già giocata, per altri motivi.
Autore
A vent'anni ero convinto di voler fare il giornalista e sono diventato pubblicista. Poi ho capito che in realtà volevo solo scrivere. Mi sono laureato in Lettere, poi in Editoria e Comunicazione, ho lavorato o collaborato con diverse testate, mi sono tolto la soddisfazione di firmare sul Venerdì di Repubblica. Poi, come tanti di noi, sono passato al digital, più per necessità che per convinzione. Oggi dicono sia un copywriter. Per fortuna è arrivata Generazione.